Entrando nella Cattedrale di San Lorenzo a Genova, subito sulla destra si nota una granata navale inglese da 381 mm.
Il 9 febbraio 1941, durante il bombardamento navale inglese, la granata sfondò il tetto della cattedrale (dove erano bellissimi affreschi) e cadde all’interno, miracolosamente, senza esplodere.
In realtà, quella esposta in cattedrale è una replica esatta del micidiale proiettile: quello inesploso, come è prassi in questi casi, fu portato in mare e fatto brillare. Nondimeno è possibile oggi leggere questa lapide: “QUESTA BOMBA LANCIATA DALLA FLOTTA INGLESE PUR SFONDANDO LE PARETI IN QUESTA INSIGNE CATTEDRALE QUI CADEVA INESPLOSA IL IX FEBBRAIO MCMXLI – A RICONOSCENZA PERENNE GENOVA CITTÀ DI MARIA VOLLE INCISA IN PIETRA LA MEMORIA DI TANTA GRAZIA”.
Ieri mi è tornata in mente questa bomba, che da bambino ammiravo a San Lorenzo con un po’ di reverenziale timore, udendo le parole rivolte dal presidente ucraino Zelensky in videocollegamento con Montecitorio.
Zelensky ha denunciato che l’invasione russa «sta distruggendo le famiglie mentre la guerra continua a devastare città ucraine», paragonando il porto meridionale di Mariupol – assediato e bombardato da settimane – con Genova: «Immaginate Genova completamente bruciata», ha detto il presidente ucraino ai parlamentari italiani.
Il sindaco del capoluogo ligure, Marco Bucci, ha commentato così: «Genova ha già subìto bombardamenti, e molti, nella storia. Durante la Seconda guerra mondiale è stato terribile e assolutamente non possiamo immaginare che si ripeta qualcosa di simile. […] Sono due belle città, Mariupol e Genova e noi siamo assolutamente per la pace. Il fatto che abbia citato Genova significa che la conosce, potrebbe essere un’idea invitare il presidente ucraino a Genova, speriamo che finisca tutto presto e che possa venire qui».
Anche il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, ha commentato il discorso del presidente ucraino: «Genova, medaglia d’oro della Resistenza sa cosa vuol dire combattere per la Libertà. Genova è vicina a Mariupol, Kharkiv, Odessa ed è grata a chi resiste per la pace. La Liguria e l’Italia sono con l’Ucraina».
Anche Ariel Dello Strologo, candidato sindaco del centrosinistra, commentando le parole di Zelensky ha detto: «Cogliamo l’appello del presidente ucraino, che arriva a toccare le corde più profonde e la sensibilità di Genova, che con quella regione dell’Ucraina ha legami di lunga data, che affondano nella storia. E che trovano espressione concreta, fin dal 1979, nel gemellaggio tra la nostra città e quella di Odessa. Con il parallelo richiamato da Zelensky, tra Genova e Mariupol, che non sono solo due belle città, ma sono entrambe realtà portuali, affacciate sul mare (quello Ligure e quello d’Azov) che hanno vissuto la tragica esperienza dei bombardamenti, proponiamo un gemellaggio, in segno di solidarietà con Mariupol. E aspettiamo il suo sindaco a Genova il prima possibile, alla fine di questa terribile guerra”.
Durante la seconda guerra mondiale Genova, per l’importanza del suo porto e delle sue industrie (in particolare l’Ansaldo e la Piaggio), subì micidiali bombardamenti aerei e navali, che procurarono gravi danni a gran parte della città.
Il primo bombardamento avvenne il 14 giugno 1940, a soli quattro giorni dall’entrata in guerra dell’Italia (alla faccia del grido “Vincere!” pronunciato dalla stentorea voce del Duce). Una formazione navale francese salpata da Tolone cannoneggiò la zona industriale di Genova, tra Sestri Ponente e Arenzano. I danni materiali non furono ingenti e furono riparati in meno di dieci giorni (Genova è sempre brava a rimboccarsi le maniche e ad aggiustarsi i suoi danni); si ebbero in quell’occasione poche perdite tra i civili (tre morti e dodici feriti).
Purtroppo però un secondo e più pesante bombardamento navale di Genova avvenne, come dicevamo prima, il 9 febbraio 1941 ad opera della Forza H britannica, salpata da Gibilterra: l’azione fu compiuta dall’incrociatore da battaglia Renown, dalla corazzata Malaya e dall’incrociatore leggero Sheffield, scortati da dieci cacciatorpediniere e coadiuvati da aerei decollati dalla portaerei Ark Royal. In tutto furono sganciate circa 1400 bombe (di cui 273 colpi da 381 mm); un terzo di esse colpì la città e gli impianti industriali. Furono gravi i danni al centro abitato, con 250 abitazioni distrutte, 144 vittime e 272 feriti tra i civili, oltre a 2500 senzatetto. In quell’occasione, come abbiamo detto, cadde la famosa bomba a San Lorenzo, senza esplodere.
Genova subì altri bombardamenti aerei nell’autunno del 1942: il 22-23 ottobre 100 bombardieri britannici sganciarono 179 tonnellate di bombe sulla città (punto di mira fu la centralissima Piazza De Ferrari). Furono colpiti il centro storico, il porto, i cantieri navali, i quartieri orientali: le vittime civili furono 39. Fu quello il primo bombardamento su una città italiana a utilizzare la tecnica dell’“area bombing”, con un cospicuo impiego di spezzoni incendiari.
Complessivamente i bombardamenti su Genova, protrattisi sino al 7 marzo 1945, arrecarono danni a 11.183 edifici, colpendo soprattutto il porto, il centro abitato e gli scali ferroviari; nell’aprile 1945 i tre quarti degli stabilimenti industriali risultarono distrutti. Non da meno furono i tedeschi, che negli ultimi giorni della guerra disseminarono 140 mine nel porto e affondarono decine di imbarcazioni di ogni tipo e dimensione.
Complessivamente, nella seconda guerra mondiale il patrimonio artistico della città subì danni considerevoli: 70 chiese e 130 palazzi storici furono colpiti, con danni gravissimi. Le vittime tra la popolazione civile furono complessivamente circa 2000, i senzatetto oltre 120.000.
E tuttavia Genova fu l’unica città europea in cui le forze armate del Terzo Reich si arresero ai partigiani: alle 19,30 del 25 aprile 1945 il generale Günther Meinhold (comandante delle truppe tedesche) e l’operaio comunista Remo Scappini (presidente del CLN della Liguria) firmarono l’accordo con cui tutte le forze tedesche operanti nell’area si arrendevano alle formazioni partigiane.
Quella bomba inesplosa nella chiesa di San Lorenzo è per me un simbolo potente.
A fronte di migliaia di missili e bombe scagliati con ferocia in questi giorni su persone e cose, sarebbe bello che esistessero tante bombe “ribelli”, che si rifiutino di esplodere e di uccidere.
In questa guerra di oggi, insensata e brutale, nella quale c’è anche chi osa filosofeggiare su chi ha torto e chi ha ragione (mentre è fin troppo evidente che chiunque si affida alle armi non ha mai ragione), sarebbe bello che le cose, più umane degli uomini, compissero un’insubordinazione generale contro i loro crudeli inventori.
E sarebbe bello che a Mariupol oggi, e domani in tutto il mondo, e sempre, ogni proiettile si fermasse a mezz’aria (o magari facesse dietrofront e andasse a colpire chi lo stava lanciando). Forse, se gli ordigni esplodessero fra le mani di chi li usa, cesserebbero subito le ostilità e ci si siederebbe davvero, senza se e senza ma, al tavolo delle trattative.
Ovviamente è un’utopia, perché gli strumenti di morte sono costruiti oggi con assoluta e chirurgica micidiale precisione; ma l’esempio della bomba inesplosa di San Lorenzo rimane, tenace, a darci qualche speranza e, soprattutto, a farci innescare il meccanismo mentale per cui le bombe “potrebbero” e anzi “dovrebbero” non esplodere mai.