L’evaporazione del padre

Alcuni anni fa lo psicanalista varesino Luigi Zoja scriveva così sul “Corriere della Sera”: «L’eclissi della famiglia tradizionale è, in sostanza, scomparsa dei padri: se i padri sono assenti si diventa consapevoli della loro importanza» (19.03.16).

Luigi Zoja

Sull’argomento Zoja aveva pubblicato già nel 2003 un libro: Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre (ed. Bollati Boringhieri). Secondo l’autore, i padri mancano sempre più, sia a livello numerico-statistico, perché sono aumentate le nascite fuori dal matrimonio e i divorzi, sia soprattutto a livello simbolico e come modello positivo.

Zoja fa iniziare la storia del padre dalla fase preistorica “dell’orda”; in questa epoca lontana la graduale differenziazione dei ruoli tra il maschio cacciatore e la femmina (occupata nella raccolta e nell’accudimento dei figli) aveva istituito le basi della civiltà familiare, con il senso della casa e di focolare domestico: la famiglia era, letteralmente, “focolare”, riunione attorno al fuoco che protegge, chiusura in un interno caldo e accogliente che difendeva dalle minacce dell’esterno. Parallelamente, l’uomo che faceva ritorno al focolare domestico non era più semplicemente un maschio, ma un padre, cioè una persona capace di prendersi delle responsabilità, fra cui l’allevamento e la protezione dei figli.

Tuttavia, come nota Zoja, il rischio di tornare indietro, di regredire alla fase dell’orda, è costante; il processo che ha creato il padre è reversibile e può riproporsi al contrario, facendo “evaporare” il padre. Di “evaporazione del padre” parlava già nel 1969 il filosofo francese Jacques Lacan, lamentando il venire meno della funzione educativa del genitore maschio e del suo ruolo di testimone.

Jacques Lacan

Negli ultimi decenni, per di più, il conflitto generazionale e l’emancipazione precoce dei figli hanno subìto un’accelerazione tale da mettere ulteriormente in crisi la figura paterna, per cui spesso i padri risultano oggi assenti o, peggio, si ritrovano ad essere più bambini dei propri figli.

Zoja parla di una “rarefazione del padre”, ricordando la frequenza con cui oggi le donne allevano (benissimo) da sole i loro figli; parallelamente avviene la rarefazione del ruolo paterno nei riti di passaggio dei figli all’età adulta.

È svanito il mondo “verticale” del passato, dove i padri stavano un gradino sopra e un gradino prima dei figli; è nata invece una società “orizzontale”, incapace però di innescare processi fondati sulla responsabilità.

L’effetto (preoccupante) è quello di retrocedere più verso la dimensione del branco, verso l’irresponsabilità. Si crea, come scrive Zoja, “una marmellata new age dove tutto può essere contemporaneamente vero e falso”.

Senza il tradizionale rapporto (anche conflittuale) tra padre e figlio non può esserci crescita; viene a mancare un punto di riferimento fondamentale nel processo di individuazione dell’adolescente. Zoja ritiene dunque necessario il ritorno al “gesto di Ettore”, che segna l’istituzione della civiltà, capace di fondare insieme “sia il fiume che l’argine”.

Lo psicanalista accenna qui al momento dell’Iliade in cui Ettore va ad abbracciare la moglie Andromaca e il figlio Astianatte sulle mura di Troia, alle porte Scee. Nel momento in cui Ettore si volge verso il figlio per prenderlo dalle braccia della madre, questi scoppia a piangere: l’eroe si accorge che a spaventarlo è l’elmo che indossa e lo toglie; formula poi una splendida preghiera agli dei.

Ettore, Andromaca e Astianatte

Ecco il passo:

«Sorrise il caro padre, e la nobile madre, / e subito Ettore illustre si tolse l’elmo di testa, / e lo posò scintillante per terra; / e poi baciò il caro figlio, lo sollevò fra le braccia, / e disse, supplicando a Zeus e agli altri numi: / «Zeus, e voi numi tutti, fate che cresca questo / mio figlio, così come io sono, distinto fra i Teucri, / così gagliardo di forze, e regni su Ilio sovrano; / e un giorno dica qualcuno: “È molto più forte del padre!”, / quando verrà dalla lotta. Porti egli le spoglie cruente / del nemico abbattuto, goda in cuore la madre!» / Dopo che disse così, mise in braccio alla sposa / il figlio suo; ed ella lo strinse al seno odoroso, / sorridendo fra il pianto…» (Iliade VI 471-484)

Con il suo gesto Ettore si mostra al figlio come essere fragile e disponibile al dialogo; l’elmo assume un valore fortemente simbolico di indumento che, mentre protegge, chiude; dunque togliere l’elmo significa metaforicamente aprirsi alla relazione.

Nell’odierna società “orizzontale”, di cui si parlava prima, il padre non gode più di un’autorevolezza concessa per diritto ereditario tradizionale, ma deve “conquistarsela” sul campo: deve dimostrare, agli occhi del figlio, sia di meritare il suo rispetto, sia di poter svolgere la sua storica funzione di guida verso l’esterno. Al padre “autoritario” deve subentrare il padre “autorevole”.

In un libro del 2013, Il complesso di Telemaco. Genitori e figli dopo il tramonto del padre (Feltrinelli), lo psicanalista milanese Massimo Recalcati osserva che negli ultimi anni si assiste a “una inedita e pressante domanda di padre” che giunge dalle istituzioni e dal mondo civile: «I padri latitano, si sono eclissati o sono divenuti compagni di gioco dei loro figli».

Secondo Recalcati, «l’onda della morte del padre […] conosce nella storia più recente i suoi tornanti fondamentali nelle contestazioni giovanili del 1968 e del 1977. Quest’onda demolisce la figura del padre-padrone, del padre-Dio, del padre che pretende di avere l’ultima parola sul senso della vita, del padre autoritario, del padre del bastone». Tuttavia «il fatto che quella rappresentazione del padre sia tramontata non significa affatto fare a meno del padre. In fondo anche nel Nuovo Testamento la parola di Gesù corregge e completa una certa versione inflessibile della paternità che si incarnava nel Dio del Vecchio Testamento, introducendo la figura del padre attraverso il dono, attraverso l’amore più che il bastone».

In questa prospettiva, per Recalcati, Telemaco, il figlio di Ulisse, che resta in attesa del padre per ristabilire la legge a Itaca, suggerisce un nuovo modo di essere figli nell’epoca della morte del padre. Se Edipo uccide il Padre, Telemaco è in attesa del suo ritorno: esprime cioè una radicale invocazione del Padre, scaturita dalla presa di coscienza che senza Legge non c’è Senso, non c’è felicità. Dunque «il complesso di Telemaco è un rovesciamento del complesso di Edipo. Edipo viveva il proprio padre come un rivale, come un ostacolo sulla propria strada. Telemaco, invece, coi suoi occhi, guarda il mare, scruta l’orizzonte. Aspetta che la nave di suo padre – che non ha mai conosciuto – ritorni per riportare la Legge nella sua isola dominata dai Proci».

Certo, il padre atteso e invocato da Telemaco non sarà più il padre padrone, il padre-eroe, il padre-dio: l’epoca del padre come Legge assoluta è finita. È un padre nuovo quello che viene ora ricercato: un padre-Testimone, che non propone più verità assolute, ma testimonia con la propria vita e le proprie scelte un Senso possibile, una Legge possibile, una Verità possibile. In altre parole, esiste per i padri un nuovo modo di farsi presenza: «La vita umana per umanizzarsi deve poter incontrare lo spigolo duro del limite. Il padre è il simbolo della Legge perché rappresenta proprio l’incontro beneficamente traumatico con questo spigolo».

Come afferma Recalcati, «Siamo stati tutti Telemaco». Siamo tutti figli, che assistono allo scempio nella loro casa da parte dei Proci, figli che attendono appunto l’arrivo di un padre che ristabilisca la legge. Solo che i giovani-Telemaco di oggi sono diversi dal figlio di Ulisse; non si aspettano in eredità un regno, ma sono figli della crisi, della disoccupazione e dell’individualismo; perciò il momento storico attuale rende più urgente il loro bisogno di acquisire la testimonianza del padre.

Come Recalcati dichiarò in un’intervista a “Repubblica” (30.10.2016), «I figli hanno bisogno di testimoni che dicano loro non qual è il senso dell’esistenza, bensì che mostrino attraverso la loro vita che l’esistenza può avere un senso ».

In definitiva, un padre oggi deve ripensare il suo ruolo, a cavallo tra due opposti eccessi: essere totalmente assente o, al contrario, diventare un surrogato della presenza femminile (il cosiddetto “mammo”).

Secondo Maurizio Quilici, giornalista e presidente dell’Istituto di Studi sulla Paternità, “L’uomo sta cercando di disegnare una nuova figura di padre, lontano dal padre autoritario di una volta. Lo fa con incertezze ed errori, a volte perdendo di vista certe funzioni di guida e controllo e ‘maternizzandosi’ eccessivamente; ma  in compenso scoprendo una dimensione nuova ed affascinante nel rapporto con i figli. Quanto al futuro, difficile dirlo. Credo però che i padri non torneranno indietro e un giorno troveranno il loro equilibrio. E  saranno padri migliori: teneri ma non sdolcinati, comprensivi ma non permissivi, autorevoli ma non autoritari”.

P.S.: Una curiosità. In Messico l’esclamazione «Qué padre!» significa «Grande! Fantastico! Che meraviglia!» (inglese: cool!). La cosa deriverebbe dal fatto che nell’America Latina i conquistadores avevano generato moltissimi figli con le donne indie senza sposarle… quindi dire «Che padre!» equivaleva a meravigliarsi per una cosa desiderata e non avuta.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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