Esattamente cinquanta anni fa, il 12 gennaio 1972, era mercoledì come oggi.
Di mattina ovviamente andai a scuola; frequentavo a Genova la III A del Liceo classico D’Oria (quinto anno). Mattinata mediamente impegnativa: Italiano (prof. Ferdinando Durand), Matematica (prof. Claudia Nosengo), Greco (prof. Lucia Palmas Queirolo), Filosofia (prof. Maria Fabro) e Storia dell’Arte (prof. Anna Maria Lebboroni).
Tornato a casa, feci i compiti per l’indomani: per fortuna ci avevano annunciato l’assenza dell’insegnante di Scienze (prof. Maria Laura Roggero) e avremmo avuto un’ora in meno e una materia in meno.
Mentre studiavo Storia e Fisica, a che pensavo?
Al lezioso e piagnucoloso film visto il sabato precedente al Supercinema, “Love Story” di Arthur Hiller, con Ali MacGraw (nella parte di Jennifer Cavalleri) e Ryan O’Neal (Oliver Barrett), accompagnato dalle stucchevoli musiche di Francis Lai?
Alle traversie del Genoa (tanto per cambiare) che in Serie B la domenica precedente aveva faticosamente battuto il Taranto 1-0 con gol di Turone? (in quella stagione 1971-1972 il Genoa con 41 punti finì al decimo posto e in Serie A salirono la Ternana, la Lazio e il Palermo).
Alle recenti vacanze natalizie passate in Sicilia, a Bagheria, coi parenti?
Impossibile ricordarlo. Un dato di fatto era che quel pomeriggio pioveva a dirotto; era tutto il giorno che pioveva, non c’era troppo freddo (minima 7°, massima 12°), ma di uscire a fare quattro passi non se ne parlava.
Eppure aspettavo qualcosa. Infatti alle 18,30 mio padre rientrò dal conservatorio; e dal suo sguardo soddisfatto compresi subito che erano arrivati i filmini delle vacanze natalizie, 8 su 9 (l’ultimo ancora mancava all’appello); li aveva appena ritirati dal nostro fotografo, Raoul Carlotti, all’inizio di Corso Sardegna, quasi all’angolo con via Paolo Giacometti.
Ogni volta che mio padre andava da Carlotti si verificavano scene esilaranti, dovute allo humour surreale di cui entrambi erano straordinariamente dotati. [Una volta Carlotti scese dalle scale del laboratorio indossando una barba bianca finta e spacciandosi per un altro; mio padre allora l’indomani entrò nel negozio con parrucca, naso finto e barba nera fingendosi un ispettore della Kodak]
Mio padre era molto appassionato di fotografia e cinematografia; aveva fatto fotografie fin da ragazzo, negli anni Trenta; poi nel 1952 aveva comprato una cinepresa 8 millimetri con cui riprese innumerevoli scene della nostra vita familiare.
Conservo ancora quasi tutti quei filmini: erano brevi pellicole, che negli anni Cinquanta erano quasi sempre in bianco e nero (la pellicola a colori era un lusso che ci si poteva permettere raramente); duravano sì e no tre minuti ciascuno.
All’inizio degli anni Settanta ormai si erano affermati i filmini super 8, quasi sempre a colori, ma sempre tre minuti ciascuno duravano.
Le pellicole erano in genere Ferrania o Kodak. A Genova non le sviluppavano: venivano mandate a Milano dai vari fotografi e ritornavano indietro dopo 4-5 giorni.
Peggio andavano le cose a Palermo: qui i filmini fatti dai pochi appassionati venivano “buttati” in un grande cesto all’entrata del negozio fotografico di Randazzo in via Ruggero Settimo. Dopo di che, prima che tornassero da Milano, passavano 30-40 giorni!
Quando, dopo queste lunghe attese (altro che Whatsapp di oggi…), si proiettavano i filmini con i rumorosi proiettori dell’epoca (noi nel 1972 avevamo un Bolex SM8 bipasso, che consentiva di vedere sia gli antichi 8 mm. sia i più moderni super 8), si riuniva tutta la famiglia.
Le immagini dei luoghi lontani e le memorie delle esperienze vissute riempivano quei pochi minuti di proiezione, seguiti da risate, commenti, giudizi. Se una scena per disgrazia era “venuta” male, non c’era niente da fare: impossibile ogni “correzione”, Photoshop non esisteva…
Dopo la prima proiezione, veniva la fase del montaggio.
Mio padre ed io, con una primordiale “incollatrice”, univamo i vari filmini fra loro (passando prima le immagini su una piccola moviola per tagliare eventuali fotogrammi sovraesposti o sfuocati). Si ricavavano così filmini di 15-20 minuti, che poi portavamo da un tale Carlevaro in via XX Settembre perché vi applicasse una “pista” magnetica che ne avrebbe consentito poi la sonorizzazione.
Dopo alcuni giorni, il film “pistato” era pronto per essere sonorizzato.
E ricordo molte sere passate con mio padre a scegliere le musiche opportune da accompagnare alle varie scene (su questo lui aveva una conoscenza sconfinata); dai dischi LP 33 giri o dai 45 giri, o dalle registrazioni effettuate sul registratore a cassetta, riversavamo sulla “pista” le musiche, stando attenti a far coincidere perfettamente inizio e fine delle varie sequenze.
Era un lavoro certosino, che però mi ha allenato alla pazienza e ha esaltato il mio perfezionismo.
Oggi, mezzo secolo dopo, utilizzo il programma video Power Director per realizzare i miei video, decisamente più tecnologici, con potenzialità visive e sonore allora inimmaginabili. Ma tutti quei filmini antichi sono ancora qui: quasi tutti li ho riversati personalmente in formato digitale, cercando di ottimizzarli come posso; ancora oggi restano come testimonianza di un passato che è tanto più vivo quanto più lontano.
Mi piace quindi ricordare quel mercoledì di cinquant’anni fa, in cui – ragazzo non ancora diciottenne – andai a letto soddisfatto della proiezione degli otto filmini appena arrivati (allora bastava poco a farci contenti…) e immaginando già montaggi e musiche delle immagini.
Un hobby piacevole, come si vede: che mi è rimasto per sempre e che ha sempre accompagnato tutta la mia vita.
Forse perché ho sempre pensato che ogni attimo, ogni istante, ogni giorno della nostra esistenza, comunque sia e qualunque sia, è un bene prezioso, inestimabile e irripetibile.
12 gennaio 2022
Ho trovato questo articolo cercando il nome della prof. di Storia dell’Arte, Anna Maria Lebboroni, che fu anche la mia (io sono del 59 ed ero in B). E non ho potuto non ringraziarTi per questo ricordo condiviso senza saperlo, i nomi dei nostri prof di quei tempi sono per me i nomi dei padri e delle madri di tutto quello che ho imparato a pensare: oltre a Lebboroni, per me Martino Franceschi, Velleda Cesari, Mario Vattione… Grazie!
Grazie a lei per l’attenzione!
Ho letto con curiosità e con piacere alcune pagine. Le scrivo perché sto conducendo uno studio sull’Organizzazione Otto, formazione partigiana di cui in anni precedenti il formidabile Raoul Carlotti risulta aver fatto parte. Avrei necessità di reperire ulteriori informazioni anche per cercare di risalire alle fotografie da lui scattate in quel periodo. Potrebbe gentilmente inviarmi un suo contatto mail in modo da poterLe sottoporle alcune domande in merito? La ringrazio anticipatamente