Seborga è un comune italiano con 320 abitanti della provincia di Imperia in Liguria; il suo territorio è situato nell’entroterra tra Ospedaletti e Bordighera. Gode di un’ottima posizione, sempre soleggiata e con ampie montagne alle sue spalle che la proteggono dai venti freddi del Nord, e di un clima molto mite, con estati fresche e inverni piacevoli.
Benissimo. Ma perché ce ne stiamo occupando?
Perché Seborga si considera un principato indipendente dall’Italia; e lo proclama anche nel suo sito Internet, https://www.principatodiseborga.com/, la cui Home Page presenta una specifica voce “Perché siamo indipendenti”.
Vi si legge, fra l’altro, che «Seborga divenne uno Stato indipendente già nel 954». Infatti in quell’anno il conte Guidone di Ventimiglia, in procinto di partire per combattere “contra perfidos Saracenos” al fianco di Guglielmo il Liberatore (conte di Provenza), donò il territorio di Seborga ai monaci benedettini dell’Abbazia di Sant’Onorato di Lerino; tale abbazia si trovava sulle Isole di Lerino, situate di fronte a Cannes, e all’epoca faceva parte della Contea di Provenza.
Va detto che l’atto notarile di donazione, oggi conservato a Torino, è ritenuto apocrifo; tuttavia, secondo i seborghini, «è certo che la donazione effettivamente avvenne: è infatti giunto ai giorni nostri un documento originale riportante una sentenza del 1177 circa una disputa sorta sui confini tra le proprietà dei monaci e quelle dei Conti di Ventimiglia, e in tale documento autentico la donazione viene esplicitamente confermata. La donazione riguardava un territorio di circa 14 km2».
Nel frattempo, «a partire dal 1079, con l’autorizzazione del Papa Gregorio VII, gli abati di Sant’Onorato di Lerino poterono fregiarsi del titolo di Principi-Abati di Seborga, godendo del cosiddetto “mero et libero imperio cum gladii potestate” (cioè con la facoltà di comminare la pena di morte, tuttavia mai esercitata a Seborga)». La sovranità teoricamente spettava all’Abate dell’Abbazia di Sant’Onorato di Lerino, che però la esercitava raramente: «Chi di fatto comandava a Seborga era il Podestà, spesso scelto dal Principe-Abate e comunque da quest’ultimo sempre approvato».
Nel 1181 la Repubblica di Genova, che aveva esteso i suoi domini sino a Nizza, dichiarò di assumere la protezione delle isole di Lerino e quindi anche di Seborga; la Superba era «irritata per il fatto di avere all’interno del suo territorio un’enclave che sfuggisse al suo controllo politico».
Seborga però continuò a dipendere politicamente e amministrativamente dalla Contea di Provenza; e tale situazione rimase immutata sino al Settecento. In questo secolo, Seborga fu venduta nel 1729 dai monaci a Vittorio Amedeo II di Savoia, ma “l’atto di vendita non venne legalmente ed ufficialmente mai registrato» e i Savoia non pagarono mai l’importo concordato per la vendita (147.000 lire sabaude).
Per di più, come sottolineano i seborghini, l’atto di vendita, «che peraltro non venne mai registrato, non prevedeva esplicitamente che il Re di Sardegna avrebbe acquisito la sovranità su Seborga (tant’è che la dicitura “Principe di Seborga” non compare mai tra i suoi titoli ufficiali), ma semplicemente che il territorio di Seborga sarebbe diventato suo possedimento personale, sul quale avrebbe esercitato il ruolo di protettore (ius patronatus); non a caso, l’acquisto (tra l’altro mai saldato) sarebbe dovuto essere effettuato con le finanze personali del re e non con quelle del regno sabaudo».
La conclusione, secondo i giuristi locali, è questa: «l’annessione nel 1861 al Regno d’Italia e nel 1946 alla Repubblica Italiana è pertanto da considerarsi unilaterale ed illegittima».
Nel 1946 l’esilio e la perdita del trono d’Italia fecero sì che i Savoia perdessero i propri possedimenti personali nella Penisola, Seborga compresa. Le ricerche di Giorgio Carbone nel dopoguerra mirarono allora a dimostrare la “legalità” dell’antico principato che, si ribadiva, non era mai appartenuto “legalmente” al Regno di Sardegna.
Pienamente convinti dai suoi studi, il 14 maggio del 1963 i cittadini di Seborga elessero Carbone proprio principe, con il nome di Giorgio I.
L’augusto principe, il 20 agosto 1996, riaffermò così ufficialmente l’indipendenza del Principato: «Noi Giorgio I, Principe di Seborga per grazia di Dio e per volontà del Popolo Sovrano, per diritto e nel diritto internazionale, vigente in tutti gli Stati con costituzioni democratiche e moderne, ribadiamo e decretiamo la sovranità territoriale, giuridica, religiosa, civile, morale e materiale del Principato di Seborga».
Nessuna reazione o risposta da parte della Repubblica Italiana.
Giorgio I regnò fino al 2009; suo successore fu, dal 2010 al 2019, Marcello Menegatto (Marcello I). Dal 10 novembre 2019, in seguito all’abdicazione del suo predecessore (che è anche suo marito!), è diventata principessa di Seborga Nina Döbler Menegatto, Nina I, di madrelingua tedesca perché nata a Kempten in Germania nel 1978, amministratrice di una società edile, ex ministro degli esteri e prima donna a ricoprire la carica di monarca; resterà in carica per sette anni.
[Fra parentesi, c’è anche un possibile usurpatore: dalla Francia sono arrivate le pretese di un tale Nicolas Mutte, sedicente Nicolas I, che ha creato istituzioni e siti internet paralleli nonché presunte banche di Seborga e, passaporti; ma è al centro di inchieste delle procure francesi proprio su questo tipo di attività].
Seborga ha una sua costituzione (gli “Statuti generali” del 1995), il cui art. 1 recita: “Seborga è un Principato Libero e Sovrano, retto da norme democratiche”. La sua forma di governo è la monarchia costituzionale elettiva: capo di stato e del governo è la principessa, eletta dal popolo di Seborga per un mandato di sette anni e rieleggibile.
Non manca, ovviamente, un inno nazionale seborghino.
Il Consiglio della Corona, che è il gabinetto della Principessa, detiene il potere esecutivo; è guidato dalla Principessa stessa e si compone di 9 Consiglieri. La costituzione prevede poi un organismo chiamato Consiglio dei Priori, costituito dai cittadini nati, battezzati e residenti a Seborga, che detiene il potere legislativo ed è consultato per le relazioni internazionali.
Esistono anche i “Cavalieri Bianchi di Seborga”, posti a protezione della principessa, che appartengono all’Ordine di San Bernardo e sono addetti alla difesa «del sacro territorio del Principato di Seborga» [sic].
Il principato conia una moneta, chiamata “luigino” (nome ispirato alle monete coniate nel XVII secolo), senza alcun valore legale, ma utilizzata come buono spendibile in città; il valore del “luigino” è fissato in 6 dollari statunitensi (e secondo l’ex principe Marcello Melegatto è “la moneta più forte al mondo”!).
Inutile aggiungere che, ufficialmente, il sedicente principato non vanta alcun riconoscimento internazionale; l’Italia esercita pienamente, “de iure” e “de facto”, la giurisdizione sul territorio seborghino. Nondimeno, i seborghini si comportano spesso da Stato indipendente: ad esempio, in occasione della recente scomparsa del Principe Filippo di Edimburgo, S.A. la Principessa Nina non ha mancato di inviare le sentite espressioni di cordoglio del Principato di Seborga a Sua Maestà Elisabetta II.
Se l’Italia non riconosce il principato ligure, tuttavia ne ha approvato lo stemma con decreto del Presidente della Repubblica italiana (9/2/1994). Tale bandiera è suddivisa in due parti: la parte sinistra è a sfondo bianco e presenta il piccolo stemma del Principato; la parte destra (2/3 della lunghezza) è formata da 18 bande orizzontali alternate di colore bianco e azzurro.
Seborga inoltre ha anche proprie “targhe automobilistiche” che, però, non possono essere utilizzate se non accanto a quelle italiane. Vengono poi distribuiti ai richiedenti “passaporti” e “patenti di guida” recanti l’effigie e i timbri del principato (con evidenti scopi folcloristici e di promozione turistica).
Tutto ciò induce molti a malignare (non a torto) che la pretesa indipendenza del principato sia solo un’astuta trovata pubblicitaria per attirare turisti e investitori (non a caso il comune è stato insignito nel 2009 della Bandiera arancione dal Touring Club Italiano e fa parte altresì dei Borghi più belli d’Italia).
In effetti a Seborga non mancano attrattive per i turisti: sono da vedere la Chiesa parrocchiale di San Martino di Tours (prima metà del XVII secolo), l’Oratorio di San Bernardo, i vicoletti del borgo, le arcate in pietra; fra le architetture civili, c’è il Palazzo dei monaci, antistante la parrocchiale di San Martino. Interessante anche l’Esposizione permanente di strumenti musicali, che comprende 135 pregiati strumenti antichi (prodotti dal 1744 al 1930), raccolti sia in Italia che all’estero.
Oltre che come meta turistica, Seborga è conosciuta per la sua attività agricola: in particolare, la coltivazione e raccolta delle olive e la produzione floreale (in particolare le mimose e la ginestra “seborghina”).
Riflettendo su Seborga, territorio indipendente a parole, pensavo come in Italia i “territori indipendenti” esistano davvero, in molte realtà locali “difficili” e soprattutto nei quartieri “a rischio” di molte grandi città, in ampie e ben note porzioni del territorio nazionale.
Ad esempio a Palermo si contano diversi Stati indipendenti, nei quali vigono leggi autonome, diverse da quelle nazionali: si lavora sistematicamente in nero, gli orari degli esercizi commerciali sono del tutto liberi, non si emettono scontrini fiscali, si allacciano abusivamente impianti elettrici, non si pagano le bollette, si piazzano spesso vere e proprie sentinelle al confine per segnalare ingressi sospetti (leggi: visite di “sbirri”), si legifera secondo norme autonome, si emanano sentenze e condanne per chi non rispetta le leggi locali, si respingono le cartelle esattoriali, si prova fastidio e meraviglia quando qualche “invasore” pretenda di imporre le leggi nazionali, si considera lecito l’illecito e legale l’illegale. Forse in questi Paesi indipendenti non c’è un “principe” come quello di Seborga, ma non manca mai un “capo” in grado di imporre la sua legge, che non ammette trasgressioni.
E se l’innocuo e pacifico Principato indipendente ligure, che almeno non fa male a nessuno, potrà continuare ad esistere godendo della simpatia tollerante di tutti, gli altri “territori indipendenti”, che vivono nell’illegalità, andrebbero estirpati dal nostro territorio, riaffermando in essi la presenza dello Stato, senza connivenze e senza tolleranza. Per fare questo, però, occorrerebbe anzitutto garantire agli abitanti di quelle zone “libere” la possibilità reale di vedere riconosciuti i loro diritti civili (e basterebbe scorrere i primi articoli della Costituzione per vedere invece come essi siano sistematicamente disattesi nei loro confronti: es. articolo 4 “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”). Solo dopo aver trasformato quelle persone in veri “cittadini italiani”, si potrà estirpare dal loro territorio ogni traccia di illegalità e ottenere che non ubbidiscano più ai loro principotti locali.
P.S.: consiglio su Youtube un video interessante su Seborga: https://www.youtube.com/watch?v=3gIG8A55NhA (c’è pure un’intervista al Ministro degli Interni e segretario di stato Mauro Carassale, nonché un cavaliere bianco seborghino che afferma, con assoluta sicurezza, che non è l’Italia a dover riconoscere Seborga, bensì Seborga – molto più antica -a dover riconoscere l’Italia).