Per rispettare la tradizione dei giorni che precedono il “Festino”, ieri pomeriggio ho acquistato nella benemerita piccola pasticceria vicino casa mia (specializzata nel riproporre dolci e gelati di una volta) il cosiddetto “gelato di campagna”.
A prima vista sembrerebbe un trancio di “tronchetto” gelato; ma in realtà non è un vero gelato: si tratta invece di una sorta di torrone zuccheroso e morbido, solitamente a più colori (con una certa predilezione per le tonalità “tricolori”).
Oltre all’abbondante quantità di zucchero, tra i suoi ingredienti principali c’è il pistacchio, che gli dona il caratteristico prevalente colore verde; vi si aggiungono mandorle, cannella, frutta candita e coloranti alimentari.
Il risultato è che si scioglie in bocca, proprio come un gelato vero e proprio; ed è inutile dire che è poco raccomandabile a chi deve evitare gli zuccheri o a chi vuole evitare le “bombe” caloriche.
Il nome di questo dolce deriva dal fatto che, per la sua caratteristica di essere un “gelato-non gelato”, era possibile portarlo con sé dovunque, anche nelle dimore di campagna, senza rischiare che si sciogliesse per strada; parliamo ovviamente di epoche in cui non esistevano borse termiche, frigoriferi e tanto meno freezer, per cui semmai si ricorreva al ghiaccio (non facilmente trasportabile) per tenere al fresco certi alimenti.
C’è però chi ipotizza origini più antiche e meno dimostrabili del “gelato di campagna”, facendolo risalire alla dominazione araba: da qui deriverebbe la sua forma a mezzaluna (?!). Più fondate sono altre due notizie storiche: lo si preparò anche nei monasteri ed ebbe un “boom” nel 1860, in concomitanza con l’arrivo in Sicilia di Garibaldi, anche per il suddetto colore “patriottico”.
Oggi il “gelato di campagna” si trova soltanto in questo periodo dell’anno, nelle poche pasticcerie che rispettano le tradizioni. Un tempo però era immancabile nelle bancarelle dei “turrunara”, site nei pressi del Santuario di Santa Rosalia su Monte Pellegrino e risultava provvidenziale per compensare gli eventuali cali di zuccheri dovuti alla faticosa “acchianata” (la “scalata”) dei pellegrini in onore della Santuzza.
Ieri sera, immancabilmente, ne ho assaggiato un pezzetto: devo confessare obiettivamente che il suo notorio sapore iperglicemico mi è parso quest’anno un po’ “sdegnoso” (come si dice da queste parti) e forse ormai troppo “dolce” per i miei gusti. Ma sicuramente non mancheranno i suoi estimatori, specialmente tra le persone dall’animo più “zuccheroso”: a loro, dunque, buon appetito con il “gelato di campagna”! (La glicemia ci guadagna…).