Ricorreva quest’anno il centenario della nascita di Leonardo Sciascia e non sono mancate le dovute celebrazioni della sua straordinaria attività di scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico, critico d’arte e insegnante.
Io mi limiterò qui a ricordare un’esperienza didattica da me attuata nell’aprile del 1999 al Liceo classico Umberto I di Palermo, con la classe ginnasiale V H.
In quel periodo nel biennio della scuola superiore, in ossequio alle direttive ministeriali che invitavano allo studio delle opere letterarie “per generi”, si finiva spesso per proporre ai ragazzi un lavoro frammentario, con la conseguenza che alla fine si accumulavano disordinatamente nella loro mente numerosi brani antologici di autori disparati, accomunati soltanto dalla più o meno casuale appartenenza allo stesso genere letterario.
In particolare, mi era sembrato intollerabile che Sciascia subisse l’ingloriosa sorte di passare come meteora nelle distratte menti dei miei alunni e ritenevo opportuno che essi, già all’età di 15 anni, ne leggessero almeno un libro in edizione integrale. Già allora mi sembrava che il contributo di Sciascia alla cultura italiana fosse sempre più “esemplare” in un momento storico in cui il nostro Paese appariva (ma è corretto qui parlare al passato?) sempre più “orfano” di una figura tradizionalmente fondamentale: quella dell’intellettuale legato alla società e alla storia, capace di analizzare fenomeni storici ed economici, di esprimere diagnosi e di proporre terapie. A questa figura si era e si è sostituita la banale voce narcotizzante dei “media”, la saccente presunzione degli “opinion leaders” (gli “influencer” di oggi), l’ignoranza presuntuosa spacciata sempre più per competenza.
Recuperare Sciascia, allora, proponendo alla V H la lettura integrale de “Il giorno della civetta” (opera del 1961), significava per me farne scoprire ai ragazzi la sconcertante attualità.
Ma quale poteva essere il modo più efficace per proporre Sciascia a degli adolescenti? Leggere e basta? Leggere con il solito apparato didattico tradizionale (riassunti, commenti, relazioni, ricerche più o meno scopiazzate o, come si direbbe oggi, “copincollate”)? Leggere in base alle più recenti invenzioni metodologiche (partorite di volta in volta dal ministero, con conseguente modifica “in itinere” dell’esame di stato di turno?).
Non contento di queste soluzioni, pensai di proporre agli alunni un lavoro di tipo più originale e coinvolgente. Avevo infatti riflettuto sul fatto che una delle armi più pericolose della mafia è stata sempre – più del mitra e del tritolo – l’uso spregiudicato dei fiancheggiatori, degli occulti manipolatori, dei diffusori di fumo; la discussione sul garantismo e sul giustizialismo era allora attualissima e determinati provvedimenti (ad es. il mantenimento o meno del regime di carcere duro per i mafiosi, oppure la legislazione sui collaboratori di giustizia) erano oggetto di roventi polemiche politiche, prima ancora che giudiziarie; di questa realtà i ragazzi erano spesso totalmente ignari (veramente lo erano anche molti adulti…).
Capii dunque come dovevo far leggere “Il giorno della civetta”: trasformando gli alunni in giornalisti, facendo loro “rivivere” la vicenda del libro in forma di quotidiano, con articoli e commenti sul “caso Colasberna”.
Inoltre – ed era questo il dato più stimolante – decisi che i quotidiani dell’immaginario paese siciliano (che Sciascia indicava con la semplice sigla “S “ e che i ragazzi ribattezzarono col nome di “Scarlotto”) dovevano essere due, ben diversi fra loro e realizzati da due diverse redazioni:
1) il primo giornale (“L’Indipendente di Scarlotto”) era coraggiosamente antimafioso, appoggiava lealmente le forze dell’ordine, deplorava l’omertà della popolazione, commentava con sdegno l’amaro esito finale della vicenda;
2) l’altro quotidiano («La Gazzetta di Scarlatto”) era invece filomafioso, anzi negava l’esistenza stessa della mafia, accusava e calunniava i carabinieri, difendeva a spada tratta i “padri di famiglia” ingiustamente accusati da Bellodi, esultava infine (spudoratamente) per il successo conclusivo di don Mariano.
In entrambi i giornali, realizzati dai vari gruppi di alunni, gli articoli erano sempre affiancati da brevi ma efficaci commenti (ovviamente di segno opposto); perfino la scelta “tipografica” era diversa, come diverso era il risalto dato agli eventi e alla loro interpretazione.
L’impaginazione, curatissima, era realizzata al computer (e allora non era così facile e ovvio, non esistevano tablet e telefonini di nuova generazione): il lettore era indotto a “visualizzare” subito la notizia importante. Le immagini scelte erano efficaci e appropriate.
Devo dare atto ai miei ragazzi di allora di avere partecipato con vivo interesse a questo lavoro; e forse, divertendosi a “fare i giornalisti”, essi compresero meglio il potere enorme dei “media”, la loro capacità di presentare e far accettare una certa interpretazione della realtà, la loro immensa abilità nell’ “informare/deformare”. L’esito finale di questo lavoro, tuttavia, non fu l’approdo a un desolante qualunquismo, ma anzi l’acquisizione di una seria consapevolezza interiore e la padronanza degli opportuni strumenti di “decodifica”.
A ciò va aggiunto, ovviamente, un altro duplice risultato conseguito dalla V H: anzitutto una maggiore informazione “culturale” in senso lato, ma anche e soprattutto una maturazione etica e civile, una capacità di “indignarsi” per l’ingiustizia, la sopraffazione e la violenza, una crescente sensibilità per i valori “positivi”, una disponibilità a ragionare in modo libero ed autonomo.
Se compito della scuola è (anche) quello di formare il cittadino, i ragazzi della V H si erano conquistati sul campo il loro diritto di cittadinanza. E forse anche in questo avevamo precorso i tempi, visto lo sbandieratissimo (ma necessario) ritorno allo studio della “cittadinanza” nelle scuole.
L’edizione palermitana di “Repubblica” diede notizia dell’iniziativa il 18 maggio (allego questo ritaglio d’epoca).
Mi piace infine ricordare i nomi dei 24 ragazzi di quella classe, che ricordo con molta stima e affetto: Serena Billitteri, Fabrizio Cacicia, Elisabetta Cangelosi, Maria Anna Ciofalo, Valeria Contino, Giusy Cucina, Alice Di Sclafani, Teide Gaziano, Walter Granà, Maria Serena Ingrassia, Gabriele Lipari, Vittorio Lo Brutto, Silvia Magno, Giorgio Mandalà, Maria Chiara Orlando, Valeria Pirrone, Sabrina Sasso, Emanuela Sausa, Ida Scarlata, Marzia Sciortino, Federico Sparti, Lidia Taibi, Laura Terranova 1983 e l’omonima del 1984.
Chissà se anche loro ricordano questa esperienza scolastica, ancora oggi che sono ultratrentenni; se è così, anche Leonardo Sciascia ne sarebbe contento…