Il film “Fedra” del regista americano Jules Dassin (Middletown 1911 – Atene 2008) uscì nel 1961; il cast comprendeva l’attrice greca Melina Mercouri (moglie del regista), Anthony Perkins (l’attore americano che aveva raggiunto l’apice del successo interpretando l’anno prima lo psicopatico protagonista del film Psycho di Alfred Hitchcock), Raf Vallone, Elizabeth Ercy. La sceneggiatura era della scrittrice greca Margarita Liberaki.
Il film ripropone l’antico mito di Fedra contaminandolo con la riscrittura di Racine del 1677 ed ambientandolo nella Grecia dei primi anni ’60 del secolo scorso. Viene narrato l’amore “impossibile” tra Fedra (Melina Mercouri), seconda moglie dell’armatore greco Thanos (interpretato dall’attore italiano Raf Vallone), ed il figlio di prime nozze di lui, Alexis (Anthony Perkins). Fedra ha una sorella (Ariadni, cioè Arianna) sposata anche lei con un armatore con cui Fedra aveva avuto in passato una relazione.
Il gioco delle identificazioni è duplice, perché se da un lato i personaggi rimandano alle figure del mito, dall’altro si allude chiaramente ad alcuni celebri armatori greci del tempo (Aristotele Onassis e Stavros Niarchos) ed alle loro mogli Eugenia e Tina Livanos.
La storia si svolge nell’isola greca di Idra, a Londra e a Parigi. La prima scena, ambientata in un cantiere navale, presenta il varo della “Fedra”, una nuova nave dell’armatore Thanos. Costui costringe la moglie Fedra ad andare a Londra per ricondurre sulla retta via suo figlio Alexis (il nome allude ad Alexandros, unico figlio maschio di Onassis), che dovrebbe studiare economia, ma si è invece dedicato alla pittura. Fedra e il giovane figliastro si incontrano al British Museum di Londra nella sala contigua agli “Elgin marbles”, i marmi del fregio del Partenone.
Renata Lavagnini osserva in proposito: “Una scena premonitrice: chi avrebbe detto che quasi quindici anni dopo, da ministro della cultura nella Grecia liberata dai colonnelli, Melina Mercouri si sarebbe posta alla testa, per il suo paese, del movimento internazionale che rivendica il ritorno in patria di questi marmi?” (Fedra al cinema, in “Dioniso” n.s. n. 2, 2003, p. 244).
Fedra e Alexis si innamorano; a Londra e poi a Parigi vivono la loro relazione (al contrario di quanto avviene nell’Ippolito euripideo, il giovane ricambia l’amore della donna).
Ma quando i due tornano in Grecia, Alexis viene sedotto dalla cugina Ercy e per di più si dà a una vita mondana sfrenata, con una lussuosa Aston Martin donatagli dal padre.
Fedra, gelosa, decide di rivelare tutto al marito e lo fa proprio quando giunge la notizia del naufragio della nave “Fedra” (molti marinai periscono nel disastro).
Thanos maledice il figlio e lo caccia di casa; Alexis fugge a velocità pazzesca nella campagna greca ed ha un incidente mortale. Appresa la disgrazia, Fedra si suicida inghiottendo una confezione di sonniferi.
La scena finale presenta il corpo di Alexis esposto nella sede della società armatrice, mentre un funzionario legge i nomi dei sopravvissuti al naufragio ad un gruppo di madri vestite di nero.
Nel film il regista si riservò un cameo, interpretando Christo, un contadino greco.
La musica del film è di Mikis Theodorakis; nella colonna sonora, due canzoni sono interpretate dalla stessa Melina Mercouri (il testo della prima è del poeta greco Nikos Gatsos).
Come scrive Margarita Liberaki, la sceneggiatura del film nacque in collaborazione con Melina Mercouri, “affascinante, ardente e matura come attrice per un ruolo di regina dominata dalla passione”; secondo la scrittrice, il film ha guadagnato col tempo: “ha acquisito un aspetto di documento, è l’Atene di un’epoca, di una classe sociale, ‘il fascino discreto della borghesia’. Dassin ha fatto un film attraente, caldo, un film d’amore, cosa rara nel nostro cinematografo. È audace per la sua epoca. La coppia ‘donna matura e uomo giovane’ non era ancora di moda, e neppure il tema dell’incesto” (Φαίδρα. Σενάριο, Kastaniotis, Atene 1994, pp. 99-100; trad. R. Lavagnini).
Diverso è il parere del critico cinematografico Paolo Mereghetti, secondo cui “l’ambiente altoborghese… non mette Dassin molto a suo agio, facendolo esagerare con una grandiosità melodrammatica che oggi appare molto datata”.