Altri quattro vocaboli siculo-italiani

Continuiamo la rassegna di vocaboli del dialetto siciliano che vengono compresi e utilizzati anche nell’italiano regionale dell’isola e quindi nella conversazione quotidiana.

Eccone altri quattro.

1) Avvicchiarinàtu – Il termine indica chi, pur non essendo ancora anziano, si comporta, si veste e agisce come se lo fosse; in genere si tratta di persone che rifuggono dalle mode e che non amano la modernità. “Avvicchiarinatu” può essere un abito, un gesto, un modo di parlare; tutto ciò, insomma, che contribuisce a rendere qualcuno simile a un “quadro antico”, facendolo giudicare “démodé” e alquanto ridicolo. Vero è che, se oggi si chiede e si ottiene tolleranza per ogni tipo di trasgressione, un’analoga tolleranza potrebbe essere riservata anche agli “avvicchiarinati”, che in fondo non fanno nulla di male e anzi finiscono anche loro per essere ugualmente “trasgressivi” rispetto alla mentalità ormai dilagante.

2) Impaiare – Il verbo siciliano “’mpajari” significa “mettere il giogo ai buoi” (Mortillaro) e si usa anche per indicare l’azione di “attaccare” i cavalli da tiro; da qui deriva un uso metaforico, perché “mpajàrisi ad unu pri davanti” equivale a “sgridarlo, riprenderlo”. Nell’uso comune, “impaiarsi a qualcuno” significa “sgridarlo aspramente”: i genitori “si impaiano” i figli quando ne combinano una grossa, i professori “si impaiano” alunne e alunni che non studiano, i superiori “si impaiano” i dipendenti (sicuri di non poter essere “impaiati” a loro volta). Dire trionfalmente “me lo sono impaiato” è grande soddisfazione per certi “rimproveratori” cronici che si vantano della loro acredine.

È interessante l’etimologia alternativa riferita da Roberto Alajmo: “l’origine del termine è contorta e si riferisce al lavoro del tassidermista, che impagliava gli animali – o anche le persone, nel caso delle catacombe dei Cappuccini di Palermo. Impaiatore/impagliatore è colui che infierisce su un corpo che non ha più la possibilità di opporsi” (“Abbecedario siciliano”, Sellerio 2023, p. 79).

3) Sciarra – È un vocabolo ormai noto in tutta Italia, grazie soprattutto ai romanzi di Camilleri, ove sono all’ordine del giorno le “sciarre” (o, con diminutivo eufemistico, “sciarriatine”) telefoniche fra il commissario Montalbano e la sua “zita” lontana Livia. Una “sciarra” è dunque un’accesa lite, un aspro diverbio; come scrive Roberto Alajmo, “è il litigio repentino e violento, che certe volte si cristallizza nel tempo trasformandosi in risentimento prolungato e imperscrutabile, senza prospettive di soluzione” (op. cit., p. 142); in effetti la natura rancorosa e suscettibile di certe persone è propensa alla “sciarra” e tende a renderla cronica e insanabile. Di conseguenza, il verbo “sciarriàrisi” (che indica appunto il litigio con un’altra persona) è all’ordine del giorno: esistono familiari “sciarriati” fra loro (anche per divergenti interessi economici), c’è chi è “sciarriato” con l’universo creato, c’è chi invece gode a “fari sciarriàri” gli altri per godersi lo spettacolo. C’è da chiedersi a chi giovi tanta acrimonia, tanta bile covata magari per tempi biblici, tanta litigiosità indomabile; ma è domanda retorica.

4) Sfasolato – In dialetto “sfasulatu” o “spasulatu” significa propriamente “senza denari, spiantato, spelacchiato, tribolato” (Traina). Il termine deriva da “fasolu”, cioè “fagiolo”; i fagioli infatti, fin dall’antichità, erano usati nei baratti e avevano quindi un valore economico. La formazione del vocabolo (con una “s” e il suffisso aggettivale “-ato”) è analoga a quella di “s-quattrin-ato”. In Sicilia, nel parlare comune, “sentirsi sfasolato” significa, in senso lato, “sentirsi a disagio, in difficoltà, senza risorse”; lo “sfasolato” dunque deve essere consolato e incoraggiato, per ritrovare fiducia in se stesso e negli altri.

13.09.2024

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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