Nel frammento 38a Voigt Alceo invita l’amico Melanippo a bere ed ubriacarsi con lui; infatti, quando moriranno e varcheranno il fiume Acheronte, non potranno mai più rivedere la luce del sole. Il poeta aggiunge che non bisogna pensare a cose troppo grandi: anche l’astuto Sisifo, infatti, si illuse di ingannare la morte. ma per volere del fato scese due volte nell’Ade e Zeus meditò per lui una grave pena. Ora però, finché si è giovani, occorre sopportare le sciagure inviate dal dio.
Il testo del frammento è lacunoso, per cui la sua interpretazione risulta approssimativa e talvolta congetturale; appaiono comunque sicuri alcuni punti:
- il carme è metasimposiale, giacché lo sfondo è ancora una volta il simposio (cfr. v. 1);
- il componimento è rivolto a Melanippo, un “compagno d’armi” (ἑταῖρος) che Erodoto ricorda (V 95, 2) come destinatario del carme in cui Alceo annunziava la perdita delle sue armi in seguito alla sconfitta subìta al Sigeo ad opera degli Ateniesi (cfr. 401b V.);
- emerge una componente gnomica e riflessiva: l’esistenza umana appare precaria, per cui non bisogna avere pensieri troppo grandi (si ha qui una delle prime manifestazioni del tema antico del carpe diem);
- la γνώμη è supportata dal mito paradigmatico di Sisifo, figlio di Eolo e fondatore di Corinto, celebre per la sua astuzia.
Un incipit analogo, con l’esortazione a bere, si ritrova nell’epigrammista ellenistico Asclepiade di Samo (III sec. a.C.), ove peraltro il poeta monologa con se stesso: “Bevi, Asclepiade (Πίν’ Ἀσκληπιάδη). Perché queste lacrime? / Che t’accade? Non sei l’unica preda / della spietata Afrodite…” (A.P. XII 50, 1-3, trad. Angelini).
Il concetto dell’irreparabilità della morte, e conseguentemente dell’insostituibilità della vita, vista come sommo bene, appartiene invece ad una concezione “antieroica” già emersa in Omero (cfr. le parole di Achille a Odisseo nell’Ade: “Non lodarmi la morte, splendido Odisseo…”, Od. XI 488, trad. Calzecchi Onesti) e in Archiloco (cfr. il fr. 5 W. sullo scudo abbandonato).
L’invito a non concepire grandi speranze, considerata la precarietà dell’esistenza umana, diventerà topico, soprattutto in Orazio: cfr. “spatio brevi / spem longam reseces”(Odi I 11, 6-7) e “immortalia ne speres” (Odi IV 7,7).
La storia di Sisifo è richiamata solo nelle sue linee essenziali, giacché doveva essere ben nota all’uditorio.
Sisifo (Σίσυφος), figlio di Eolo e di Enarete, già nell’Iliade era definito “il più astuto degli uomini” (κέρδιστος… ἀνδρῶν, Il. VI 153).
Si narravano di lui diversi abilissimi inganni:
- una volta ritrovò gli armenti rubatigli da Autolico (figlio di Hermes e nonno materno di Odisseo) grazie al marchio impresso a fuoco sotto gli zoccoli di ogni bue (vanificando così l’astuzia del nemico che aveva tinto gli animali di colori diversi);
- un’altra volta vide Zeus che rapiva Egina e informò di ciò il padre di lei Asopo, dio dei fiumi, ottenendo in cambio di far scaturire la fonte Pirene a Corinto, di cui era diventato re dopo la tragica morte di Creonte e la fuga di Medea.
Sisifo era perfino riuscito a incatenare Thanatos, il dio della morte, sicché per un certo periodo sulla terra non moriva più nessuno. Ares però liberò Thanatos e gli consegnò il colpevole Sisifo; ma questi aveva astutamente comandato alla moglie Merope di non rendergli gli onori funebri, sicché quando giunse nell’Ade ottenne di tornare sulla terra col pretesto di punire la moglie per la sua empietà; ovviamente promise solennemente di tornare nell’Ade a esequie avvenute. Ma, una volta risuscitato, si guardò bene dal punire la consorte e, soprattutto, dal tornare nell’aldilà.
Alla fine però, in tarda età, Sisifo morì definitivamente e fu condannato a spingere in eterno un masso lungo la ripida china di un colle, da cui poi esso precipitava di nuovo a valle. Il supplizio è ricordato da Omero: “Sísifo pure vidi che pene atroci soffriva; / una rupe gigante reggendo con entrambe le braccia. / E puntellandosi con le mani e coi piedi, / la rupe in su spingeva, sul colle: ma quando già stava / per superare la cima, allora lo travolgeva una forza violenta, / di nuovo al piano rotolando cadeva la rupe maligna. / E lui a spingere ancora tendendosi: scorreva il sudore / colando giù dalle membra; intorno al capo saliva la polvere” (Od. XI 593-600, trad. Calzecchi Onesti).
Come spiega Maurizio Bettini, il mito di Sisifo “significa che è inutile cercare di sfuggire alla morte; sostanzialmente, chi tenta di farlo compie una fatica di Sisifo, cioè spinge un sasso che poi, inevitabilmente, ritorna indietro, non c’è niente da fare”.
Non mancano altre notizie mitiche su questo personaggio: in particolare una variante dice che Sisifo ottenne l’amore di Anticlea alla vigilia delle nozze di lei con Laerte; dunque Odisseo sarebbe stato figlio di Sisifo, ereditandone l’astuzia;
Oltre Omero ed Alceo, a Sisifo accennano Esiodo (Σίσυφος αἰολομήτης, fr.10, 2 M.-W.), Teognide (vv. 701 ss.), Pindaro (Ol. XIII 52), i tragici, lo storico Ferecide di Atene (del V sec. a.C.; cfr.FGH 3 F 119) e, a Roma, Orazio (Odi II 14), Ovidio, Fedro, Seneca, ecc.
Nel 1942 il giovane Albert Camus dedicò all’astuto eroe un saggio filosofico (Il mito di Sisifo), che è una presa di coscienza del sentimento dell’assurdo.
Una curiosa rivisitazione del mito di Sisifo è nell’album Ummagumma dei Pink Floyd, la cui prima canzone si intitola appunto Sisyphus.
Importanti sono le conclusioni che è lecito trarre dall’exemplum mitologico addotto da Alceo:
- Sisifo costituisce una sorta di “antimodello”, poiché non ha saputo riconoscere i limiti umani;
- inutile è ogni ribellione al proprio destino effimero;
- l’uomo, accettando la propria condizione mortale, deve cercare le gioie possibili, soprattutto nel periodo della giovinezza.
Sfuggono i dettagli del contesto che può avere ispirato il carme di Alceo (probabilmente una delusione politica della sua eterìa).
A livello formale, è da notare la sapiente costruzione dell’ode, che colloca l’esempio mitologico al centro, preceduto e seguito dalle esortazioni del poeta all’amico, in una sorta di Ringkomposition.
Si riscontra, rispetto all’uso alcaico a noi noto, un uso maggiore della subordinazione, in linea con l’impostazione più “riflessiva” del componimento.
Si rilevano poi riprese interne di alcune espressioni (ad es. il rinvio al fiume Acheronte, l’anafora del termine “re”, l’uso dei patronimici), che mirano a contrapporre il colpevole Sisifo al suo implacabile punitore Zeus.
Ecco il frammento nella traduzione italiana di Gennaro Perrotta:
Bevi, bevi ed ubbriacati,
Melanippo con me. Credi tu forse
quando varcato avrai
Acheronte, il gran fiume vorticoso,
credi tu che vedrai
la luce pura splendere del sole
un’altra volta? Amico,
non vagheggiare cose grandi mai.
Sisifo, il figlio d’Eolo,
il re che tra i mortali era il più saggio,
credette pure, un giorno,
che sfuggito sarebbe egli alla morte.
Ma, pur saggio come era,
due volte, per volere della sorte,
il fiume vorticoso,
l’Acheronte, varcò; dolori immensi
il re figlio di Crono
laggiù gli diede da soffrire, sotto
la nera terra. Ma i pensieri tristi
scacciamo, finché giovani
siamo. Bisogna questa volta ancora
bere, e soffrire il male
che ancora voglia il dio farci soffrire.