Un anno di Covid – 17 / Il giorno della marmotta e il Dialogo del Covid e di un Siciliano

UN ANNO DI COVID – 17

Continuo a riproporre qui alcuni miei post, pubblicati su Facebook all’inizio di quest’anno, che commentavano gli sviluppi dell’epidemia nel nostro Paese.

Il primo post, risalente al 17 gennaio 2021, si intitola “Il giorno della marmotta”; la Sicilia, su richiesta del suo governatore Musumeci, era tornata in lockdown, a causa dell’impennata preoccupante di contagi (nell’ultima settimana aumento del 66,6% dei positivi al Covid).

Mi chiedevo i motivi di questa regressione, individuandola variamente nelle troppe riunioni familiari nelle recenti festività natalizie e nelle persistenti carenze organizzative (l’emergenza era ancora affidata – ahinoi – a Conte e Arcuri). Ne derivava un senso di sfiducia e di stanchezza, che a me ricordava il film “Ricomincio da capo”, in cui il protagonista era condannato a rivivere sempre la stessa giornata, senza cambiamenti di sorta. Il post si concludeva con la citazione di una poesia di Kavafis, intitolata per l’appunto “Monotonia”, a segnare un periodo di inconcludente e avvilente staticità.

Bill Murray in “Ricomincio da capo”

48) 17.01.21 – IL GIORNO DELLA MARMOTTA

E rieccoci in zona rossa, rieccoci in una situazione di lockdown (anche se si nota un ritegno a pronunciare ancora questa indigesta parola).

La Sicilia, per bocca del suo governatore Musumeci, ha chiesto e ottenuto di passare dalla zona arancione alla zona rossa, visto i dati epidemiologici scoraggianti: ieri 1954 nuovi contagi accertati su oltre 10.000 tamponi molecolari (2a in Italia dopo la Lombardia), tasso di positività che continua a salire (dal 18,4% al 18,8%), 38 decessi. Secondo l’ultimo monitoraggio del Ministero della Salute e dell’Istituto superiore di sanità nel periodo 4-10 gennaio la Sicilia ha visto un rialzo di positivi pari al 66,6% nell’arco di una settimana rispetto ai sette giorni precedenti (la variazione più alta in Italia).

Musumeci ha deciso dunque di procedere a misure più rigide: “Se si usa ancora aspirina invece di usare il bisturi io credo che a marzo-aprile tutta Italia aprirà e noi saremmo costretti a stare ancora chiusi”.

Di chi è “la colpa” di questa regressione, di questo ritorno ai massimi livelli di emergenza? Si è criticato il comportamento irresponsabile di troppa gente durante le feste; e sicuramente questo c’è stato.

Ieri un pasticciere palermitano ha dichiarato che durante le feste gli sono state commissionate torte per 50-100 persone! E dove le avranno mangiate? A gruppi distanziati di 2?

Moltissime persone in coda al drive-in della Fiera per fare il tampone rapido (infatti si attendono 3-4 ore) hanno ammesso, preoccupate e con tardive lacrime agli occhi, di avere fatto troppe riunioni “proibite” con amici e familiari durante le feste, anche nei giorni di (presunto) lockdown.

Non mancano però critiche (comprensibilissime) a chi sta gestendo la lotta all’epidemia: politiche sanitarie fallimentari, regole stabilite e poi disattese o continuamente modificate, contrasti fra le diverse autorità centrali e regionali, controlli insufficienti o inesistenti, sistemi di tracciamento dei contagi del tutto inadeguati (altro che app Immuni!), problemi non risolti se non a chiacchiere (vedi il potenziamento del sistema dei trasporti o l’attuazione di decisioni univoche, sagge e durevoli sul ritorno a scuola dei ragazzi).

Comunque sia, rieccoci in fase “rossa”: riprende (per la stragrande maggioranza dei cittadini, quelli ossequiosi alle direttive e alle regole) il “giorno della marmotta”.

Ne parlava il film “Ricomincio da capo” (“Groundhog Day”), una commedia americana del 1993 diretta da Harold Ramis, interpretato da Bill Murray e Andie MacDowell.

La scena-tormentone di “Ricomincio da capo”

Uno scorbutico meteorologo, Phil Connors, si reca controvoglia nella piccola città di Punxsutawney, in Pennsylvania, per fare un reportage sulla tradizionale ricorrenza del Giorno della marmotta (festa celebrata negli Stati Uniti e in Canada il 2 febbraio). Qui però succede uno strano corto-circuito temporale, per cui ogni mattina, alle 06.00 in punto, Phil viene svegliato dalla radio che trasmette sempre lo stesso brano musicale e da allora ogni giornata ripete inesorabilmente la precedente. Tutti gli eventi si ripetono identici ogni giorno: gli stessi incontri, le stesse parole, le stesse circostanze. Alla lunga, questa vita ripetitiva conduce Phil alla depressione, ma anche (gradualmente) a scoprire meglio se stesso e gli altri, rendendolo meno egoista e consentendogli alla fine di rompere l’incantesimo, di uscire dalla trappola temporale e persino di trovare l’amore.

Noi, come Phil Connors, siamo in qualche modo “intrappolati” da ormai quasi un anno in una sorta di incubo infinito, di stasi interminabile, di “ripetizione” di cose già fatte e già dette. Un déjà-vù sempre più difficile da accettare.

C’è solo da sperare che questo incantesimo si rompa anche per noi e che il “giorno della marmotta” finisca per tutti e una volta per tutte. Quanto invece alla speranza collaterale che si avverava nel film, cioè che l’esperienza vissuta ci renda migliori, moltissimi segnali purtroppo la rendono di difficile attuazione: la diffidenza, l’intolleranza reciproca, il fastidio per l’altro, accresciuti esponenzialmente da mesi e mesi di isolamento, si sono radicati in molti di noi e potrebbero restare anche a emergenza finita. Anche il forzato uso delle mascherine ci rende sfuggenti, irriconoscibili anche a noi stessi, frettolosi e laconici.

Io detesto leggere le notizie sul telefonino, ma in tempi del genere mi è toccato anche questo; ebbene, mi capita di seguire le notizie date da un’app, Palermo-Today (presente ovviamente in altre città con nomi diversi), che presenta in tempo quasi reale i fatti del giorno. Ebbene, quello che, rispetto alle notizie, risulta ancora più sconfortante da leggere è la serie dei commenti delle persone: una sequela di parolacce, insulti reciproci irripetibili, espressioni di odio smisurato e indiscriminato. Non sto a ripetere quali forbiti giudizi siano dati su Musumeci, su Orlando, su Conte, su Renzi, su quasi tutti i politici e su chiunque prenda una decisione, ritenuta comunque sbagliata e inaccettabile. Il tutto condito da un abisso di errori di ortografia e sintassi (che sarebbe forse magnanimamente perdonabile se non fosse unito a un atteggiamento saccente di presunzione onnisciente).

Così va spesso il mondo… voglio dire, così va nel secolo XXI. E non sembra proprio un bel mondo.

In un contesto così buio, mi torna in mente una poesia (molto triste come quasi tutte quelle sue) di Costantino Kavafis, intitolata “Monotonia”, che mi pare molto adatta al nostro “giorno della marmotta”: «Segue a un giorno monotono / un nuovo giorno, monotono, immutabile. / Accadranno le stesse cose, / accadranno di nuovo. / Tutti i momenti uguali vengono, se ne vanno. / Un mese passa e un altro mese accompagna. / Ciò che viene s’immagina senza calcoli strani: / è l’ieri, con la nota noia stagna. / E il domani non sembra più domani».

The Cavafy archive is constituted by a large number of manuscripts, makeshift collections of poems and prose works, articles, drafts and notes of C. P. Cavafy, as well as the personal archive of the poet comprising his correspondence and collection of photographs. It also includes the Singopoulos archive, as a distinct archival unit amassing material pertaining to the poet, and the archive of Alexandrini Techni.

L’indomani, 18 gennaio 2021, per sdrammatizzare un po’ la situazione, pensai di “riscrivere” una delle “Operette morali” di Leopardi, il “Dialogo della Natura e di un Islandese”, trasformandolo in un “Dialogo del Covid e di un siciliano”. Nel dialogo il virus, non meno agghiacciante della Natura leopardiana, proclamava con serena impassibilità la sua condizione ontologica: “anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne accorgerei: mi basterebbe l’essermi moltiplicato in milioni e milioni di nuovi esemplari”. E cadeva nel vuoto l’ultima, disperata domanda del Siciliano: “oltre a te, a chi piace o a chi giova questa pandemia infelicissima universale, alimentata con danno e con morte di innumerevoli persone?”. 

49) 18.01.21

DIALOGO DEL COVID E DI UN SICILIANO

Un Siciliano, che era corso per la maggior parte del mondo e aveva soggiornato in diversissime terre, andando una volta all’interno dell’Africa, e passando sotto la linea equinoziale in un luogo non mai prima penetrato da uomo alcuno, vide da lontano una sfera grandissima. Fattosi più da vicino, vide una forma smisurata seduta in terra, di aspetto simile all’androgino platonico, una grossa palla azzurra con 4 braccia e 4 zampette; non era finto ma vivo, di volto mezzo tra canagliesco e terribile, di occhi nerissimi e senza capelli; questi lo guardava fissamente e infine gli parlò.

COVID. Chi sei? che cerchi in questi luoghi dove la tua specie sicula era incognita?

SICILIANO. Sono un povero Siciliano e vado sfuggendo al Covid.

COVID. Io sono quello che tu fuggi.

SICILIANO. Mi******! Il Covid sei?

COVID. Non altri.

SICILIANO. Bella camurrìa! Me ne dispiace fino all’anima; maggior disavventura di questa non mi poteva sopraggiungere.

COVID Ben potevi pensare che io frequentassi ogni parte del mondo, Africa compresa (anche se i dati ufficiali da qui non arrivano); ovunque si mostra la mia potenza. Ma che cosa era che ti costringeva a fuggirmi?   

SICILIANO. Tu devi sapere che io nella mia isola ebbi molta esperienza della vanità della vita e della stoltezza degli uomini; essi, combattendo continuamente gli uni cogli altri per l’acquisto di piaceri che non dilettano e di beni che non giovano, sopportando e cagionandosi scambievolmente infiniti mali, tanto più si allontanano dalla felicità, quanto più la cercano. E poi c’è l’Etna, il caldo, il traffico (come diceva Benigni); ci sarebbe anche la mafia, a dirla tutta, ma anche l’Ente Inutile Regione Siciliana, migliaia di forestali e decine di migliaia di disoccupati, moltissimi lavoratori in nero con reddito di cittadinanza, tantissimi giovani costretti a emigrare al Nord o all’estero come alla fine dell’800. E inoltre ci sono tantissimi politici isolani in costante discordia reciproca, sempre impegnati ad emanare ordinanze incomprensibili, fluttuanti e contraddittorie. Per queste considerazioni, deposto ogni altro desiderio, deliberai di vivere una vita oscura e tranquilla. Ma sei venuto tu, il virus, un anno fa, a travagliare il mondo intero, compresa ovviamente la mia isola. Da allora la nostra vita è cambiata: morti a migliaia, tamponi positivi, indice RT, mascherine, distanziamento, gel per le mani, scuole chiuse/aperte/richiuse, mezzi pubblici insufficienti e affollati o guasti, ristori che non ristorano, app Immuni che non tracciano, primule che non sbocciano, comitati tecnico-scientifici e commissari governativi, governi trasformisti (o “tris-formisti”, come si deve dire ora), vaccini col contagocce, negazionisti. Tutto ciò, per giunta, in una vita sempre uguale a sé medesima e spogliata di qualunque altro desiderio e speranza, in un lockdown pressoché costante (almeno per chi lo rispetta). Pertanto, mi posi a cangiare luoghi e climi, per vedere se in alcuna parte della terra potessi sfuggire al tuo micidiale contagio. Quasi tutto il mondo ho girato e fatta esperienza di quasi tutti i paesi. Ma ho trovato la variante inglese in Gran Bretagna, quella brasiliana in Sudamerica, pipistrelli assatanati in Cina, vaccini fai-da-te in Russia; sono stato arso dal caldo fra i tropici, congelato verso i poli, afflitto nei climi temperati dall’incostanza dell’aria. E in qualunque modo, pur astenendomi totalmente da ogni diletto, ho sempre rischiato di incappare nel tuo contagio e di finire in terapia intensiva. Insomma, io non mi ricordo aver passato un giorno solo di quest’ultimo anno senza qualche pena; e invece non posso numerare quelli che ho consumati senza nemmeno un’ombra di godimento. E sono arrivato alla conclusione che tu sei nemico degli uomini: ora ci insidii, ora ci minacci, ora ci assalti, ora ci pungi, ora ci percuoti, ora ci laceri, e sempre ci offendi o ci perseguiti. Pertanto rimango privo di ogni speranza.

COVID. Ma che ti credevi, che il mondo fosse fatto per causa tua?  Ora sappi che nelle operazioni mie, tranne pochissime, sempre ebbi ed ho l’intenzione a tutt’altro che alla felicità o all’infelicità degli uomini. Quando io vi contagio in qualunque modo e con qualunque mezzo, io non me ne accorgo. Io so che il mio compito (voi italiani anglofili direste “la mia mission”) è quello di moltiplicarmi: da me nascono altri 2 come me, da quei 2 altri 4, dai 4 altri 8, dagli 8 altri 16 e via di questo passo. Io vivo se mi moltiplico; e pur di continuare a farlo non bado ai mezzi con cui lo faccio. E se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne accorgerei: mi basterebbe l’essermi moltiplicato in milioni e milioni di nuovi esemplari.

SICILIANO – Ma ora ti domando: chi ti ha chiesto di venire a moltiplicarti nel nostro pianeta? Ne esistono miliardi e miliardi, disseminati in un universo infinito. Proprio noi dovevi venire a devastare? E comunque non sarebbe compito tuo, se non quello di starci lontano, almeno vietare che io sia tribolato ed impedire che io rischi di morire da solo e senza il conforto delle persone care in una corsia di ospedale (fra l’altro sentendo gente che nega che ciò stia accadendo)? E questo che dico di me, lo dico di tutto il genere umano.

COVID. Tu dimostri di non aver capito, e ti ostini a non capire, che la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé in modo tale che ciascuna serve continuamente all’altra ed alla conservazione del mondo. Io, in modo molto semplice e minimalista, sono addetto alla conservazione e alla moltiplicazione di me stesso; e per fare questo non tollero ostacoli. Del resto voi fate il possibile per non crearmene: le vostre zone rosse sono dei colabrodo in cui il rispetto delle regole è lasciato alla buona volontà di pochi illusi, i vostri provvedimenti sono confusi e contraddittori, i tempi della vostra azione sono dieci volte più lenti del mio ritmo di riproduzione, i vostri governanti litigano e si accapigliano su tutto. Pertanto giudico che, per quanto mi riguarda, non sarete presto liberi da patimento.

SICILIANO. Bel ragionamento, davvero. Ma ora dimmi quello che nessun filosofo mi sa dire: oltre a te, a chi piace o a chi giova questa pandemia infelicissima universale, alimentata con danno e con morte di innumerevoli persone? 

EPILOGO

Mentre i due interlocutori stavano in questi e simili ragionamenti, è fama che sopraggiungessero due pipistrelli provenienti dalla Cina (il mondo ormai è globalizzato), così rifiniti e maceri dall’inedia, che appena ebbero forza di infettare il Siciliano; il che fecero; e, presone un poco di ristoro, si tennero in vita per quel giorno.

Ma ci sono alcuni che negano questo caso, e narrano invece che un fierissimo vento di scirocco (giunto appositamente dalla Sicilia), alzatosi mentre che il Siciliano parlava, lo stese a terra, e sopra gli edificò un superbissimo mausoleo di sabbia. Sotto il quale costui, disseccato perfettamente e divenuto una bella mummia, fu poi ritrovato da certi viaggiatori, e collocato in un bel museo siciliano. Tanto era sempre chiuso per mancanza di personale.

L’aleatorietà del nuovo lockdown era segnalata il 20 gennaio 2021 nel post “Rosso relativo”. Andando in giro per Palermo, constatavo una situazione quasi “normale”: gente in giro, negozi aperti, traffico intenso, assembramenti; e questo non in periferia, ma al centro. Intanto la Sicilia era balzata al primo posto nazionale per i contagi e gli ospedali erano in affanno. Non a torto, credo, tornava in mente la celebre canzone di Tiziano Ferro…

50) 20.01.21

ROSSO RELATIVO

Alcuni giorni fa il presidente della Regione Siciliana Musumeci, nel mostrare la propria soddisfazione per la decisione nazionale di proclamare la Sicilia “zona rossa” aveva aggiunto che ” l’ordinanza senza le misure di vigilanza e senza le necessarie sanzioni rischia di essere inutile”; perciò rivolgeva “un appello a prefetti e sindaci affinché forze dell’ordine e polizia municipale possano essere mobilitate per questo tipo di attività”.

Oggi sono sceso per la spesa. Gente a spasso anche in coppia o addirittura a gruppi, negozi (pressoché tutti) aperti, traffico quasi normale, capannelli di 2-3 persone (non sempre giovani) davanti a certi negozi (sentivo discorsi sul Palermo, su una pensione in ritardo, addirittura su ricette alimentari e nessuno sulla crisi politica). E questo, attenzione, in pieno centro di Palermo, a pochi passi da piazza Politeama.

C’era, sì, un’auto della polizia municipale: e ne ho visto scendere un agente. Credevo che si dirigesse a disperdere un capannello di 3-4 persone che stazionavano serafiche davanti a un salumiere; macché: si è invece indirizzato verso un’auto in divieto di sosta e l’ha inesorabilmente multata.

Del resto l’ordinanza fa acqua da tutte le parti: i negozi aperti sono tantissimi (perfino la Lego! per necessità dei bambini?); se si è fermati (ma da chi?) basta dire di dover andare da una qualunque parte (spesa, parrucchiere, farmacia); l’autocertificazione resta costantemente nella tasca degli ossequiosi, inutilizzata.

Tutto questo mentre la Sicilia è ormai al primo posto nazionale per i contagi, avendo ormai superato la Lombardia: ieri 1641 infezioni (363 in più rispetto al giorno prima e quasi il 16% del totale nazionale); il tasso di positività sale pure, dal 15,2% al 16,4%, aumenta il numero dei ricoveri e gli ospedali sono ovunque in affanno.

Sul “Giornale di Sicilia” di oggi il dott. Antonio Cascio, direttore dell’UOC Malattie infettive di Palermo, dà la colpa della persistente e crescente epidemia alle follie di fine dicembre: “in molti, soprattutto fra i giovani, anziché rispettare le regole anti-contagio hanno preferito seguire comportamenti scellerati, frequentando la movida, in strada o nelle case. Gli effetti si stanno facendo sentire adesso”. Poi aggiunge, sibillino: “Ma può esserci dell’altro”; e butta là l’ipotesi di una “variante siciliana” del virus.

Ci voleva pure la variante siciliana! E comunque non ci sarebbe da stupirsi, perché notoriamente qualunque cosa arrivi nell’isola da fuori qui si “sicilianizza”, assume connotati (positivi o negativi che siano) totalmente “locali”, si “de-centralizza” e rivendica potentemente la risaputa “autonomia” della nostra regione.

Nel frattempo, ci sia la variante indigena o ci si accontenti del prodotto di esportazione, i contagi dilagano. E a vedere la gente a spasso, la vita che scorre normale (per chi non si è ammalato), le ordinanze fatte tanto per farle, i vaccini che non arrivano, i governi che sopravvivono a se stessi, è difficile essere fiduciosi.

Eppure c’è anche molta gente che fa sacrifici, che si rintana in casa, che rispetta le regole, che si sforza di comprendere anche le più assurde e mutevoli direttive: ma a queste persone, che sono la parte migliore del Paese, nessuno dà importanza, perché la loro disciplinata acquiescenza è considerata normale, “dovuta” e indiscutibile; e si ha l’impressione che chi è onesto e rispettoso delle regole sia, come si dice qui in Sicilia, “cornuto e bastonato”.

Restiamo dunque in rosso. Ma, come direbbe Tiziano Ferro (che però pensava a tutt’altro) è solo un “rosso relativo”.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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