Vent’anni fa, il 3 settembre 2001, moriva a Roma Ferruccio Amendola, attore e soprattutto famoso doppiatore. Nato a Torino nel 1930, diventò celebre prestando la sua inconfondibile voce a Robert De Niro, Sylvester Stallone, Dustin Hoffman, Al Pacino e Tomas Milian.
Sposò l’attrice e doppiatrice Rita Savagnone, da cui poi divorziò nel 1971 e dalla quale ebbe due figli: uno di essi è l’attore Claudio Amendola.
Per valutare la straordinaria professionalità di Ferruccio Amendola, basta confrontare il modo in cui doppiò Al Pacino nella parte di Michael Corleone nella saga “Il Padrino” con l’insulso e deludentissimo nuovo doppiaggio dei tre film, voluto nel 2008 da Francis Ford Coppola per consentire un audio adatto ai nuovi supporti tecnologici.
La voce del pur volenteroso Massimo Rossi, nel ruolo di Mike Corleone, resta abissalmente meno efficace di quella di Amendola: quest’ultimo infatti aveva reso in modo magistrale la progressiva metamorfosi del personaggio, che si trasformava gradualmente e inesorabilmente dal promettente e onesto giovane reduce di guerra nel gelido nuovo “padrino”, più spietato e cinico del padre; Amendola riusciva a far percepire nelle singole battute i sentimenti di Mike, arrivando all’articolazione di sferzanti sibili nelle battute più agghiaccianti. Nulla a che fare con la freddezza del nuovo doppiaggio: come scrive Pino Farinotti su www.mymovies.it., “la differenza è troppa: è come sentire una sinfonia diretta da Karajan oppure da un allievo del conservatorio”.
Tali e tante sono state le proteste degli spettatori (molti hanno addirittura cambiato canale quando il nuovo doppiaggio è stato presentato su Sky), che la distribuzione è arrivata a un ripensamento, decidendo di editare entrambi i doppiaggi e lasciando al pubblico la libertà di scelta; una scelta che inevitabilmente cade sempre sull’inimitabile versione “classica”, alla quale – oltre ad Amendola – avevano partecipato grandi doppiatori come Giuseppe Rinaldi (don Vito Corleone, alias Marlon Brando), Pino Colizzi (Sonny Corleone / James Caan), Cesare Barbetti (Tom Hagen / Robert Ruwall), Rita Savagnone (Connie Corleone / Talia Shire), Riccardo Cucciolla (John Cazale / Fredo Corleone) e Vittoria Febbi (Diane Keaton – Kay Adams).
Il doppiaggio è in uso nel nostro Paese dagli anni Trenta del secolo scorso. Con l’avvento del sonoro, nel 1927 il mercato del cinema americano aveva subito un brusco calo: i cinematografi europei non erano attrezzati per proiettare pellicole sonore e inoltre alcuni regimi (incluso ovviamente quello fascista) erano contrari alla proiezione di film che non fossero in lingua locale.
Un primo esperimento fu quello di intervallare le immagini mute con didascalie, ma la lunghezza dei film così cresceva e inoltre veniva di fatto vanificata la nuova invenzione. Iniziarono così i primi esperimenti di sincronizzazione nelle varie lingue nazionali: il primo esperimento in lingua italiana fu eseguito nel 1929 in California negli studi della Fox Film, dove l’attore italoamericano Augusto Galli doppiò una scena del film “Married in Hollywood” di Marcel Silver (1929): nacque così il doppiaggio in lingua italiana.
Il risultato, benché non esaltante, fece scuola: le maggiori case di produzione iniziarono ad assumere attori italoamericani o italiani emigrati negli USA, incaricandoli di doppiare i film da presentare in Italia. Il primo film ad essere doppiato interamente in lingua italiana fu “Carcere” (“El presidio”) diretto nel 1930 da Ward Wing e prodotto dalla Metro-Goldwyn-Mayer; il risultato fu una recitazione con stranianti forti accenti americani.
Nel 1931 la Metro-Goldwyn-Mayer intensificò la pratica del doppiaggio, che si affermò sempre più, anche perché gran parte della popolazione italiana, all’epoca analfabeta, non era in grado di leggere i sottotitoli. Un esempio famoso di questa pratica fu il doppiaggio di Stanlio e Ollio, Stan Laurel e Oliver Hardy, che giravano ogni scena dei propri film in diverse lingue, fra cui l’italiano; intorno al 1932 il doppiaggio italiano della coppia fu affidato a due studenti, Carlo Cassola e Paolo Canali, che imitarono il buffo accento anglosassone che i due attori americani avevano quando recitavano in italiano; in seguito, come è noto, dal 1938 la voce di Ollio fu affidata al bravissimo Alberto Sordi, allora al suo esordio.
Allorché nel 1932 un regio decreto dispose che i film doppiati all’estero non fossero proiettati nelle sale italiane, si affermò il doppiaggio locale, affidato a case come la Cines-Pittaluga, che nell’estate del 1932 inaugurò a Roma il primo stabilimento di doppiaggio italiano; il primo film ad essere doppiato fu “A me la libertà!” (“À nous la liberté”, 1931) di René Clair (fra i doppiatori fu Gino Cervi). Nacquero anche altre case di doppiaggio, come la Fotovox, l’Itala Acustica e soprattutto la Fono Roma, fondata da Salvatore Persichetti, che si affermò grazie al fatto che le grandi produzioni americane le affidarono le edizioni italiane dei propri film.
Da allora, in Italia, la pratica di doppiare i film fu adottata da tutta l’industria cinematografica; dopo la guerra la consuetudine fu ulteriormente favorita dal Piano Marshall, che intendeva in qualche modo porre le basi per una propaganda culturale rivolta ai paesi usciti sconfitti dal conflitto mondiale (furono stanziati per l’Italia 800 milioni di dollari per l’acquisto di film americani e una quota fu destinata al doppiaggio di questi film).
Ancora oggi l’Italia è una delle nazioni che utilizza maggiormente il doppiaggio e vanta grandi professionisti in questo settore. Alcuni attori stranieri hanno per noi un’inconfondibile voce italiana: e vorrei ricordare qui almeno due altri grandi doppiatori scomparsi, cioè l’inimitabile Gualtiero De Angelis (1899-1980, voce di Cary Grant, James Stewart, Errol Flynn, Dean Martin, ecc.) e il bravissimo Pino Locchi (1925-1994, doppiatore di Sean Connery, Tony Curtis, Roger Moore, Charles Bronson, Terence Hill, Sidney Poitier, Jean-Paul Belmondo, Kabir Bedi e molti altri).
Non mancano ovviamente le polemiche, soprattutto da parte di chi preferirebbe vedere i film stranieri in lingua originale con i sottotitoli (come del resto è ormai possibile fare anche sulle varie reti televisive), ma l’abitudine al doppiaggio è tenace e persistente. E comunque, tanto per non sentirci unici al mondo, ricordo di avere visto alcuni anni fa a Parigi, nella mia camera di albergo, una puntata de “Il commissario Montalbano” doppiato in francese, con momenti di surreale ilarità quando si sentiva l’agente Catarella esprimersi con una sorta di grottesco accento marsigliese…