Continuiamo la rassegna di vocaboli del dialetto siciliano che vengono compresi e utilizzati anche nell’italiano regionale dell’isola e quindi nella conversazione quotidiana.
Eccone altri quattro.
1) “Cusciuliari”: significa “andare in giro bighellonando”; “cusciutu/cusciuta” è, per il vocabolario Traina, chi per l’appunto ama «andar a spasso o bighellonare». Chi ama “cusciuliare” non ha fretta, si prende il suo tempo, soprattutto non vuole sentirsi dire di fare presto, di “arriminarsi”. Del resto, la Sicilia offre mille occasioni e motivi per “cusciuliare” prendendosela comoda.
Una volta, se una donna usciva di casa troppo spesso, era definita “cusciulera” (che qualcuno fa derivare etimologicamente da “coscia lunga” per il troppo andare a spasso).
2) “Pìspisa”: è una persona di carattere e temperamento del tutto opposto al “cusciutu”; si tratta infatti di un tipo frenetico, agile, scattante, vivace, incapace di stare fermo. Il termine deriva da un uccellino, il cui nome italiano è “cutrettola” (“Motacilla flava”), che Wikipedia-Sicilia descrive così (con precisione ornitologico-sicula): “è n’aceddu cu pizzu suttili e appuntutu, ali e cuda longhi, piumi giarni supra la panza e griciu–bruni supra la schina”. In genere, si dice che è una “pìspisa” un “picciriddu” o “picciridda” scatenato/a, che una ne fa e cento ne pensa; ma lo si può riferire, più in generale, a una persona che brilla per estro e inventiva, che non se ne sta mai con le mani in mano, che non sa poltrire e oziare.
Se la “pìspisa” è piccola o molto giovane, la si può definire “pispisedda”.
Nel vocabolario di Traina il termine “pìspisa” in senso figurato, è riferito anche a “persona attillata e leggiadra”, definito in italiano (o almeno nel fantasioso italiano di Traina) “milordino, figurino, profumino”; devo dire però che, in questa accezione “dandy” io non l’ho mai sentito usare, almeno qui nella Sicilia occidentale.
3) “Scurusu”/ “Scurari” – Un ambiente buio, oscuro, ombroso viene definito “scurusu”; tutt’al più, col solito diminutivo eufemizzante siciliano, lo si può chiamare “scuruseddu”. “Scurusa” può essere una foto scattata senza flash, ma anche una strada non illuminata (cosa normalissima da queste parti, dove l’illuminazione pubblica delle strade è sempre carente).
Il verbo “scurari” invece si può usare per dire che sta facendo sera e che il sole sta per tramontare (“sta scurando”), oppure per esprimere l’intenzione di pernottare da qualche parte (“io stasera mi scuro qua”).
Quando uno non sa dove andrà a dormire quella notte, dice: «’Nsa (= “Chissà”) stasira unni mi scuranu i pedi!».
Se poi ci si vuole consolare da una preoccupazione, esiste sempre un proverbio rassicurante: “Si scura, nun agghiorna?” (cioè: “Se fa notte, non dovrà poi tornare il giorno?”).
4) “Squarari” – Termine molto appropriato nel periodo estivo in Sicilia; significa letteralmente “squagliare”, come conseguenza del caldo intenso. In una giornata particolarmente afosa si dice “sto squarando” (“staju squarannu”).
Con corretta ortografia, Mortillaro usa la voce “squadari” e spiega con «indurre il caldo in checchessia col mezzo dell’acqua bollente» (dire “sbollentare” era troppo difficile…).
Il Traina riferisce il verbo “squadari” (forse per sue traumatiche esperienze genitoriali) all’ «infiammarsi della pelle dei bambini fra le cosce, pel continuo orinare».
A Marsala esiste un tipo di pane detto “squarato” perché, prima di essere infornato, viene rapidamente immerso nell’acqua calda.
C’è però un’altra accezione di “squarari”, usato nella forma “squararsela”; “se l’è squarata” significa “ha capito tutto”, ha “mangiato la foglia”, ha indovinato la verità che qualcuno gli voleva nascondere.
C’è anche la pasta “squaràta”, ma è scotta e priva di condimento.
Comunque sia, in questo periodo in genere “si squara” nel primo dei significati elencati, cioè si muore dal caldo, specialmente a causa dell’umidità ubiquitaria; ma rispetto al torrido calore siciliano c’è anche di peggio, come sa chi vive nella pianura padana o, peggio che mai, a Venezia.
Tanti anni fa, da ragazzo, a metà luglio mi trovavo per l’appunto a Venezia; di ritorno da una passeggiata nel caldo asfissiante della città lagunare (100% di umidità, si respirava acqua e non aria), salii con mio padre nell’ascensore dell’albergo per risalire in camera; eravamo stanchi, sudati e “squaratissimi”; con noi si intrufolò un corpulento turista americano, che bofonchiò un incomprensibile saluto (qualcosa tipo “trough”); mio padre allora, guardandolo fisso e sorridendo, gli disse solennemente: “Si squara”; lo yankee lo guardò con un certo timore reverenziale e ricambiò con un sorriso di circostanza. Scena degna di sottotitoli alla pagina 777.
Per oggi basta così; buona domenica a tutti, con l’augurio di non “squarare” troppo, di “scurare” in un posto ben noto, di avere tempo per “cusciuliari” e, al tempo stesso, di essere (ma quanto basta) una “pìspisa”.