Fra i grandi tragici greci, Eschilo era quello che aveva più senso della regìa; da uomo di teatro sensibile ed esperto, sapeva gestire tempi e modi dell’azione scenica (entrata e uscita dei personaggi, movimenti dei singoli e delle masse, alternanza di musica e recitazione, ecc.). Ma la capacità più straordinaria dell’autore eleusino era quella di “visualizzare” potentemente i concetti. Farò solo tre esempi per chiarire il concetto.
1) Nei Persiani si ha un’iniziale ostentazione del fasto, della ricchezza della corte di Susa; la regina Atossa entra in scena riccamente ingioiellata, anche se preoccupata per la sorte del figlio Serse, partito per la grandiosa spedizione militare contro la Grecia (“ho paura che l’immensa ricchezza disperda in polvere e rovesci a calci / la prosperità che Dario ha costruito”, vv. 162-164, tr. Ieranò).
Ma dopo che un messaggero ha annunciato la catastrofe di Salamina, la regina esce di scena affranta, per tornarvi poco dopo “senza il cocchio, senza lo sfarzo di prima” (v. 608), portando libagioni propiziatorie.
La climax discendente si conclude nell’esodo, allorché Serse entra in scena lacero, con la veste a brandelli, tenendo in mano… una faretra vuota. Non ci poteva essere “correlativo oggettivo” più potente per visualizzare il crollo verticale della regalità di Serse: il leader che conduceva al suo seguito migliaia di uomini, ha con sé un inutile involucro che proclama visivamente la sua impotenza.
2) Nell’Agamennone è nota la scena dei drappi rossi, sui quali Clitemestra propone (ed impone) ad Agamennone di camminare al suo ritorno in patria, per farlo entrare “trionfalmente” nella reggia.
La richiesta di calpestare i drappi (in greco πετάσματα; non sono “tappeti”, proprio perché non è normale camminarvi sopra) è stata considerata un “escamotage” della donna per indurre il marito alla hybris (ὕβρις), cioè ad un atto superbo e inviso agli dèi. Ma in realtà di questa hybris il re mostra pochi indizi; anzi nel suo precedente discorso si era mostrato aperto a un confronto con il suo popolo (“convocherò pubbliche adunanze e insieme provvederemo”, vv. 845-6).
Allora che senso ha questo passaggio di Agamennone sui drappi rossi, per di più a piedi scalzi (“e subito un’ancella mi slacci i calzari”, vv. 944-5)?
A certe domande, quando si parla di opere teatrali, occorre rispondere “da spettatori”: che cosa vede il pubblico? Un uomo scalzo che cammina su un sentiero rosso fino ad una porta spalancata. Quale immagine potrebbe essere più chiara, più evidente, più potente di questo passaggio dalla sezione-vita alla sezione-morte? Là dentro Agamennone sarà scannato dalla moglie; ed Eschilo questa strage la fa già “vedere” in quel “cammino di rosse porpore” (πορφυρόστρωτος πόρος, v. 910).
3) Infine prendiamo le Coefore. Nel momento decisivo, quando Oreste è stato accolto nella reggia da Clitemestra e si prepara a uccidere la madre, un servo entra in scena annunciando la morte di Egisto e picchiando alla porta del gineceo (“togliete le sbarre alla porta delle donne”, vv. 878-9).
Quando la porta si apre… appare Clitemestra.
Sì, la donna “dal senno virile”, la donna che finora, come osserva Oliver Taplin, è stata «la padrona della soglia»; la regina ha regolato l’ingresso e l’uscita dei personaggi dalla reggia, esercitando su di loro un forte e autorevole controllo.
Ma ora la donna-uomo, la regina-re, è tornata ad essere una debole donna, confinata dunque nel gineceo, da dove gli spettatori la vedono uscire, mentre cerca invano “una scure mortale” (v. 889) nel vano tentativo di difendersi dal figlio.