Venerdì 6 gennaio 1967, alle ore 13, sul Secondo Programma della radio (attuale Radio Due), andò in onda la prima puntata di “Hit Parade”, condotta dal musicista triestino Lelio Luttazzi.
La trasmissione, destinata a diventare un “cult” soprattutto per gli adolescenti dell’epoca (ovviamente me compreso), aveva come sigla una ben nota musica da circo; Luttazzi vi presentava le prime otto canzoni della classifica dei dischi 45 giri più venduti, per l’appunto la “hit parade”. La domenica andava poi in onda una “Vetrina di Hit Parade” riepilogativa, sempre a cura dello stesso Luttazzi.
Il termine “hit parade”, che allora per noi era del tutto nuovo, era stato coniato negli anni Trenta del secolo scorso ed era stato adottato per molto tempo da un famoso programma radiofonico americano. In Italia la prima classifica di vendita di 45 giri era stata pubblicata a partire dal 1959 dal mensile “Musica e dischi”. Negli anni successivi diversi settimanali musicale, come “TV Sorrisi e canzoni” o “Ciao 2001”, pubblicavano una classifica settimanale dei dischi più venduti, affidandosi a varie società di rilevazione. Una di queste società era la Doxa, cui poi si appoggiò la Rai per la suddetta trasmissione radiofonica
La classifica era anche pubblicata settimanalmente dalla rivista “Radiocorriere TV”; una decina di anni dopo la classifica fu trasmessa anche in televisione all’interno di “Discoring”
Lelio Luttazzi, già conduttore televisivo di “Studio Uno”, era compositore di diverse canzoni di successo ma in realtà era un bravo musicista jazz, che guardava alla musica leggera con un certo distacco; da qui i brevi monologhi e le battute di spirito (legate a temi di attualità) che Luttazzi intercalava fra una canzone e l’altra. Erano spiritosaggini che a noi giovani ascoltatori davano un po’ fastidio perché non vedevamo l’ora di conoscere la classifica; per di più erano accompagnate da finte risate e finti applausi registrati (tipo “sit com” americane…).
Luttazzi non seguiva rigorosamente l’ordine crescente della classifica, bensì si spostava dalla decima alla quarta posizione, divagando con i suoi strampalati discorsi; però faceva rimarcare le oscillazioni nella graduatoria (cioè diceva se un disco era in crescita o in regressione), evidenziava i dischi che apparivano per la prima volta (definiti ancora “nuova entrata” o “nuovo ingresso”; qualche anno dopo, con la consueta resa all’americanismo dilagante, saranno chiamati “new entry”).
Il cosiddetto “podio” (espressione tratta dal linguaggio olimpionico) costituiva la parte conclusiva della puntata, con le prime tre canzoni: la seconda classificata era la “damigella d’onore” e la uno era la “canzone regina”. A volte Luttazzi, per accrescere la suspense, citava prima la canzone n. 2 prima della 3. Per curiosità, la canzone numero 1 del primo numero fu “Bang Bang”, cantata da Dalida.
Furono celebri alcuni casi di “censura” di canzoni proibite all’ascolto di massa in “Hit Parade” (la RAI allora era moralisticamente spietata): fra queste vi furono nel 1967 “Dio è morto” di Guccini (eseguito dai Nomadi e ritenuto blasfemo per il contenuto e per il titolo stesso) e “Inch’Allah” di Adamo (dal contenuto scabroso per i riferimenti alla situazione palestinese). Nel ‘69 toccò a “Je t’aime, moi non plus” (brano “hot” di Serge Gainsbourg e Jane Birkin): quando questo disco arrivò al quarto posto, la RAI comunicò che il disco non doveva essere trasmesso per nessuna ragione, perché “indecente”, sicché a Luttazzi fu anche vietato di nominarne il titolo e la posizione nella classifica delle vendite.
Io ho ritrovato alcuni miei ritagli di giornali dell’epoca, con i dati della Hit parade di Luttazzi; ecco qui sopra la foto della classifica del 16 febbraio 1968. Quasi tutti questi brani erano canzoni del recente festival di Sanremo, che era stato vinto da Sergio Endrigo e Roberto Carlos con “Canzone per te”.
Se si pensa a quello che stava succedendo, in Italia e nel mondo, in quell’anno fatidico, colpisce che la classifica dei dischi fosse così “tradizionale”; ma allora gli adolescenti non erano e non potevano essere grandi consumatori di 45 giri: persino i mangiadischi erano di là da venire, un disco costava e non sempre i genitori mollavano i soldi per comprarli, sicché ci si accontentava di quello che passava il convento RAI, che – come si è detto – proprio a un convento somigliava…
Io ricordo l’attesa settimanale per quella trasmissione del venerdì, ricordo quel grido che si sentiva al termine della sigla (“Hiiiit Paraaaade!!!”) e la curiosità per i cambiamenti di classifica e per i “nuovi arrivi”; era l’ora di pranzo (ore 13) e bisognava convincere i genitori a condividere l’ascolto. Quest’ultima cosa per fortuna a casa mia non richiedeva molta fatica, perché la musica da noi era – appunto – “di casa”; e mio padre, che da poche note era in grado di distinguere una sinfonia di Schubert da un brano di Beethoven o Haydn o Mendelssohn, ascoltava con curiosità le canzonette, riuscendo anche a cavarne osservazioni tecnico-musicali che forse nemmeno gli autori originali avrebbero saputo fare…
Due ultime curiosità.
Alla metà degli anni Settanta andò poi in onda “Dischi caldi”, un’altra trasmissione radiofonica della RAI, condotta da Giancarlo Guardabassi; vi erano presentati i dischi che in classifica andavano dal nono posto in poi e che aspiravano appunto a divenire “caldi”, cioè a entrare nella “hit parade”; insomma, come si diceva, una serie B con tante canzoni che aspiravano alla serie A.
Assecondando la mia consueta abitudine di seguire con curiosità tutto ciò che posso, mi sono divertito a vedere (e a sentire) quale sia oggi, 21 giugno 2021, la Hit parade nel nostro Paese.
Va detto anzitutto che le hit parade oggi sono plurime: quella delle radio, quella su Spotify, quella dei negozi di dischi, ecc. Scegliendo la classifica dei 5 brani “più forti in streaming” trovo questa situazione: al 1° posto Sangiovanni (che non so se faccia l’onomastico fra tre giorni) con “Malibu”, al 2° i Måneskin con “Zitti e buoni” (la canzone con cui hanno vinto Sanremo e l’Eurofestival), al 3° Aka 7even con “Loca” (una specie di tormentone estivo), al 4° Rkomi & Junior K feat. Sfera Ebbasta con “Nuovo range” (un ammiratore estasiato di Sfera commenta così su Youtube: “Sfera lo puoi mettere pure nei cori della chiesa, ti renderebbe hit pure quelli”), al 5° ancora Sangiovanni con “Lady”.
Come esempio dei testi, improntati quasi sempre allo slang giovanile odierno, basti qualche verso di “Zitti e buoni”: “Loro non sanno di che parlo / Voi siete sporchi, fra’, di fango / Giallo di siga fra le dita / Io con la siga camminando / Scusami, ma ci credo tanto / Che posso fare questo salto / E anche se la strada è in salita / Per questo ora mi sto allenando / E buonasera, signore e signori, fuori gli attori / vi conviene toccarvi i coglioni / vi conviene stare zitti e buoni / Qui la gente è strana, tipo spacciatori / Troppe notti stavo chiuso fuori / Mo’ li prendo a calci ‘sti portoni / Sguardo in alto tipo scalatori / Quindi scusa mamma se sto sempre fuori, ma / Sono fuori di testa, ma diverso da loro / E tu sei fuori di testa, ma diversa da loro / Siamo fuori di testa, ma diversi da loro / Siamo fuori di testa, ma diversi da loro”.
Decisamente, molta acqua è passata sotto i ponti, rispetto a quell’antico appuntamento radiofonico del venerdì; rispetto alle canzoni di allora, come è logico, i brani di oggi sono “diversi da loro”.
E Lelio Luttazzi quali battute avrebbe potuto dire? Oggi i ragazzi non hanno tanta pazienza e tanta voglia di sentire lunghe disquisizioni: forse le chiacchiere del conduttore oggi avrebbero indotto molti a cambiare canale o a saltare al brano successivo senza perderci tempo…
I testi erano di Sergio Valentini. Certo, Lelio li leggeva, interpretava, faceva suoi, ma da che mondo e mondo ci sta sempre un copione da seguire e non mi risulta che a un entertainer come Luttazzi (grandissimo compositore e showman e musicista etc etc) potesse essere affidato lo script di un programma. A ciascuno il duo mestiere…
Ricordo benissimo le qualità di Luttazzi come eccelso musicista; né, ovviamente, attribuivo a lui la “responsabilità” delle freddure che gli toccava propinarci. Ma tant’è: era così, i testi erano agghiaccianti e Luttazzi stesso, forse, non era poi così soddisfatto dei testi che gli scrivevano.