Allego il grafico delle temperature minime e massime che ho ricavato dalle osservazioni della mia stazione meteo; si riferisce al pieno centro di Palermo.
Come si vede, non si può parlare di “ondate di calore”, ma semmai di un caldo opprimente e continuo, senza punte da record (la temperatura più alta è stata di 35° il 7 luglio) ma con il contorno di un’umidità mai al di sotto del 60-70% e spesso pari all’80%.
Rarissimi i passaggi nuvolosi.
Non una goccia d’acqua caduta in tutto il mese.
Sole rovente, persistente, intransigente, assolutista, implacabile.
Quanto alle minime della notte, la più “bassa” (diciamo così) è stata di 24°9 il 14 luglio; per il resto non si è scesi mai sotto i 25° e anzi per lo più di notte la minima è stata di ben 27°.
Questa è la nuova estate del nuovo millennio: infuocata, spietata, priva di pause significative.
Certo, si può andare al mare o si può salire in montagna (ma uno degli anticicloni africani di questo mese è stato soprannominato dal noto sito terroristico www.meteo.it “Apocalisse 4800”, proprio perché l’ondata di calore ha provocato lo zero termico in vetta al Monte Bianco).
Si dovrebbe – soprattutto – scappare per lo meno in Islanda o in Groenlandia (dato che solo a quelle latitudini, forse, si respira un po’).
Se no, resta solo di attendere che “passi la nottata”: come dico scherzosamente ai negozianti quando faccio la spesa e li sento lamentarsi per il caldo, «È cosa provvisoria: questione di tre o quattro mesi può essere».
“E la chiamano estate”, cantava un tempo Bruno Martino. Oggi si dovrebbe trovare un nuovo termine per questo periodo nefasto e invivibile, lasciando il termine “estate” ai ricordi di epoche climaticamente più felici.
A questo proposito, allego il grafico (realizzato sempre da me, sia pure con mezzi allora meno tecnologici) relativo alle temperature di Palermo di cinquant’anni fa (1972): come si vede, le notti erano molto più fresche (spesso fra i 19° e i 22°) e raramente la massima superava i 30°.
Tempi d’oro, in cui nel pomeriggio dopo le cinque c’era la “arrifriscata”, la sera si sentiva “frischiceddu” e la notte, specialmente in campagna, il lenzuolo non dispiaceva.
Dimentichiamoci però quei tempi lontani; occorre fare i conti con la realtà di oggi, nella quale l’emergenza climatica va di pari passo con il degrado ambientale.
Le nostre città sono ormai fornaci a cielo aperto, “isole di calore”, nelle quali la temperatura è generalmente più alta (fino a 3°-5°) rispetto alle aree esterne, soprattutto per la concentrazione esponenziale di strutture con superfici radiative, come il cemento, l’asfalto, il metallo, ecc. Se a questo quadro di dissesto ecologico si aggiungono la speculazione criminale (incendi dolosi soprattutto) e l’oggettiva modifica del clima (non meno imputabile al comportamento scellerato degli uomini), siamo proprio messi male.
L’aumento spropositato della temperatura del mare (qui nel Basso Tirreno siamo attualmente a 27°-28°) è un ulteriore elemento di pericolo, in vista delle perturbazioni autunnali (se e quando arriveranno), perché il contrasto con aria più fresca proveniente (prima o poi) da Nord potrà solo innescare fenomeni di forte intensità, che possiamo solo sperare che non siano devastanti.
Forse dovremmo consolarci con le canzoni dell’estate; ma, come imperversa per ora Jovanotti, «Sento il mare dentro a una conchiglia / Estate / L’eternità è un battito di ciglia / Sento il mare dentro a una conchiglia / Estate / L’eternità è un battito di ciglia / e tutto il mondo è la mia / famiglia, ooh / Famiglia, eh / Estate / Estate / Ma che caldo / Ma che caldo / Ma che caldo fa / Ma che caldo / in questa città».
Tanto per non dimenticarcelo…