La casa editrice Sellerio ha pubblicato in questi giorni “La coscienza di Montalbano”, una raccolta di sei racconti di Andrea Camilleri che hanno per protagonista il commissario più noto d’Italia.
Come si legge nella “Notizia” alla fine del libro, questi sei racconti, qui raccolti per la prima volta in volume, «sono storie scritte in tempi diversi, non comprese nelle cinque antologie che Camilleri ha pubblicato dal 1998 al 2014, storie sparse e variamente edite» (pag. 253).
In realtà di totalmente inedito non c’è niente: infatti quattro dei sei racconti (“Una cena speciale”, “Notte di Ferragosto”, “La calza della befana” e “Ventiquattr’ore di ritardo”) erano già stati pubblicati in alcune “antologie a tema” della stessa casa editrice Sellerio (rispettivamente in “Capodanno in giallo” 2012, “Ferragosto in giallo” 2013, “Un anno in giallo” 2017 e “Una giornata in giallo” 2018).
Quanto agli altri due, hanno almeno la caratteristica di aver goduto di una diffusione minore, dato che “La finestra sul cortile” era uscito a puntate sul mensile gratuito di Roma «Il Nasone di Prati» (nel 2007) e settimanalmente su “Agrigentonotizie.it” nel 2008; “Il figlio del sindaco”, infine, era stato pubblicato in edizione fuori commercio riservata ai clienti di Unicredit Private Banking nel 2008 (la trama costituì poi lo spunto per il romanzo “Una voce di notte” del 2012).
L’astuta operazione editoriale va comunque considerata meritoria, se non altro perché (ri)propone all’attenzione di un pubblico più vasto alcuni testi camilleriani meno noti e perché costituisce un dovuto omaggio a un autore che, a tre anni dalla scomparsa, appare sempre più un punto di riferimento imprescindibile nello scenario culturale del nostro Paese.
Io conoscevo già tutti questi racconti tranne “La finestra sul cortile” e “Il figlio del sindaco”; li ho letti quindi con particolare interesse e qui mi soffermerò in particolare sul primo.
Come dichiarò Camilleri, “La finestra sul cortile” costituisce – ovviamente – “un esplicito omaggio a Hitchcock” (regista dell’omonimo celebre film del 1954). Il racconto nacque – diceva l’autore – «per aiutare la diffusione di un giornaletto di quartiere, “Il Nasone di Prati”, fatto da un gruppo di giovani miei amici» (il “nasone” a Roma è una fontanella, così chiamata per la particolare forma del rubinetto).
Camilleri ambientò il racconto nel quartiere romano di Prati, dove viveva da mezzo secolo; come sintetizzava egli stesso, viene qui narrata «una trasferta romana di Montalbano al quale un amico che deve assentarsi da Roma cede il suo appartamento da scapolo. Appartamento la cui cucina ha una finestra che si apre su un grandissimo cortile. Il cortile che ho descritto è quello che per anni ho visto da una finestra di casa mia. Naturalmente, gli abitanti degli appartamenti che danno nel cortile del mio racconto sono assolutamente di fantasia, non hanno nessun rapporto con coloro che vi abitano nella realtà. Mi divertiva l’idea di mettere il mio commissario di fronte a un paesaggio per lui inconsueto. Egli, infatti, è abituato a vivere a Marinella, in una villetta singola, avendo di fronte a sé la spiaggia e il mare. Un cortile popoloso è per lui una novità assoluta e una fonte di continuo interesse. Come nel film di Hitchcock egli si trova a spiare, anche involontariamente, la vita degli altri. Quale occasione migliore per un uomo che ha l’istinto della caccia, come diceva Hammett?».
A detta dell’autore, il “respiro narrativo” era per lui “alquanto nuovo”: «infatti c’era la necessità di una scansione per capitoletti ognuno dei quali non doveva superare le due-tre cartelle. Ho fatto una certa fatica perché, narrativamente, ho il respiro più lungo, ma spero di esserci riuscito lo stesso».
Ovviamente non intendo rivelare qui (“spoilerare”, si dice purtroppo oggi) la trama completa del racconto (lungo una cinquantina di pagine), ma mi piace estrapolarne un estratto che ne costituisce una divertente divagazione.
Montalbano, costretto dall’odiato questore Bonetti-Alderighi a frequentare un corso di aggiornamento a Roma, viene costretto dal coordinatore del corso, il belga Antonin Verdez, a fare anche delle fantozziane sedute di allenamento consistenti in “lunghe passeggiate di primo mattino”.
Durante una di queste sgambate, «Verdez, doppo averli fatti satare e correre pejo di un allenatore d’una squatra di calcio, li fici arrivare a pedi in un boschetto, li fici assittare in circolo ‘n terra torno torno a lui e accomenzò a tiniri la sò lezioni». Insomma, uno di quei micidiali “circle-time” che dovrebbero favorire i “brainstorming” (quando invece non fanno assopire i cervelli…).
La lezione però viene bruscamente e involontariamente interrotta da Montalbano, che è vittima di un grottesco incidente: «La facenna accomenzò per il fatto che Montalbano, senza addunarisinni, si era ghiuto ad assittare propio supra a un nido di formicole rosse, le quali, com’è cognito all’urbi e all’orbo, sono quelle cchiù guerriere di tutte».
Le motivazioni belliche dei purpurei insetti sono attentamente esaminate dall’autore: «Forse pensarono che il commissario, assistimanno le sò chiappe supra alla loro cità (che doveva avere minimo un milioni d’abitanti), voleva fari loro uno sfregio». Fatto sta che le formiche «reagirono sdegnate, seguendo ‘na precisa strategia di guerriglia».
L’attacco inizia dalla gamba sinistra del commissario; infatti quando questi «sollevò il pantaloni per vidiri di cosa si trattava, s’addunò che un centinaro di formicole, trasute leggie leggie dintra la tromba dei cazùna, avivano attaccato il polpaccio mancino con la dichiarata ‘ntinzioni di sporparisillo in una decina di minuti».
Non basta: viene anche aggredito l’orecchio destro: «una colonna di formicole stava trasenno risoluta ad annargli a perforare un timpano». Infine entra in azione una terza pattuglia, «formata forsi da formicole alpiniste», che «accomenzò a passiargli capilli capilli» (vale la pena di ricordare che Camilleri ha sempre immaginato il suo commissario con un aspetto fisico ben diverso da quello di Luca Zingaretti e quindi con una fluente chioma e con un bel paio di baffi, che lo rendono molto simile – come diceva l’autore – al regista Pietro Germi).
Sotto il concentrico attacco, Montalbano è terrorizzato: «S’immaginò completamente arridotto a uno scheletro sporpato che continuava a ristarisinni assittato al posto sò mentri Verdez non la finiva di parlari e parlari». Quando non ne può più, fa un salto, balza in piedi e grida a gran voce, in dialetto: «I furmìculi! I furmìculi!».
Ovviamente nessuno dei corsisti (provenienti da vari Paesi europei) capisce quella misteriosa parola; ma grande è la loro sorpresa nel vedere il loro collega siciliano che «accomenzava ‘na speci di frenetica danza sciamanica, dannosi grannissime manate sulle gammi, sulla facci, ‘n testa e abballanno supra a un pedi sulo».
Montalbano viene creduto pazzo e tutti scappano; ma un collega tedesco interventista pensa bene di aggredire l’esagitato commissario: «il collega tidisco inveci si slanciò con tutto il piso dei sò centodeci chili di stazza contro Montalbano, l’attirrò con una tistata nella vucca dello stomaco, lo voltò, gli appujò un ginocchio supra la schina e l’immobilizzò».
Quando l’equivoco viene chiarito, Montalbano ottiene di poter tornare a Roma e si ritrova con due costole rotte per la testata del teutonico collega, finendo quindi in una situazione analoga a quella di James Stewart nel film di Hitchcock.
Come si vede, una scenetta esilarante, una specie di breve sketch, in cui però non manca niente: l’ironia su certi corsi di (pseudo)aggiornamento, la personificazione e l’analisi psicologica (!) delle formiche, la satira sulle tattiche militari, la reazione scomposta di Montalbano, il grottesco intervento del violento tedescone.
Così, al solito, sia pure in poche righe di testo, Camilleri descrive, diverte, insegna, riflette: e il tempo trascorso a leggerlo non è mai perduto.