A poche ore dalla scomparsa di Jean-Luc Godard, il mondo del cinema perde anche la grande attrice greca Irene Papas, che per gli Italiani si identificava con la Penelope dell’Odissea televisiva diretta da Franco Rossi nel 1968; da tempo era malata di Alzheimer. La notizia della morte è stata data dal ministero della Cultura di Atene.
Irini Papà (Ειρήνη Παπά, come suonava in realtà il suo nome greco) era nata nel 1926 a Chiliomodi, un piccolo paese del Peloponneso. Il suo vero nome era Irini Lelékou (suo padre si chiamava Stavros Lelekos), mentre Alkis Papas era il regista che aveva sposato nel 1947 e di cui aveva voluto mantenere il cognome nella sua carriera (divorziò da lui nel 1951).
Frequentò la Reale Scuola d’arte drammatica di Atene e debuttò giovanissima come cantante e ballerina nel varietà, dedicandosi poi al teatro classico. Esordì come attrice cinematografica nel film “La città morta” di Frixos Iliadis (1951). Lavorò in Italia, con registi come Steno e Monicelli, e poi a Hollywood (dapprima in film poco significativi).
Nel 1962 in patria ebbe grande successo interpretando Elettra nell’omonimo film di Michael Cacoyannis; per questo film vinse il premio come miglior attrice al Festival di Cannes. La sua carriera ne ebbe un lancio eccezionale, che le garantì ruoli sempre più importanti in molti film famosi, come ad es. “I cannoni di Navarone” (1961) di J. Lee Thompson, “Zorba il greco” (1964) ancora di Cacoyannis, “A ciascuno il suo” (1967) di Elio Petri con Gian Maria Volonté, “Z – L’orgia del potere” (1969) di Costa-Gavras (film sulla nascita del regime dei colonnelli in Grecia, in cui la Papas interpretò in modo memorabile il ruolo della vedova dell’attivista politico ucciso), “Le troiane” (1970) e “Ifigenia” (1977) di Cacoyannis, “Cronaca di una morte annunciata” (1986) di Francesco Rosi.
L’ultima sua apparizione cinematografica risale al 2001, ne “Il mandolino del Capitano Corelli” di John Madden, al fianco di Nicolas Cage.
In Italia ebbe una grande notorietà: dopo la già ricordata “Odissea” (1968) ottenne numerosi incarichi prestigiosi: nel 1987 fu presidente della giuria della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, mentre nel 2005 (in occasione degli spettacoli classici a Siracusa organizzati dall’INDA) diresse un suggestivo allestimento dell’“Antigone” di Sofocle; nel 2008 alla Biennale di Venezia ottenne il Leone d’Oro alla carriera.
La grande attrice era molto legata al nostro Paese; in un’intervista dichiarò: «L’Italia è la patria che ho scelto, la Grecia è la terra dove sono nata». Parlava correntemente l’italiano: in Italia si era rifugiata, in esilio, quando un golpe aveva portato al potere in Grecia il sanguinario regime dei “colonnelli”; in quel momento la Papas prese subito una netta posizione pubblica, chiedendo a tutti di partecipare a un “boicottaggio culturale” contro quello che definiva il “Quarto Reich”. Rimase sempre fortemente progressista, egualitaria, a volte anche radicale nelle sue posizioni politiche.
Ebbe anche un talento musicale: come l’altra attrice greca di fama internazionale, Melina Mercouri, registrò alcuni dischi (ora disponibili in CD), molto popolari in Grecia: “Odes” e “Rapsodies” contengono 15 canti tradizionali e inni della chiesa greco-ortodossa, arrangiati dal compositore Vangelis. Incise anche canzoni di Mikis Theodorakis e collaborò con la famosa band greca “Aphrodite’s Child” (in particolare con Vangelis e con Demis Roussos).
Pochissime attrici avevano, come la Papas, un’intensità interpretativa così straordinaria, che si riversava soprattutto in uno sguardo profondo ed espressivo come pochi.
Riusciva a rappresentare il dolore e la disperazione con eccelsa sincerità emotiva, soprattutto nei ruoli tragici che più spesso era chiamata a interpretare; ma, quando ne aveva occasione, illuminava la scena con un sorriso radioso.
In un’intervista dichiarò: «Questa è la mia idea di teatro: non si deve recitare, si deve essere. Si deve fare un lavoro, delle ricerche. Allora un attore può creare un personaggio, non recitarlo».
Era il prototipo della bellezza greca classica, con quegli occhi e quei capelli nerissimi e con un profilo che ricordava innumerevoli esempi artistici antichi (a me, chissà perché, ricordava la “Parigina” della civiltà minoica cretese); ma alla bellezza aggiungeva un carisma raro, una personalità forte e spiccata, una cultura profonda, una sensibilità rara, un’umanità spontanea e sincera.
La scomparsa di Irene Papas non impoverisce soltanto il mondo del cinema e del teatro, ma tutta l’umanità, di cui era – senza ombra di dubbio – “patrimonio” inestimabile.
La ricorderemo sempre come Penelope, finalmente serena e felice tra le braccia di Ulisse (l’attore jugoslavo Bekim Fehmiu), nel letto nuziale intagliato da un ulivo secolare, dopo il sospirato ritorno del caro sposo:
«Così disse, e a lui venne più grande la voglia del pianto;
piangeva, tenendosi stretta la sposa dolce al cuore, fedele.
Come bramata la terra ai naufraghi appare,
a cui Poseidone la ben fatta nave nel mare
ha spezzato, travolta dal vento e dalle grandi onde;
pochi si salvano dal bianco mare sopra la spiaggia
nuotando, grossa salsedine incrosta la pelle;
bramosi risalgono a terra, fuggendo la morte;
così bramato era per lei lo sposo a guardarlo,
dal collo non gli staccava le candide braccia»
(Odissea XXIII 231-240, trad. Calzecchi Onesti)