La città fra le nuvole

Ci vivreste in una città sospesa a metà fra terra e cielo?

Pensate: nessun problema di inquinamento, fresco assicurato anche d’estate, nessuna necessità di andare in vacanza in montagna (tanto, più in alto di così…), nessuno che osi dirvi che avete “la testa fra le nuvole” (perché l’espressione, ormai globalizzata, avrebbe perso il suo senso originario).

Ma esiste una città così?

Beh, è esistita. Almeno nella fantasia straordinaria di Aristofane, il più grande poeta comico della Grecia antica, che la inventò nella sua commedia “Gli uccelli”.

La rappresentazione degli Uccelli avvenne alle Dionisie del 414 a.C; è la commedia più lunga di Aristofane – ben 1765 versi – e con il maggior numero di personaggi (in tutto 22).

Ottenne il secondo premio: la vittoria andò ad Amipsia con i Comasti; terzo fu Frinico con il Solitario. Probabilmente la commedia di Amipsia (che già aveva sconfitto le Nuvole di Aristofane) aveva un maggiore aggancio con la realtà (alludeva infatti alla mutilazione delle Erme da parte di giovani “ubriachi”; il titolo Comasti significa appunto Gli avvinazzati).

Riepilogo anzitutto la trama della commedia.

Pistetero (lett. “amico fedele”) ed Evelpide (lett. “che spera in bene”), anziani e insigni cittadini ateniesi, disgustati dal comportamento dei loro concittadini, decidono di lasciare la città e di recarsi in un bosco presso Upupa, il re degli uccelli (che una volta era il re Tereo).

Costui convoca gli uccelli a parlamento per discutere l’idea di Pistetero, quella di fondare una nuova città fra cielo e terra, Nephelokokkyghìa (Νεφελοκοκκυγία, cioè “La città delle nuvole e dei cuculi” o “dei cuculi tra le nubi”); essi potranno, così, vivere serenamente e restituire agli uccelli l’antico potere che un tempo gli dèi avevano sottratto loro.

Νεφελοκοκκυγία, la città delle nuvole e dei cuculi

Dopo iniziali perplessità, gli uccelli aderiscono al progetto: nella parabasi il coro celebra con entusiasmo il piano, esponendo una fantastica teogonia che dà forza alle loro rivendicazioni.

Nel frattempo, nella nuova città accorrono vari aspiranti cittadini appartenenti alle peggiori categorie ateniesi (ad es. un poeta pitocco ed un astronomo), ma sono prontamente allontanati: in particolare Pistetero deve espellere alcuni immigrati di pessima risma (un giovane parricida, il ditirambografo Cinesia, un sicofante).

La situazione precipita: Prometeo rivela che la nuova città intercetta il fumo dei sacrifici offerti dagli uomini per cui gli dèi, che di questo fumo si nutrono, sono ridotti alla fame e sono ormai pronti a venire a patti con gli uccelli.

Arriva un’ambasceria divina formata da Poseidone, Eracle e il dio barbaro Triballo, per negoziare le condizioni di pace: ma Poseidone si mostra bisbetico e chiuso ad ogni trattativa, il ghiottone Eracle è distratto dal profumo di un invitante arrosto di uccelletti, mentre Triballo si esprime in uno strano e incomprensibile linguaggio.

Infine si decide che gli uccelli dovranno essere riconosciuti come i nuovi dèi e che Pistetero avrà in sposa Βασιλεία (la “regalità” o “sovranità”). Gli dèi accettano la tregua; viene consegnato a Pistetero il fulmine (simbolo della regalità) e sono celebrate le sue nozze con Basileia.

“Gli uccelli” di Aristofane al Teatro Romano di Ostia Antica (2015)

Gli Uccelli andarono in scena nell’anno successivo al massacro di Melo; era già partita, inoltre, la spedizione ateniese in Sicilia, destinata a concludersi l’anno dopo con una disfatta.

Secondo alcuni critici, di fronte ad una guerra sempre più violenta e spietata, Aristofane si rifugerebbe nel puro sogno e nell’utopia, ipotizzando un mondo alternativo e mostrando crescente disgusto e sfiducia per l’avvenire di Atene.

In effetti però anche Gli Uccelli sono una commedia dalla forte valenza politica, per più di un motivo: viene contestata la dismisura di Atene, la burocrazia opprimente, l’apparato giudiziario insopportabilmente invadente; poi viene riconfermato lo schema (tipico di Aristofane) per cui un individuo (qui Pistetero) afferma la sua energia individuale e la sua volontà di affermazione nei confronti di un sistema che, per quanto “democratico”, di fatto conculca le aspirazioni personali (in particolare quelle alla pace ed alla serenità).

Nella commedia la dissociazione dell’“eroe comico” Pistetero dalla polis deriva dalla sua frustrazione, dal sentirsi oggetto e non soggetto dell’attività politica. È sua dunque la grande idea risolutiva (μέγα βούλευμα) che consiste nella creazione di una nuova città che consenta una vita alternativa più serena, che non azzeri i bisogni individuali, permettendo la realizzazione quotidiana e perpetua dei piaceri.

Alla società umana, violenta ed ingiusta, si contrappone dunque l’aereo, ideale mondo degli uccelli.

La superiorità dei volatili sugli uomini viene da loro stessi proclamata orgogliosamente nella parabasi, che costituiva il momento più caratteristico della commedia greca antica: uscivano di scena gli attori e si sospendeva la finzione drammatica, mentre il coro, tolto il costume, “sfilava” (“parabàino”, παραβαίνω) davanti al pubblico e discuteva di argomenti di attualità con intento polemico.

Qui il coro pronuncia espressioni che, riecheggiando versi dell’epica, della lirica e del teatro tragico, costituiscono una netta denuncia – anche da parte di un poeta “comico” – dell’effimera e precaria condizione umana: “E voi, uomini che vivete nelle tenebre, simili alle foglie, esseri deboli impastati di fango, ombre vane, effimere creature senz’ali, infelici mortali simili a sogni, fate attenzione a noi immortali, eternamente viventi, celesti creature immuni da vecchiezza, meditanti eterni pensieri: udite da noi esattamente quanto riguarda le cose celesti” (vv. 685-690, trad. Cantarella).

Tuttavia, a stemperare il clima apparentemente idilliaco, anche nella nuova città ideale gli oppositori (in questo caso alcuni uccelletti ribelli contro la democrazia) vengono mandati spietatamente a morte (cfr. vv. 1583-1585).

Spregiudicata ed irriverente, se non blasfema, è la presentazione degli dèi olimpici, costretti a chiedere pietà per sopravvivere. Esilarante è, in particolare, la figura del dio barbaro Triballo, che pronuncia due sole battute in uno strano grammelot, da cui nasce la comicità:

PISTETERO (a Triballo) E tu, che ne dici?

TRIBALLO Nabaisatrèu (Να, Βαισατρευ).

ERACLE Vedi, approva anche lui. (vv. 1615-1616).

ERACLE (a Triballo, minacciandolo con la clava) Triballo, hai voglia di piangere?

TRIBALLO Tua bastoni no battere (Σαυ νακα βακταρι κρουσα).

ERACLE Dice che ho proprio ragione. (vv. 1628-1629)

Un punto di forza della commedia di Aristofane dovevano essere le parti musicali, di cui possiamo solo intuire il lirismo straordinario, sia nella monodia dell’Upupa (vv. 227-262) sia nei canti corali. Straordinaria è la mimesi dei versi degli uccelli, realizzata con splendidi effetti onomatopeici:

UPUPA – “Epopòi  popòi popopòi popòi / iò iò” (ἐποποποῖ, ποποποποῖ ποποῖ, ἰὼ ἰὼ ἰτὼ ἰτὼ ἰτὼ ἰτὼ, vv. 227-228).

UPUPA – “Torotìx torotìx” (Τοροτίγξ· τοροτίγξ, v. 268).

CORO – “Do-do-do-do-dov’è dunque colui che m’ha chiamato? (Ποποποποποποποπο ποῦ μ’ ὃς ἐκάλεσε;) Quale mai luogo abita?” (vv. 310-312).

CORO – “Qua-qua-qua-qua-quale mai (Τιτιτιτιτιτιτιτι τίνα) amica parola portandomi?” (vv. 314-316).

CORO – “Tiotiotiotio” (τιο τιο τιο τιο, v. 738).

CORO – “Tiotio tiotinx” (τιο τιο τιο τίγξ v. 752).

In varie epoche molti compositori hanno cercato di riprodurre i canti degli uccelli, con pagine musicali descrittive nelle quali l’inserzione onomatopeica serve a rendere più evidente l’immagine dei volatili canori, rappresentati vocalmente o strumentalmente.

Accenno qui soltanto ad alcuni esempi più celebri.

Clément Janequin

Il maggiore rappresentante dell’arte polifonica francese cinquecentesca, Clément Janequin (1485-1558), nel Chant des oiseaux (“Canto degli uccelli”) presenta vari canti di uccelli con suggestive onomatopee* alternate fra le varie voci del coro: Frian frian frian…/ Tar tar tar…tu velecy velecy / Ticun ticun…tu tu…coqui coqui…/ Qui lara qui lara ferely fy fy / Teo coqui coqui si ti si ti / Oy ty ty oy ty…trr. Tu / Turri turri… qui lara / Huit huit… oy ty oy ty… teo teo / Tycun tycun…Et huit huit…qui lara / Tar tar…Fouquet quibi quibi / Frian… Fi tl… trr. Huit huit… / Quio quio quio… velecy velecy / Turri turin…tycun tycun ferely fi fi frr. / Quibi quibi quilara trr… / Turi turi frr…Turi turi vrr. / Fi ti Fi ti frr. Fouquet fouquet.

François Couperin

François Couperin (1668 – 1733) compositore, clavicembalista e organista parigino, dedicò brani all’usignolo, alla capinera ed al favallo nel suo Troisième Livre de pieces de clavecin (1723); lo stesso fece Philippe Rameau nei Piecès de clavecin (1706-1724).

All’inizio del ‘700 il clavicembalista e organista toscano Bernardo Pasquini (1637 –1710) compose la Toccata con lo scherzo del cuculo.

A questi esempi sembra ispirarsi il grande compositore barocco Georg Friedrich Händel (1685 –1759), tedesco naturalizzato inglese, nel suo concerto per organo e orchestra, chiamato The cuckoo and the nightingale (Il cuculo e l’usignolo, 1739).

Ludwig van Beethoven (1770 –1827), nell’Andante della VI Sinfonia (Pastorale), affida al flauto, all’oboe e al clarinetto il compito di imitare il canto dell’usignolo e il verso della quaglia e del cuculo.

Il compositore russo Igor Stravinsky (1882 – 1971) nel balletto Le Rossignol contrappone il canto di un usignolo meccanico a quello di un usignolo vero, che eleva i suoi gorgheggi nell’atmosfera di una notte senza luna, riuscendo ad ammaliare la Morte.

Il compositore bolognese Ottorino Respighi (1879-1936), nella suite Gli uccelli, prendendo a prestito brani di Pasquini, Rameau, de Gallot, imita alcuni volatili (colomba, gallina, cucco) e nel canto dell’usignolo fa la caricatura al wagneriano Mormorio della foresta.

Olivier Messiaen (1908-1992), compositore, organista e ornitologo francese, era particolarmente interessato al canto degli uccelli, che considerava i più grandi musicisti sulla terra. Nel corso di diversi viaggi in tutto il mondo, ascoltò e registrò il canto dei volatili. Nel 1953 compose Réveil des oiseaux (Il risveglio degli uccelli) per orchestra, basato sulla trascrizione dei canti che egli ascoltava tra le montagne del Giura. Da allora incorporò queste trascrizioni nelle sue opere; scrisse inoltre raccolte interamente dedicate a questo soggetto, come ad esempio: Oiseaux exotiques (Uccelli esotici) per pianoforte e orchestra da camera, 1955-1956; La Chouette hulotte (L’allocco) per pianoforte, 1956; Catalogue d’oiseaux (Catalogo di uccelli) per pianoforte, 1956-1958, con circa 77 differenti specie di canti.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *