A una negoziante che la invitava a ripassare dopo qualche ora, una signora palermitana ha risposto: «Va bene, allora avvicino più tardi».
L’uso del verbo “avvicinare” in Sicilia è diverso rispetto all’italiano: nella lingua nazionale è transitivo e significa “collocare, mettere più vicino” (es. “se non avvicini la lampada, non ci vedo”), mentre solo la forma pronominale “avvicinarsi” è intransitiva (es. “mi avvicino alla meta”).
Invece in siciliano, oltre al senso attivo di “accostare, avvicinare”, il verbo “avvicinàri” può avere anche il valore intransitivo di “accostarsi, avvicinarsi” e anche di “venire, andare”. Nell’italiano regionale parlato in Sicilia, dunque, l’uso intransitivo di “avvicinare” è molto diffuso; oltre a quello citato all’inizio, ecco due altri esempi:
1) «Se puoi, avvicina verso le tre e ne parliamo».
2) «Ci sei andato al centro commerciale?» «No, ma più tardi ci avvicino».
Difficile dire da dove sia derivato questo strano uso intransitivo del verbo; si ha in questo caso un fenomeno opposto a quello, molto diffuso in Sicilia, della trasformazione dei verbi intransitivi in transitivi (es. “esco la macchina”, “sali la spesa”, “esci i soldi”, ecc.).
Nel caso specifico di “avvicinare”, forse da queste parti si sente il bisogno di esorcizzare e annullare la lontananza, sia essa considerata nel tempo e nello spazio; dunque si preferisce “avvicinare” e non “andare”, quasi a rendere idealmente la meta più “vicina” e raggiungibile.
A proposito: ho dimenticato di comprare le deliziose “challotte” della benemerita pasticceria vicino casa (per chi non le conosce – infelice – mi sa che occorrerà un post apposito).
Ora ci avvicino.