Oggi Silvana e io festeggiamo il 38° anniversario del nostro matrimonio, avvenuto sabato 28 aprile 1984.
Ho visto che questa ricorrenza si chiama “nozze di giada” secondo la fonte più comune e “nozze di mercurio” secondo un’altra (per questa fonte alternativa le “nozze di giada” sono al 26° anno). Francamente “nozze di giada” mi piace di più (non me ne voglia il messaggero degli dèi) e quindi preferisco celebrare questa giornata sotto questa etichetta.
La cerimonia nuziale si tenne in una splendida giornata di sole primaverile, alle 17,30, nella Chiesa della Gancia. I miei testimoni furono mio zio Francesco Rizzo e mio cugino Totuccio Pintacuda, mentre testimoni della sposa furono suo zio Giovanni Battista Palumbo (l’editore) e il padrino di battesimo Carmelo Catanese.
La chiesa era gremita di invitati.
La cerimonia, molto bella (anche per la sapiente scelta delle musiche), fu immortalata da molte foto e da un film super 8 (affidato a un fotografo perché gli abituali operatori di famiglia erano presi da impegni “istituzionali”).
All’uscita, immancabile pioggia di riso: anzi alcuni miei alunni fin troppo entusiasti (forse anche perché si stavano liberando di me per un paio di settimane), esaurito il riso, mi tirarono addosso lo scatolo di cartone ormai vuoto che lo aveva contenuto (non ricordo come gliela feci pagare al mio ritorno).
Io e la mia neoconsorte ci fiondammo nella mia Renault 14 bianca, diretti (senza rumorose scatolette attaccate al paraurti) verso Villa Igiea. Si misero subito alle nostre costole, rombandoci dietro con la loro auto, il mio carissimo amico Enzo Mineo (che non posso finire di rimpiangere) ed Ester, che di fatto ci scortarono sino all’hotel.
Prima del trattenimento il fotografo ci scattò alcune belle foto nella splendida cornice del golfo; ma gli dicemmo di fare presto perché non volevamo fare aspettare gli invitati (il rispetto degli orari e del prossimo è sempre stato sacro per noi).
Il delizioso menu (accuratamente scelto) comprendeva: avocado Nettuno (un minimo di mitologia era imprescindibile), risotto “princesse”, carrè di vitello Igiea (con “patate nocciola”, spinaci al burro e carote “Vichy”), parfait Moka con biscottini, torta nuziale, vino Regaleali del Conte Tasca bianco e vino Steri rosso, Carpené Malvolti e caffè.
Ricordo che, nonostante il momento impegnativo ed emozionante, mangiai e gradii tutto (sono sempre stato “liccu cannarutu”, come dice Camilleri a proposito del suo commissario; quando mia suocera Bice mi invitava per un pranzo o una cena diceva sempre: “Fa venire il cuore!”).
Al momento del parfait si sentirono centinaia di cucchiaini che rumoreggiavano per tagliare il dessert (prelibato ma che opponeva una strenua resistenza); la cosa ci divertì molto.
Non facemmo tardi: allora non si usavano quelle odissee sfiancanti che sono i matrimoni attuali. Passammo la nostra prima notte di nozze a Villa Igiea nella camera 237 e l’indomani, dopo una sontuosa colazione in camera, partimmo per il nostro viaggio a Parigi.
A distanza di così tanti anni, possiamo dire che siamo ancora qui, uniti più che mai e forse quanto mai. E nonostante le tante difficoltà che abbiamo dovuto superare insieme (e che nella vita non hanno mai fine), nella buona e nella cattiva sorte rimaniamo qui, come ci siamo promessi 38 anni fa. Siamo persone di parola.
Auguri affettuosi, dunque ai due sposi, non più tanto novelli ma evidentemente oggi illuminati dallo splendore della giada!
“Il suo silenzio è il mio. I suoi occhi sono i miei. Mi sembra che mi conosca da sempre, che conosca la mia infanzia, la mia vita presente, il mio futuro; come se mi guardasse dall’alto, indovinando il mio intimo essere. Io so che è lei mia moglie” (Marc Chagall, per la sua Bella, 1960).