Martino, originario della Pannonia (oggi Ungheria), è uno dei santi più venerati nel mondo occidentale. Nacque nel IV secolo da genitori pagani: il padre era un ufficiale dell’esercito romano (il nome di Martino gli fu dato in onore del dio della guerra Marte); fu vescovo di Tours e condusse vita monastica in un convento fondato da lui stesso.
Prima di convertirsi, Martino fu anche lui un soldato romano e militò in Gallia, ad Amiens, con mansioni di ordine pubblico (ronde, ispezioni, guardie notturne).
Un noto aneddoto racconta che, proprio durante una ronda, in una notte fredda e piovosa, Martino fece dono di metà del suo mantello ad un mendicante seminudo e infreddolito; in seguito al generoso gesto, il cielo si rasserenò e la temperatura aumentò.
La notte seguente Martino sognò Gesù rivestito del suo mantello militare; al risveglio, il suo mantello era tornato integro; per questo segno divino, si convertì al cristianesimo. Oggi San Martino è patrono delle Guardie Svizzere pontificie e protettore di mendicanti, albergatori, cavalieri.
Dall’episodio del mantello deriva l’espressione “Estate di San Martino”; in effetti, questo è (o era) il periodo in cui, dopo le prime piogge autunnali, ritornano provvisorie condizioni climatiche di bel tempo.
In molte regioni d’Italia dunque, oggi (data tradizionale della sepoltura del santo), si festeggia la Festa di San Martino, bevendo vino e mangiando castagne e altri cibi tipici, che differiscono di zona in zona. In particolare, la festa è associata alla maturazione del vino nuovo: da qui il detto “A San Martino ogni mosto è vino”: infatti in questo periodo, finita la vendemmia, si aprono le cantine per assaggiare il vino novello.
Inevitabile ripensare ai versi carducciani: “La nebbia a gl’irti colli / piovigginando sale, / e sotto il maestrale / urla e biancheggia il mar; / ma per le vie del borgo / dal ribollir de’ tini / va l’aspro odor dei vini / l’anime a rallegrar”.
In questa giornata (ma ormai anche in tutto questo periodo), nel palermitano si mangia “u viscottu di San Martino abbagnatu”, il “biscotto di San Martino” bagnato nel vino moscato di Pantelleria.
I Biscotti di San Martino sono biscotti tradizionali siciliani secchi e croccanti, aromatizzati con semi di finocchio o anice. Vengono preparati con fior di farina impastata e fortemente lievitata; hanno la forma di una piccola pagnottella rotondeggiante. La croccantezza si ottiene attraverso due/tre passaggi in forno (ecco perché sono chiamati “tricotti”), nel quale i biscotti vengono cotti a temperature via via calanti; a fine cottura, i biscotti sono lasciati in forno, in modo da farli diventare secchi e duri (anzi, per la precisione, “duri comu li corna”, il che fa sì che San Martino sia anche il protettore dei “cornuti”, che ovviamente necessitano anche loro di un aiuto divino…).
Al gusto i biscotti sanno di anice e cannella e si sposano perfettamente con il vino; infatti, come dicevamo prima, “la morte” dei biscotti di San Martino (cioè, come si dice dalle nostre parti, la loro massima esaltazione) è quando vengono intinti, anzi “abbagnati”, nel Moscato o nel Marsala.
Nella tradizione palermitana si distingueva tra la festa di “San Martino dei ricchi” (che si festeggia nel giorno esatto della ricorrenza, perché i ricchi potevano permettersi di celebrare San Martino in qualsiasi giorno della settimana) e “San Martino dei puvirieddi” (che dovevano aspettare la domenica successiva alla ricorrenza, dopo aver riscosso la “simanata”, cioè la paga settimanale). Dunque, sia pure un po’ in ritardo, anche i meno abbienti potevano permettersi “i viscotta ri Sammartinu abbagnati ‘nto Muscatu” (cioè “inzuppati nel Moscato”).
Col tempo i pasticceri palermitani, maestri di estro e creatività, hanno realizzato diverse varianti dei biscotti di San Martino; ne cito due.
1) Anzitutto, sono appetitosi i “sammartinelli” o “biscotti Rasco”: questi biscotti, quando sono già raffreddati, vengono tagliati a metà, inzuppati di liquore (passito o moscato) e farciti in maniera esorbitante di crema di ricotta punteggiata di gocce di cioccolato; rispetto ai loro fratelli secchi e duri, sono morbidi e aromatizzati al Moscato. Misteriosissima è l’etimologia del termine “Rasco”: alcuni lo collegano all’aggettivo spagnolo “rasco”, cioè “raschiato” (forse col riferimento al fatto che questi biscotti vanno “raschiati” della loro mollica per essere farciti), altri pensano a un omonimo formaggio spagnolo.
2) Esiste poi un’altra variante più “barocca”: in questo caso i biscotti sono simili ai precedenti per impasto ma non sono lasciati seccare al forno, per cui risultano più morbidi, con uno strato di confettura di cedro nel mezzo, velati da uno strato di glassa zuccherina e decorati da festoni di ghiaccia reale (una glassa bianca dolce a base di zucchero a velo, albume e succo di limone, che asciugandosi si indurisce); immancabile un sovrastante cioccolatino al latte o fondente avvolto nella stagnola o con una piccola rosellina di ostia di diversi colori.