Willis Haviland Carrier, chi era costui? Il nome forse non dice gran che alla maggior parte di noi. Io stesso ho dovuto fare ricorso a Internet per scovarlo e per rendergli l’omaggio che deve. Ho digitato “inventore dell’aria condizionata” ed eccolo materializzarsi (che bella, in fondo, la nostra epoca, in cui con due-tre clic scopri – se ne hai voglia – tutto quello che ti interessa scoprire o riscoprire…).
Carrier, nato nel 1876 ad Angola (non “in” Angola), nello stato di New York, si laureò nel 1901 presso la Cornell University in ingegneria meccanica. Lavorò poi per la Buffalo Forge, una fabbrica che produceva stufe e sistemi di ventilazione. Secondo le fonti, il giovane ingegnere, osservando in una stazione ferroviaria il vapore che saliva dai binari, capì che, se avesse trovato il modo di comprimere l’aria fino allo stato liquido, raffreddarla, rivaporizzarla e distribuirla in una stanza, avrebbe ridotto contemporaneamente sia la temperatura sia l’umidità del luogo. A 25 anni realizzò così la sua prima invenzione importante: un sistema di raffreddamento per controllare calore e umidità nei processi di stampa.
Nel 1902 progettò il primo sistema moderno di climatizzazione del mondo, installandolo in una tipografia di Brooklyn. Le applicazioni dell’aria condizionata si estesero rapidamente all’industria tessile e agli uffici (per aumentare il rendimento degli impiegati).
Nel 1914 Carrier installò il primo impianto per aria condizionata domestico in una casa a Minneapolis (Minnesota). L’affare fruttò all’ingegnere circa 35.000 dollari, somma notevole che investì fondando nel 1915 con altri sei ingegneri la Carrier Engineering Corporation, nel New Jersey. Questa azienda ebbe poi tra i suoi clienti il Senato e la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti; decisamente, Carrier (“nomina sunt omina”) aveva fatto carriera. Negli anni ’30 Carrier trasferì la società a Syracuse (New York), dove ha sede ancora oggi; aprì inoltre (e fu intuizione geniale e remunerativa) alcune filiali in Giappone e in Corea del Sud. Nel 1936 volò il primo aereo della United Air Lines climatizzato.
Carrier morì nel 1950 a New York City, ma la sua Carrier Corporation nel 2000 realizzava ormai un fatturato di oltre 8 miliardi di dollari, impiegando circa 45.000 persone.
L’aria condizionata, consentendo un aumento della produzione industriale statunitense nei mesi estivi, rivoluzionò la vita degli americani; inoltre l’introduzione dei sistemi di climatizzazione domestica favorì negli anni Venti la grande migrazione verso la regione del Sun Belt.
A dire il vero, in origine l’invenzione dell’aria condizionata non era esente da rischi: i gas utilizzati nei primi condizionatori (clorometano e ammoniaca) erano altamente tossici, per cui l’accidentale rottura dei compressori poteva risultare fatale; solo nel 1928 questi gas furono sostituiti con i clorofluorocarburi, derivati dal metano e conosciuti sotto il nome di “freon”, che hanno ottime proprietà refrigeranti e sono innocui per l’uomo (erano anche molto dannosi per l’ozono atmosferico, ma questo lo si capì dopo…).
Al termine di questa carrellata storica, ci si potrà chiedere perché sto rendendo omaggio al “Carneade” Willis H. Carrier. Semplicissimo: perché ormai senza aria condizionata non potrei vivere.
Quando ero ragazzo non soffrivo il caldo come ora, anche perché le ondate di caldo un tempo erano meno durevoli e meno affliggenti.
In estate, poi, non mancavano i conforti alla ragionevole calura dell’epoca: 1) a Bagheria andavamo spesso in campagna (allora quasi incontaminata, in un tripudio di alberi di limone) o al mare (al mitico Lido Olivella); 2) le case in paese si sviluppavano in verticale su 2-3 piani, avevano muri spessi e all’interno non diventavano fornaci; 3) nel pomeriggio (grazie anche all’ora solare, usata fino al 1965) si verificava immancabile “l’arrifriscata” (cioè la temperatura scendeva un po’); 4) spesso le strade del paese erano innaffiate d’acqua dalle autobotti comunali (meravigliosa consuetudine cancellata nella nostra epoca sparagnina).
Insomma, sarà stata la gioventù, sarà stato il clima meno impietoso, sarà stato non so che altro, fatto sta che al caldo si resisteva. Alla peggio ci si rinfrescava con ventagli precari in cartone o con precari, rumorosi e poco funzionali ventilatori elettrici.
Ma dagli anni Ottanta in poi tutto cambiò, in peggio. Il 1982 portò un’ondata di caldo allucinante in tutta Italia. A Palermo per giorni e giorni le minime si fermarono sui 30-32 gradi e le massime superavano i 40 gradi; i mondiali di calcio furono “sudati” in tutti i sensi. In casa non esistevano ancora impianti di aria condizionata: i ventilatori si arrendevano alla furia del nemico, la notte era un inferno bollente e insonne, il sole fin dai primi raggi dardeggiava tracotante a far capire senza equivoci chi fosse il vero padrone da queste parti.
Mi venivano spesso in mente le parole rivolte dal tomasiano Principe di Salina a Chevalley: “questo clima che c’infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi, […] questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo”.
In quel periodo avevo considerato seriamente la possibilità di migrare in Islanda; ma qualche anno dopo acquistai finalmente il nostro primo condizionatore portatile, il “Pinguino De Longhi, che – strategicamente trasportato di stanza in stanza – costituiva un’oasi semovente di illusorio benessere. Illusorio per tre motivi: 1) il Pinguino era figlio unico e quindi doveva distribuire i suoi limitati servigi a turno nelle varie stanze, rinfrescandone una ma lasciando illese e infuocate le altre; 2) scaricava acqua in un bidone, che – se si riempiva – tracimava acqua e inondava il pavimento (il che voleva dire che a metà della notte si doveva svuotare il bidone, svegliandosi naturalmente o artificialmente); 3) era rumorosissimo, per cui il sonno era comunque precario.
Insomma, il mio percorso verso l’aria condizionata è stato lento, graduale, irto di difficoltà. Non cito poi tutte le persone con cui ho discusso su pregi e difetti dell’aria condizionata; infatti, come in politica, esistono le correnti di opposizione, istintivamente avverse all’aria condizionata, ritenuta (così la definiva anche mia madre) aria “non naturale”, malefica, foriera come minimo di reumatismi e malanni vari. Ancora oggi molti miei amici e conoscenti, pur disponendo ormai di diversi condizionatori, ne fanno un uso parco e circoscritto e – in definitiva – si arrendono al benessere artificiale solo quando proprio è necessario.
Io però, quando alcuni anni fa, per illuminata decisione di mia moglie, abbiamo ristrutturato la nostra casa, ho fermamente voluto che fossero installati in ogni stanza i condizionatori. Ora vivo felice, anche per la mia saggia moderazione oraziana (“aurea mediocritas”), dato che regolo saggiamente i condizionatori sui 25°, un minimo sindacale che però consente benessere assoluto, assenza di sudori e di danni collaterali, possibilità di muoversi e lavorare senza soffrire mai. Le notti sono rallegrate da un fresco e sorridente Morfeo e trascorrono serene, foriere di sonno ristoratore. E con gli anni, anziché dormire di meno, dormo di più.
Certo, non tutti sono così morigerati. Quando sono stato due anni fa negli Stati Uniti, nonostante il caldo asfissiante di New York, Washington e Philadelphia, giravo sempre con un pullover a portata di mano. Questo perché, appena entravamo in un luogo chiuso (a parte l’asfissiante e torrido metrò), la temperatura precipitava di venti gradi. Gli americani, infatti, non sanno cosa sia la “via di mezzo”, odiano (quanto diversamente da noi!) le cose fatte a metà e “sparano” l’aria condizionata a 18°.
Eccessi a parte, però, l’aria condizionata mi consente di superare la crudele estate isolana indenne. O quasi: infatti, ovviamente, non posso stare sempre in casa: non manca mai qualche invito a “prendere un po’ di fresco” (?) andando la sera in una torrida pizzeria, o a trovare con il lanternino improbabili posti freschi nella fossa calda e umida di Palermo. Ma vuoi mettere la soddisfazione, al rientro a casa, di sentire la ventata benefica dei 25 gradi stabili, senza umidità, senza sudori, senza tormenti? Vita artificiale, certo: ma in questo caso la lotta tra “physis” e “nomos” per me non ha avuto storia.