Nella mia adolescenza, i miei fumetti preferiti appartenevano a una serie edita da Arnoldo Mondadori: era una collana chiamata “I classici dell’audacia” e fu pubblicata dal 1963 al 1967 (in tutto 63 numeri). Grazie a questa collana i lettori italiani conobbero i grandi autori del fumetto franco-belga: Jean Graton (creatore del pilota automobilistico Michel Vaillant), Edgar-Pierre Jacobs (inventore del geniale professor Mortimer), Albert Weiberg (che creò il pilota aereo Dan Cooper) e altri.
Nel primo periodo la pubblicazione era mensile: 64 pagine a colori, brossurato cm. 20,5×28,5; un numero costava 250 lire (poco più degli attuali 10 centesimi). I primi tre numeri, usciti fra il dicembre 1963 e il febbraio 1964, avevano per protagonista il pilota automobilistico Michel Vaillant e si intitolavano “La grande sfida”, “Il pilota senza volto” e “Il circuito del terrore”. Tutti e tre erano opera di Jean Graton (nato a Nantes nel 1923) e avevano come arma vincente la bellezza e precisione del disegno, la minuziosa cura dei particolari, la caratterizzazione dei personaggi, le ambientazioni e la coerenza delle storie, le atmosfere affascinanti.
Michel Vaillant era stato ideato da Graton nel 1956; aveva esordito nell’edizione belga del settimanale “Tintin” e l’anno successivo in quella francese.
Il personaggio ha una storia e una famiglia: è il secondogenito di una famiglia di costruttori automobilistici francesi. Suo padre, il patriarca Henri, è il proprietario dell’omonima casa automobilistica “Vaillante”, in cui lavora anche il fratello più grande Jean Pierre, che svolge mansioni di ingegnere e che sostituisce il padre come direttore delle corse.
La famiglia vive in una specie di piccolo castello chiamato “La Jonquiere” (divenuta “la Giunchiglia” nell’edizione italiana), a una ventina di Km a sud di Parigi.
Il protagonista, il giovane Michel, è un ragazzo esemplare, amante della famiglia, rispettoso, leale, bello, gentile, dotato di ogni virtù (non beve, non fuma, va a letto presto); diventa amico del baldanzoso americano Steve Warson (inizialmente suo acerrimo rivale) e finisce per sposare la dolce Françoise Latour.
Michel è un pilota automobilistico eccezionale: diventa per cinque volte Campione del Mondo di Formula 1, vince per due volte la 500 Miglia di Indianapolis e quattro volte la 24 ore di Le Mans, vince una volta la Parigi-Dakar, ecc.
Il personaggio ispirò una serie di telefilm trasmessi in Francia nel 1967, una serie di cartoni animati in Francia nel 1991 e un film del 2003 (“Michel Vaillant”) di Louis-Pascal Couvelaire (con sceneggiatura di Luc Besson).
Conservo ancora diversi albi di Michel Vaillant (ho scoperto su Internet che ora i collezionisti li cercano a prezzi incredibili!). In particolare ne ho riletti di recente due: l’albo 22 (“Il ritorno di Warson”, del 1° settembre 1965) e il 32 (“Il castello della vendetta”, 1° luglio 1966).
“Il ritorno di Warson” è ambientato in una piovosa Amsterdam: Michel Vaillant vi si reca in cerca del suo amico Steve Warson, scomparso e in realtà impegnato in una rischiosa missione segreta con l’FBI. Lo scenario cupo, teso, dolente, sotto una pioggia incessante, fa da sfondo a una vicenda insolita, in cui Michel (fra l’altro tormentato da un fastidioso mal di denti) deve indagare da solo per trovare l’amico in pericolo, trovando poi insperato aiuto in una cameriera neozelandese di nome Adinda. Il lieto fine è sottolineato da un raggio di sole che illumina i due amici ritrovati.
“Il castello della vendetta” è ambientato alla vigilia del Gran Premio di Germania che deve tenersi nel circuito del Nürburgring. Michel Vaillant, Steve Warson e i loro compagni di squadra sono ospiti del dottor Spangenberg e di sua figlia Gabrièle, che vivono nel castello di Königsfeld, nella Renania-Palatinato (in realtà a Königsfeld non ci sono più castelli, ma Graton vi trasferì il castello bavarese di Abenberg, ritratto nei minimi dettagli con estrema accuratezza).
Dopo la sparizione di alcuni piloti, ospiti degli Spangenberg, l’imponente e tetro maniero medievale diventa il vero protagonista dell’episodio: le sue mura oscure, i sotterranei con i sarcofagi, i saloni con le armature e i passaggi segreti sono disegnati con estrema precisione e suggestione. Non manca un pudico accenno di love-story fra Michel e la bella Gabrièle.
Gli altri protagonisti della raccolta “Classici dell’audacia” erano all’inizio il pilota Dan Cooper e il professor Philip Mortimer.
Dan Cooper, pilota militare della “Royal Canadian Air Force” e disegnato dal belga Albert Weinberg (1922-2011), era un collaudatore incaricato di testare nuovi velivoli aereo-spaziali, impegnato in avventure fantascientifiche (fra i titoli, “Delta blu”, “Il padrone del sole”, “Il muro del silenzio”).
Il professor Mortimer, disegnato dal bravissimo fumettista belga Edgar-Pierre Jacobs (1904-1987), era un personaggio per me decisamente più coinvolgente; era un eminente studioso di origini scozzesi, archeologo e ricercatore, dalle grandi doti investigative.
Mortimer, con l’eterna pipa in bocca, era coinvolto in episodi ambientati in contesti esotici (in Egitto “Il mistero della grande Piramide” e “La camera di Horus”), in storie fantascientifiche (“SOS meteore”), in una Londra nebbiosa e misteriosa (“Il marchio giallo”) o addirittura in fantastici viaggi nel tempo (“La trappola diabolica”).
Inseparabile compagno del veemente Mortimer era Francis Blake, capitano dei servizi segreti britannici, flemmatico ma tenace e ostinato.
Il loro acerrimo nemico era il Colonnello Olrik.
La serie degli episodi di Blake e Mortimer risaliva addirittura al 1946, quando esordì sul settimanale a fumetti “Tintin” in Belgio. In Italia gli albi su questi due personaggi erano già stati pubblicati negli anni Cinquanta da Vallardi.
Fra le storie di Mortimer, “La trappola diabolica” (che conservo pure come reliquia) divenne un bestseller internazionale ed entrò giustamente nel mito del fumetto di qualità. Uno scienziato pazzo di nome Miloch costruisce una macchina del tempo per fare perdere nel tempo Mortimer, suo acerrimo nemico: il professore si trova così sbalzato in epoca preistorica, nel Medioevo e in un lontano del futuro. Questo bellissimo fumetto, richiamandosi a H.G Welles, affrontava con successo il difficile tema dei pericoli della scienza.
Sul numero 27 del 1° febbraio 1966 (“Sfida a Ric Roland), entrò in scena un nuovo personaggio, Ric Roland, creato da “André-Paul Duchâteau” (1925-) per i testi e Gilbert Gascard (1931-2010) per i disegni (con lo pseudonimo “Tibet”). Ric Roland era un giornalista appassionato di enigmi, che si trovava spesso coinvolto nelle investigazioni poliziesche del commissario, suo amico, Bourdon. Il personaggio nell’originale si chiamava “Ric Hochet”.
In seguito i “Classici dell’audacia” divennero quattordicinali, ma meno curati graficamente: erano sempre 64 pagine, ma miste di colore e bianco e nero; il formato era più piccolo e subentrarono nuovi (dimenticabili) personaggi come Blueberry, Marc Franval, Mike Tanguy e Laverdure.
In un ultimo periodo, dal n. 51 (3 luglio 1967) al n. 63 (18 dicembre 1967), gli albi tornarono interamente a colori, ma di qualità sempre minore e con meno pagine. Molti personaggi (tra cui Vaillant) confluirono poi negli “Albi Ardimento”, ma senza più eguagliare la magia e il livello dei “Classici dell’Audacia”.
Ho voluto ricordare oggi questi albi a fumetti per due motivi che ritengo validi.
Anzitutto, per riconoscere uno dei pregi della vita del pensionato, cioè la possibilità di gestire diversamente i tempi finora frenetici della propria esistenza, concedendosi anche qualche innocente divagazione memoriale, come la rilettura – dopo 50 anni – dei fumetti preferiti della propria adolescenza.
Ma poi, direi, per dare il dovuto riconoscimento al ruolo che certi fumetti “intelligenti” hanno avuto su di me come su molti ragazzi di un tempo; infatti, la cura del disegno, l’attenzione alla logica narrativa, l’introspezione psicologica dei personaggi (soprattutto nel caso di Michel Vaillant e Steve Warson), la realizzazione tecnica impeccabile, la proposta di valori positivi ed esemplari, sono tutti elementi innegabilmente presenti in queste storie di mezzo secolo fa, che riescono ancora ad attirare l’attenzione smaliziata di un insospettabile grecista a riposo riportandolo indietro negli anni, facendolo però rammaricare del fatto che non esista più un’uguale cura per i messaggi rivolti agli adolescenti. In queste antiche storie mai volgari, mai sopra le righe, sempre ben costruite, coerenti e ricche di valori umani, in quei personaggi onesti e leali (mai super-eroi, mai dotati di poteri sovrannaturali), c’era un messaggio di fiducia e speranza, che poteva indurre a credere in quei valori o, per lo meno, ad accettare l’idea che tali valori potessero e dovessero davvero esistere.
Confesso quindi che, dato che mi restano una ventina di altri albi da rileggere, provvederò a farlo presto, per immergermi nuovamente in quell’atmosfera così suggestiva. Se questo passatempo servirà a far riemergere altri ricordi sommersi dal tempo o a farmi illudere per un attimo di tornare giovane, almeno per il tempo della lettura, sarà stato sicuramente un’esperienza positiva. Ergo, paulo minora legamus!
Quando lessi “La Grande Sfida” avevo 6 anni. All’epoca i miei preferiti erano Michel Vaillant e Dan Cooper, poi una quindicina di anni fa sono riuscito a ritrovare tutti i fumetti dei Classici in rete (le mie copie erano magicamente sparite durante un trasloco) ed ho apprezzato moltissimo anche le storie di Mortimer. Impagabile la rievocazione delle sensazioni provate a quel tempo causata da certe tavole
Che ricordi i Classici dell’Audacia
Li avevo quasi tutti, Mortimer un mito e le macchine precise di Michel Vaillant