L’autosorveglianza

577 morti in quattro giorni: 79 il 18 aprile, 127 il 19, 205 il 20, 166 ieri.

Non nella guerra in corso in Ucraina, dove le vittime sono purtroppo molte di più.

No, questi 577 morti sono deceduti in Italia fra lunedì e ieri.

E come sono morti? Un terremoto? Un attentato? Un incidente?

No. Soltanto il solito, tenace, indistruttibile, ineludibile Covid-19.

Il numero dei positivi ieri era di 1.222.813 persone (con un aumento di 15.913 persone rispetto al giorno prima). I nuovi tamponi fatti in questi 4 giorni sono stati ben 1.336.617 (446.180 solo ieri). Il tasso di positività era ieri del 16,8%.

Ma si è deciso che questi dati non contano più e non impongono nessuna misura cautelare ulteriore.

Infatti, come dispone il decreto approvato dal Consiglio dei ministri e approdato in Gazzetta ufficiale il 24 marzo scorso, per chi ha avuto un contatto stretto con un positivo al Covid, «è applicato il regime dell’autosorveglianza, consistente nell’obbligo di indossare dispositivi di protezione delle vie respiratorie di tipo Ffp2, al chiuso o in presenza di assembramenti fino al decimo giorno successivo alla data dell’ultimo contatto con un contagiato».

Che bella cosa, l’autosorveglianza! Somiglia tanto all’“autogestione” che si usava un tempo a scuola o all’università, consistente nell’infischiarsene di qualunque regola e nel fare ognuno di testa propria, ovviamente in modo alternativo rispetto allo sgradevole capestro delle norme e delle leggi.

In questo momento qui a Palermo quasi in ogni famiglia che conosco ci sono casi dichiarati di covid. In prevalenza, è vero, sono casi leggeri, soprattutto fra i (contagiatissimi) ragazzi; ma sono pur sempre casi che sarebbero da attenzionare, che richiederebbero prevenzioni e cure meno casuali, che dovrebbero indurre a un minimo di prudenza supplementare, a non abbassare indiscriminatamente la guardia.

Ma tant’è: tutti sono arcistufi di due anni di pandemia, hanno un’umanissima voglia di vita “normale” (vallo a spiegare a Putin e ai guerrafondai di tutto il mondo), si rifiutano di ipotizzare qualunque ulteriore sacrificio della propria sacrosanta “privacy”. E quindi si “autosorvegliano”.

Almeno, con questo escamotage, si sono zittiti gli scontri fra vax e no-vax, col trionfo finale di questi ultimi, che possono ben dire di essere usciti indenni dai lunghi mesi di “dittatura sanitaria” e possono riprendere la vita precedente, al netto delle sanzioni minacciate a vanvera e mai attuate di fatto. E siccome siamo un Paese che adora spaccarsi sempre, ora lo scontro è semmai tra putiniani, antiputiniani e “né-né”, tanto per tenerci in allenamento con le polemiche.

Intanto, si parla di abolire presto le mascherine: la fine dell’obbligo di mascherina al chiuso è prevista per il primo maggio, ma, considerando la curva epidemiologica, è possibile che il governo decida di andare verso un’abolizione non generalizzata; in particolare la regola dovrebbe rimanere valida almeno fino a giugno sui mezzi pubblici e al cinema, oltre che a scuola.

Il sottosegretario alla Salute Andrea Costa, intervistato dall’ANSA, ha sottolineato che «dopo due anni di regole e restrizioni, soprattutto dopo che gli italiani si sono vaccinati, e hanno rispettato tutte le indicazioni del Governo, è giusto dare in questo momento messaggi positivi ed è giusto dire che ci sono le condizioni per un’estate senza nessun tipo di restrizioni». Ecco un ottimista inguaribile, che evidentemente ignora, ad esempio, che la percentuale dei vaccinati in Italia (over 12 con ciclo completo o con dose unica) raggiunge attualmente in Italia l’89,97%; quindi dire che “gli italiani si sono vaccinati” significa dimenticare (o rimuovere per carità di patria) il 10% della popolazione del Paese (che evidentemente non ha affatto “rispettato tutte le indicazioni del Governo”).

Dello stesso parere di Costa è l’ormai celeberrimo infettivologo del San Martino di Genova, Matteo Bassetti, che definisce le mascherine «fuori dal tempo e dalla scienza» e ritiene che «il compito del ministero della Salute non è obbligare le persone ad usarle al chiuso ma ad usarle nel modo migliore». Di parere opposto restano ovviamente altri, fra cui il presidente di “Gimbe-Evidence for Health”, Nino Cartabellotta, secondo il quale “abolire l’obbligo di mascherina al chiuso è una decisione molto avventata”.

Nel frattempo, forse per solidarietà sociale, il presidente del consiglio Draghi si è a sua volta ammalato di covid, costringendo il ministro Di Maio a sostituirlo nei suoi viaggi in Africa in cerca di risorse energetiche sostitutive.

Oggi su “Repubblica” a pag. 4 si vede una foto che ritrae Di Maio accanto al ministro degli esteri congolese, che si chiama Gakosso (nome certo di buon augurio per eventuali forniture di gas).

Certo, è strano se non paradossale che proprio il ministro degli esteri, che anni fa – ai tempi della fase sovranista del Movimento degli Zainetti – aveva schiacciato più di un occhio a Putin, debba ora mendicare sussidi energetici ai Paesi del Terzo Mondo.

Chissà poi se Draghi, che si trova in quarantena nel suo casale in Umbria, positivo, asintomatico e in isolamento, in questi giorni ha avuto più tempo per porsi qualche domanda (ma Draghi se ne fa mai domande?) su questa pandemia rompiscatole, già insofferente ai DPCM del suo predecessore e ora ostinatamente ribelle ai decreti che la vogliono estinta.

O forse no, “ubi maior, minor cessat”: ora c’è la guerra, c’è la crisi economica, ci sono i condizionatori in alternativa alla pace (?!), c’è la gestione equilibristica del surreale governo-minestrone, specchio fedele di un Paese lacerato in cui i litigiosi connazionali sono diventati ormai scomodi coinquilini che vorrebbero solo sbranarsi a vicenda.

Intanto, dei 577 morti in 4 giorni non parla nessuno. Solo le famiglie di queste povere vittime del virus possono ancora interrogarsi sul perché si debba ancora morire così. Tanti altri, invece, forse preferiscono immaginare che questi malati fossero già affetti da altre patologie o che siano comunque morti per una concomitanza di eventi sfortunati.

Non preoccupiamoci troppo, però, e invitiamo la gente ad “autosorvegliare” la situazione, affidandosi al buon senso (dote peraltro sempre meno diffusa nel mondo di oggi, a tutti i livelli). Dunque liberiamoci delle maschere, autosorvegliamoci (cioè facciamo quello che ci pare sempre e comunque) e dichiariamo finita l’emergenza.

È bello e facile risolvere i problemi così, per decreto. Penso anzi che con successivi decreti (come mai non ci si è ancora pensato?), si potrebbe escogitare l’autosorveglianza sulle dichiarazioni dei redditi, sul rilascio degli scontrini fiscali, sul rispetto dell’ordine pubblico e delle leggi dello Stato. Nascerebbe così un ideale Paese “fai-da-te” in cui tutti sarebbero autosorvegliati e contenti.

A me questa situazione ricorda la storia di quel personaggio di Aristofane, il contadino Diceopoli (il “cittadino giusto”), che nella commedia “Acarnesi”, stufo della guerra che affliggeva da anni la sua città, decideva di fare la pace lui solo, autonomamente dagli altri concittadini, comprandosi la sua “ampollina” miracolosa di pace duratura; sicchè, mentre gli altri soffrivano, combattevano ancora e morivano, lui si godeva la sua pace personale alla faccia di tutto e di tutti.

E non aveva neppure – beato lui – il labile obbligo dell’“autosorveglianza”.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *