Come mi è capitato tante volte di osservare, viviamo in un’epoca distratta, convulsa, frenetica, superficiale e soprattutto senza memoria; e a volte basterebbe accentuare il nostro livello di attenzione per capire qualcosa in più degli eventi che accadono intorno a noi.
Stamattina ho pensato di cercare, nella grande discarica di Internet, articoli e notizie relativi al presidente Zelensky e all’Ucraina nei mesi precedenti l’attuale conflitto con la Russia. Ho trovato molti dati interessanti, che documentano senza ombra di dubbio che di “guerra imprevista e imprevedibile” non si può assolutamente parlare.
Mi limito a citare qui, dal sito dell’Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa (un “think tank” che si occupa di sud-est Europa, Turchia e Caucaso), un articolo del 12 gennaio 2022 di Claudia Bettiol così intitolato: «Scontro del presidente Zelensky con gli oligarchi, costante minaccia russa, crisi energetica, pandemia e la guerra nell’est del paese: il 2022 dell’Ucraina si prospetta ancora piuttosto incerto e con molte sfide da affrontare» (cfr. https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/L-Ucraina-di-Zelensky-sotto-pressione-214994).
L’articolo, scritto 40 giorni prima dello scoppio dell’attuale conflitto, evidenziava anzitutto alcune criticità che emergevano all’inizio del nuovo anno in Ucraina: «L’irrisolto conflitto ibrido nei territori orientali del paese, la costante minaccia di una nuova invasione russa, il deterioramento delle aspettative economiche a causa della recente crisi energetica e della pandemia di Covid-19, nonché la lotta alla corruzione e agli oligarchi intrapresa dal presidente Volodymyr Zelensky, sono tutti elementi chiave che l’Ucraina si trascina nell’anno nuovo, arrancando così nel solito clima di incertezza».
Fra i problemi elencati, è interessante rilevare, oltre alla segnalazione (già allora) della “costante minaccia di una invasione russa” (alla faccia del conflitto “imprevisto”), un altro tema che forse non ha avuto nei media il dovuto rilievo: la lotta di Zelensky contro gli “oligarchi”. La Verchovna Rada (il parlamento monocamerale dell’Ucraina) lo scorso autunno, su pressione del leader ucraino, aveva infatti approvato una legge sugli oligarchi che sarebbe dovuta entrare in vigore ora a maggio e che avrebbe dovuto limitare «l’influenza sulla politica e sui media dei magnati ucraini».
L’articolo del 12 gennaio scorso evidenziava inoltre le difficoltà incontrate da Zelensky nel 2021: egli infatti aveva superato «la metà del suo mandato presidenziale non senza ostacoli e con un rating di popolarità piuttosto altalenante». In particolare, poi, si affermava che «l’equilibrio già precario del Paese, stretto da anni nella morsa del Fondo Monetario Internazionale e geopoliticamente in bilico, è stato più volte messo a dura prova da scelte difficili per il capo di stato, che ha dovuto prendere una posizione netta e decidere con chi allearsi e chi, di conseguenza, inimicarsi».
Va detto, fra parentesi, che nel giugno 2020 il FMI aveva confermato 5 miliardi di dollari per l’Ucraina ma «Kiev non è mai riuscita a mantenere le promesse date: il mancato raggiungimento da parte dell’Ucraina degli obiettivi monetari e degli impegni di riforme strutturali interni ha causato più volte la sospensione dell’Extended Fund Facility o il rinvio dei versamenti di finanziamento» (cfr. https://www.balcanicaucaso.org/aree/Ucraina/FMI-l-Ucraina-ne-ha-bisogno-come-sangue-nelle-vene-208546). In altre parole, l’Ucraina versava in una difficile situazione economica, aggravata dal peso insostenibile degli oligarchi, spesso filorussi (come Viktor Medvedčuk, amico stretto di Vladimir Putin); ne era derivato in particolare uno scontro aperto tra uno dei più potenti uomini d’affari del paese, Rinat Achmetov, e il presidente ucraino.
Zelensky aveva disposto un “registro speciale” degli oligarchi, insistendo sull’importanza di stabilire per i grandi imprenditori delle regole di convivenza con lo Stato, al fine di «prevenire le minacce alla sicurezza nazionale poste dall’eccessiva influenza di tali persone». Aveva poi deciso di imporre agli oligarchi varie limitazioni: «verrà vietato di finanziare ogni tipo di attività politica in Ucraina, di partecipare (direttamente o indirettamente) alle gare di privatizzazione su larga scala e saranno obbligati a dichiarare ogni loro attività secondo la legge “Sulla prevenzione della corruzione”; inoltre, i funzionari pubblici di alto livello saranno tenuti a rivelare tutti i loro contatti con gli oligarchi». Contestualmente, Zelensky accusava alcune strutture oligarchiche di diffondere notizie false sulla scarsità di carbone e gas, provocando una crescita della domanda di queste materie e il conseguente aumento del loro prezzo.
Dalla lettura emerge chiaramente la formazione, nei mesi precedenti il conflitto, di un “fronte oligarchico” contro il presidente ucraino; e nell’articolo (ribadisco, del 12 gennaio scorso) si manifesta un esplicito timore: «gli insoddisfatti uomini d’affari Rinat Achmetov, Petro Porošenko (il “re del cioccolato” e presidente dell’Ucraina dal 2014 al 2019), Viktor Medvedčuk, il filantropo Viktor Pinčuk, Arsen Avakov e Dmytro Razumkov potrebbero fare fronte comune e agire insieme per contrastare le politiche che definiscono “monopolistiche” di Zelensky». L’avversione degli oligarchi poteva costare caro al Paese, perché «gli investitori e i creditori stranieri potrebbero pensarci due volte prima di portare denaro in Ucraina. Insomma, una guerra aperta con gli oligarchi non porterebbe a nulla di buono».
Non è tutto. Sempre lo stesso articolo evidenzia quali erano state le difficoltà di Zelensky nel 2021: «Il capo di stato, oltre a dover affrontare guerre politiche e mediatiche con i suoi oppositori e uomini di rilievo, è stato anche protagonista di una serie di scandali di alto profilo, tra cui i famosi Pandora Papers» (si tratta di un’inchiesta giornalistica internazionale che ha svelato le ricchezze nascoste nei paradisi fiscali da migliaia di potenti di tutto il mondo: 35 capi di Stato o di governo – tra cui il presidente ucraino – e più di 300 politici di oltre novanta nazioni: ministri, leader di partito, parlamentari, generali, capi dei servizi segreti, manager pubblici e privati, banchieri, industriali).
Tuttavia si rilevava che «Volodymyr Zelensky rimane il leader indiscusso del Paese: secondo un sondaggio effettuato nei primi di dicembre, se le elezioni presidenziali si tenessero a stretto giro, il 23,5% degli ucraini voterebbe per il presidente in carica».
L’articolo citava poi «l’intensificazione della partnership strategica con gli Stati Uniti, facilitata indubbiamente dalla nuova amministrazione guidata da Joe Biden», nonché l’incremento delle relazioni con l’Unione europea e la NATO, «ricordando ai partner occidentali la necessità di un riconoscimento pubblico della necessità di un percorso dell’Ucraina verso queste organizzazioni e cercando con insistenza il loro appoggio per contrastare l’invasione russa».
Di “invasione russa”, dunque, si parlava già il 12 gennaio; era una prospettiva concreta, prevedibile e prevista.
Nel discorso di Capodanno, Zelensky aveva elencato i principali obiettivi per il 2022: «la vaccinazione nazionale contro l’epidemia di Covid-19, la riforma della giustizia e la lotta contro gli oligarchi»; inoltre, dice l’articolo, il leader ucraino «non ha dimenticato di citare la via della pace e la reintegrazione dei territori occupati, definendo la fine della guerra nell’est del paese il suo principale cruccio e obiettivo per il prossimo anno».
L’ultimo capoverso dà notizia delle «critiche espresse sui social dai suoi concittadini, che hanno espresso la loro indignazione per le parole del capo di stato, sottolineando come i risultati citati da Zelensky in ben 21 minuti (tra cui l’aumento delle pensioni e degli stipendi, la modernizzazione delle infrastrutture e il miglioramento dell’assistenza sanitaria) non corrispondono alla realtà e alle promesse iniziali». Il 2022 si prospettava dunque «ricco di sfide da affrontare».
Ricapitolando, si possono trarre alcune conclusioni e formulare alcune riflessioni.
1) la guerra di Zelensky contro gli oligarchi filorussi nel suo Paese evidenzia un background di problemi economici che è verosimilmente uno dei motivi scatenanti dell’attuale conflitto; la “denazificazione” addotta come pretesto da Putin coincide anche con una volontà russa di “ri-oligarchizzare” il Paese.
2) Zelensky, pur rimanendo fino a pochi mesi fa “il leader indiscusso”, doveva fare i conti non solo con i suoi tradizionali avversari politico-economici ma anche con molti concittadini che (soprattutto sui social) mostravano nei suoi confronti “indignazione”. L’attacco russo ha “distratto”, come sempre avviene in questi casi, la cittadinanza dai problemi interni, in nome ovviamente della resistenza all’invasore.
3) L’esplicito riavvicinamento all’America di Biden, ben prima dell’invasione russa, lascia ipotizzare che non siano mancati a Zelensky supporti di “intelligence” e consigli strategici; ed è strano che nonostante questo si sia parlato di un attacco “imprevisto” di Putin.
4) Lo spauracchio dell’“invasione russa” era evidentissimo nelle parole di Capodanno di Zelensky; eppure in questi mesi nessuno (tanto meno l’Unione Europea e la NATO, con cui il leader ucraino auspicava “l’intensificazione delle relazioni”) ha mosso un dito per evitare lo scoppio di questo devastante conflitto.
Ora, anche se ovviamente l’aggressione russa risulta innegabile, ingiustificabile, sproporzionata, deplorevole e irresponsabile (oltre che scalcagnata nei modi e nei tempi di realizzazione), non sembra si possa negare che, finché si dà la colpa di tutto al solo Putin (per quanto bieco e ottuso tiranno), non si arriva al nocciolo della questione e non si può trovare una via d’uscita da questo tunnel.
Al tavolo di pace si dovrebbero sedere non solo Putin e Zelensky (che lo ha risollecitato in queste ore, evidentemente perché in affanno nonostante i rifornimenti bellici occidentali), ma anche i rappresentanti dell’ONU, della NATO e della UE; e non si dovrebbe delegare a personaggi come Erdogan il “merito” (ben presto ridimensionato) di favorire le trattative.
Sicuramente, poi, si dovrebbero dare una calmata alcuni leader esagitati (come lo scapigliato britannico Johnson) e i guerrafondai più o meno convinti di tutti i Paesi occidentali.
Ci vorrebbe qualcuno che, in questi giorni, ricordasse le parole del Mahatma Gandhi: «Occhio per occhio finisce per rendere il mondo cieco».