Il capitano che salvò il suo caporale

La sera del 28 settembre 1942, al termine della sanguinosa battaglia di Josipovac, in Croazia, fra i numerosi feriti della IX batteria del 57° Reggimento artiglieria da montagna c’era anche mio suocero, Ernesto Ponte, che era capitano ed era il più giovane comandante di batteria (aveva 27 anni).

Mio suocero Ernesto Ponte (a sinistra nella foto)

I soccorritori stavano per trasportare subito all’ospedale l’ufficiale, come era consuetudine; c’era un solo posto nell’ambulanza. Ma mio suocero, benché ferito a un’anca, vide accanto a sé il giovane caporale Alessandro Martin (23 anni), originario di un piccolo paese della marca trevigiana, che era in condizioni disperate per una tremenda ferita alla testa: non vedeva più e stava per morire dissanguato. Allora il capitano Ponte, per quanto sofferente e sanguinante, ordinò di trasportare immediatamente Martin all’ospedale da campo a Ogulin.

Proprio in quell’ospedale andò poi mio suocero, prima di lasciare la Croazia per una licenza di convalescenza, per vedere come stava Martin; ma lui era ancora fra la vita e la morte. L’ufficiale poté solo dargli un affettuoso buffetto prima di lasciarlo, senza parlare per non essere sopraffatto dall’emozione. Era convinto che Martin non ce la potesse fare e temeva che non l’avrebbe rivisto più.

Ma Martin aveva la pelle dura. E dopo meno di due mesi lasciò l’ospedale per una lunga convalescenza. Guarì del tutto, si formò una famiglia, ebbe quattro figli e lavorò come messo comunale al suo paese, San Biagio di Callalta. Ma non dimenticò mai il suo capitano, cui sapeva di dovere la vita; ai suoi figli raccontava: «Se non c’era lui sarei morto fra le montagne di Josipovac».

E lo cercò senza sosta per anni, in un’epoca in cui non esistevano i social e ritrovare le persone era un’impresa quasi impossibile. Martin scrisse a tutti gli indirizzi che via via gli venivano forniti dai vari distretti militari a cui si rivolgeva, ma immancabilmente la corrispondenza gli veniva restituita senza alcuna notizia.

L’indicazione giusta arrivò dopo ventidue anni, nel 1966, dall’anagrafe di Palermo, che gli fornì indirizzo e numero di telefono dell’ex capitano Ernesto Ponte, che era diventato costruttore edilizio, sposato e padre di una bambina (la mia futura moglie). Ernesto si commosse e si meravigliò al tempo stesso: credeva che Martin non fosse sopravvissuto e, anche in questa eventualità, pensava che non ricordasse nulla dell’accaduto.

Iniziò una fitta corrispondenza epistolare e telefonica: Martin voleva assolutamente rivedere il suo salvatore e non aveva i mezzi economici per venire quaggiù in Sicilia. Allora, nel 1967, fu mio suocero a decidere di andare a rivederlo; e con moglie e figlia giunse la sera del 19 agosto a San Biagio di Callalta, ove poté riabbracciare il suo caporale.

L’evento fu ricordato ampiamente in un articolo del giornale “Il Gazzettino” (di cui allego anche una foto), con questo titolo: “Un caporale trevigiano abbraccia il capitano che gli salvò la vita”. L’articolo ricorda i dettagli di quella giornata: l’incontro nella “linda casetta” di Martin in via Prati di Rovarè, i discorsi dei due commilitoni che riandavano con commozione ai tempi di guerra, le signore (mia suocera Bice Palumbo e la signora Pierina Cremonese) che conversavano amabilmente, la piccola Silvana che fraternizzava con i quattro figli dell’ex caporale.

Ernesto Ponte e Alessandro Martin brindano al loro ritrovamento dopo 25 anni (S. Biagio di Callalta, 19.08.1967)

Come scrive l’articolo (con una punta di retorica adatta a quei tempi), “con la sua sorprendente memoria [nonostante la botta in testa, aggiungerei io] il caporale ha rievocato per tutti luoghi, momenti e figure di quel lontano autunno 1942. Ha ricordato le sfibranti arrampicate con i pezzi smontati dell’obice da 75/13, su per i dirupi che anche i muli rifiutavano di affrontare; le lunghe notti di sentinella, sotto la neve e la pioggia gelida, le serate gonfie di nostalgia per la patria lontana, la tensione che precedeva la battaglia e la paterna frase del giovane comandante che di fronte all’irreparabile consolava i suoi uomini: «Che ti posso fa’, figghiu miu!»”.

Ma la festa non finì qui: Martin aveva preparato per il “sior capitàn” una bella sorpresa e cioè l’incontro con altri veneti della IX batteria del 57° Reggimento artiglieria. Così, con i canti di trincea e di montagna, si concluse la più bella giornata che l’ex caporale potesse sognare.

Da quel momento, nell’ingresso di casa Martin, accanto alle fotografie antiche e al capello alpino figurarono quelle del sospirato e atteso incontro (ne allego due). E non fu quello l’unico incontro fra i due, che continuarono a tenersi in contatto e si rividero ancora qualche volta.

Ernesto Ponte e Alessandro Martin (S. Biagio di Callalta, 19 agosto 1967)

Io ricordo che, quando diventai “zito” ufficialissimo di mia moglie, mio suocero mi raccontava questo episodio con legittimo orgoglio; e ogni tanto capitava che squillasse il telefono e che si sentisse la voce squillante di Martin (a volte palesemente “allitrato” dal buon vino locale) che gridava col suo forte accento veneto: «Son Martin Alessandro da san Biagio di Callalta. Sior capitàn, le sente le campane?».

E sullo sfondo si sentivano davvero le campane del suo paese, che forse a distanza di tanti anni festeggiavano ancora quella bella storia.

P.S.: la storia finì addirittura sul settimanale di attualità “Stop” (11/9/1967) e sul quotidiano palermitano “Telestar” (13/9/1967).

Dalla rivista “Stop” 11.09.1967
Da “Telestar” (Palermo) 13.09.67

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

3 commenti

  1. Caro prof., ecco uno dei molteplici metodi che ho imparato da Lei… Collegare, contestualizzare, ricercare, emozionare, motivare, tutto è connesso e rimando. Il racconto di un episodio personale si trasforma in una lezione, perché riesce a mettere in luce l’umanità dei militari in un momento storico nazionale atroce. Grazie.

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