Il primo libro che ho pubblicato, nel maggio 1978 all’età di 24 anni, fu “La musica nella tragedia greca”. Era una rielaborazione della tesi di laurea che avevo discusso due anni prima, a Genova, con i professori Umberto Albini e Fritz Bornmann.
La pubblicazione avvenne per forte volontà di mio padre, che si rivolse a un editore di Cefalù, Lorenzo Misuraca; il libro fu stampato a Palermo dalle Arti Grafiche A. Cappugi & figli, nei pressi dell’Ucciardone.
A quei tempi all’editore si dava una copia dattiloscritta (io avevo una macchina da scrivere Olivetti Lettera 35), ma poi il testo veniva composto a mano, carattere per carattere, dai tipografi. Si pensi alla fatica che comportava la composizione tipografica di un testo che includeva caratteri greci, che oggi scrivo con un’apposita tastiera greca ma che allora erano scritti rigorosamente a mano. Oggi tutto è molto più semplice: diamo i files già pronti e praticamente perfetti e chi stampa deve solo assemblare il materiale. Insomma, all’epoca il rischio di errori di stampa era all’ordine del giorno.
Per la prima volta nella mia vita, dunque, mi trovai a correggere delle bozze (236 pagine di testo) che all’inizio erano disseminate di errori di ogni tipo.
Non si faceva (non si fa neanche ora) un solo giro di correzioni, ma più di uno, ogni volta “depurando” il testo dagli errori, evidenziati con una precisa e meticolosa “segnaletica” che tutti gli autori di libri ben conoscono.
Fatto sta che a pag. 110 il testo diceva – in uno stile giovanilmente un po’ enfatico – che la parodos dell’“Agamennone” di Eschilo evocava “in fervide immagini tutta una serie di ricordi, pensieri e impressioni, da cui la musica trae la ragione di ogni suo atteggiamento, descrivendo con l’onda melodica del canto i cupi turbamenti dei coreuti” (“dei coreuti”, cioè dei membri del coro, formato da vecchi argivi).
Ai primi due giri di bozze non mi accorsi di nulla. Ma all’ultima consultazione delle bozze ormai impaginate, in un giorno di aprile, a Bagheria, mentre un po’ stanco guardavo dalla finestra la campagna verde e i limoni davanti al Monte Catalfano, mentre perdevo la vista su spiriti dolci e aspri, su accenti circonflessi, acuti e gravi, su pagine e pagine di testo, senza trovare ormai quasi nessun refuso, d’un tratto capitai a pag. 110 e, restando di stucco, lessi: “descrivendo con l’onda melodica del canto i cupi turbamenti dei cornuti”.
Gli anziani corèuti erano diventati cornuti e non a seguito di sventurate vicissitudini familiari (dovute forse alla loro età ormai avanzata), bensì per un micidiale errore di stampa che stava per farla franca e stava per approdare alle stampe.
Allibito, corressi l’errore e tirai un enorme sospiro di sollievo. Mi sentii come un pedone che, sulle strisce, evita di un soffio di essere investito da un bolide che sopraggiunge a folle velocità. Meno male!
Quel libro ebbe poi molta fortuna.
Fu recensito dal “Journal of Hellenic Studies” (a firma, nientemeno, di Martin L. West, insigne filologo di Oxford, che scrisse tra l’altro “Pintacuda’s discussions will be worth consulting”, vol. 100, 1980, p. 238), dalla rivista spagnola “Emerita” (da Francisco Adrados), da “Greece and Rome” (Oxford, aprile 1979), da altre riviste e da quotidiani in Italia e all’estero. Fu citato in saggi critici sia da celebri grecisti (Winnington-Ingram, Comotti, Di Benedetto, Albini fra gli altri) sia da musicologi (fra tutti ricordo “La musica nel mondo antico” di Curt Sachs) ed è ricordato nella bibliografia di molti studi.
Mi hanno detto che pochi giorni fa era ancora in vendita in corso Vittorio Emanuele a Palermo alla “Via dei librai” e, se ci cerca su Google, lo si trova ricordato in molte pagine.
Ebbene, ho spesso pensato che, se quei “coreuti” fossero diventati “cornuti”, avrei sicuramente dovuto cercarmi un altro mestiere (con grande gioia dei miei allievi futuri e dei lettori dei miei libri).
Fortunatamente (o sventuratamente) quella maledetta “n” fu trasformata in “e” al 119° minuto del II tempo supplementare.
E fui grecista per sempre.