Il freddo in Sicilia e qualche citazione letteraria

Stamattina alle 7 il termometro qui a Palermo segnava 8°; cielo coperto e qualche folata di vento gelido.

Per noi il “freddo” arriva le poche volte che la colonnina di mercurio scende sotto i 10°, cosa sempre più rara negli ultimi anni; ma quando questo si verifica forse si soffre il freddo più qua che nella pianura padana.

Ricordo da ragazzo le vacanze natalizie nella casa di Bagheria non riscaldata, quando non c’era coperta che bastasse e occorreva ricorrere alla borsa d’acqua calda per potersi infilare in un letto che pareva bagnato; di giorno mi aggiravo per le stanze indossando un antico scialle di lana “a mantellina” cucito dalle mie zie: sembrava, allora, che avessi l’età che ho ora.

Ricordo anche un anno scolastico in cui ho insegnato a Lercara Friddi, in cui nel siderale Liceo scientifico “Picone” riuscii a beccarmi i reumatismi (pur essendo ancora giovane) e in cui ogni giorno valicare il Bivio Manganaro ricordava vagamente l’ascensione sull’Everest.

Mi vengono in mente, in giornate come queste, in cui l’isola del Sole sembra rinunciare al suo millenario meritatissimo epiteto, alcuni brani letterari di autori siciliani che descrivono il “nostro” maltempo. Ne citerò qui alcuni.

1) Il III capitolo dei “Malavoglia” di Verga descrive un’ondata di maltempo in pieno settembre che colpisce la zona di Trezza; la tempesta causerà il naufragio della barca “Provvidenza” (per Verga la provvidenza è come il Titanic, è appunto una nave che affonda…), con la morte di Bastianazzo, il figlio di Padron ‘Ntoni.

Ecco le prime righe del capitolo, che presentano la consueta tecnica verista della “regressione”, per cui l’autore “scende” al livello degli abitanti del paese, raccontando i fatti secondo la loro prospettiva:

«Dopo la mezzanotte il vento s’era messo a fare il diavolo, come se sul tetto ci fossero tutti i gatti del paese, e a scuotere le imposte. Il mare si udiva muggire attorno ai fariglioni che pareva ci fossero riuniti i buoi della fiera di Sant’Alfio, e il giorno era apparso nero peggio dell’anima di Giuda. Insomma una brutta domenica di settembre, di quel settembre traditore che vi lascia andare un colpo di mare fra capo e collo, come una schioppettata fra i fichidindia. Le barche del villaggio erano tirate sulla spiaggia, e bene ammarrate alle grosse pietre sotto il lavatoio; perciò i monelli si divertivano a vociare e fischiare quando si vedeva passare in lontananza qualche vela sbrindellata, in mezzo al vento e alla nebbia, che pareva ci avesse il diavolo in poppa; le donne invece si facevano la croce, quasi vedessero cogli occhi la povera gente che vi era dentro».

2) Nel IV capitolo del “Gattopardo” in una gelida giornata di novembre Tancredi torna a Donnafugata dal suo “zione” (il Principe di Salina) e soprattutto dalla sua fidanzata Angelica; con lui c’è il giovane ed etereo contino settentrionale Cavriaghi (destinato a innamorarsi di Concetta, figlia del principe, senza esserne ricambiato). Anche in questo caso il contesto meteorologico è pestifero:

«Si era verso il dieci di Novembre ed anche alla fine del soggiorno a Donnafugata. Pioveva fitto, imperversava un maestrale che spingeva rabbiosi schiaffi di pioggia sulle finestre; lontano si udiva un rotolio di tuoni; ogni tanto alcune gocce, avendo trovato la strada per penetrare negli ingenui fumaioli siciliani, friggevano un attimo sul fuoco e picchiettavano di nero gli ardenti tizzoni di ulivo. Si leggeva “Angiola Maria” e quella sera si era giunti alle ultime pagine: la descrizione dello sgomento viaggio della giovinetta attraverso la diaccia Lombardia invernale intirizziva il cuore siciliano delle signorine, pur nelle loro tiepide poltrone. Ad un tratto si udì un gran tramestio nella stanza vicina e Mimì il cameriere entrò col fiato grosso: “Eccellenze” gridò dimenticando tutta la propria stilizzazione “Eccellenze! è arrivato il signorino Tancredi! È in cortile che fa scaricare i bagagli dal carrozzino. Bella Madre, Madonna mia, con questo tempo!”. E fuggì via».

Poco dopo, Tancredi e l’amico entrano nella sala, intirizziti e fradici: «sull’ultimo gradino comparve una massa informe e pesante: era Tancredi avvolto nell’enorme mantella azzurra della cavalleria piemontese, talmente inzuppate d’acqua da pesare cinquanta chili e da apparire nera. “Stai attento, zione: non mi toccare, sono una spugna!”».

Anche Cavriaghi ha modo di esternare la sua sorpresa per il maltempo trovato inaspettatamente in Sicilia: «toltosi il berrettino fradicio e sformato baciava la mano alla Principessa, sorrideva e abbagliava le ragazze con i baffetti biondi e l’insopprimibile erre moscia. “E pensare che a me avevano detto che quaggiù da voi non pioveva mai! Mamma mia, sono due giorni che siamo stati come dentro un fiume!».

Le parole di Cavriaghi inducono il principe a rivolgergli un invito: «Senta, conte; Lei credeva che in Sicilia non piovesse mai e può vedere invece come diluvia. Non vorrei che credesse che da noi non ci sono le polmoniti e poi si trovasse a letto con quaranta di febbre»; lo invita quindi ad asciugarsi bene, a cambiare abito e a rifocillarci con un ponce e dei biscotti, in attesa del pranzo.

Claudia Cardinale e Alain Delon nel film ‘Il Gattopardo’ diretto da Luchino Visconti. 1963

3) Il commissario Montalbano, nei romanzi di Andrea Camilleri, è fortemente meteoropatico; una giornata grigia e piovosa contagia inevitabilmente il suo umore, rendendolo pestifero. Basti leggere questo bellissimo “incipit” del romanzo “Il cane di terracotta”:

«A stimare da come l’alba stava appresentandosi, la iurnata s’annunziava certamente smèusa, fatta cioè ora di botte di sole incaniato, ora di gelidi stizzichii di pioggia, il tutto condito da alzate improvvise di vento. Una di quelle iurnate in cui chi è soggetto al brusco cangiamento di tempo, e nel sangue e nel ciriveddro lo patisce, capace che si mette a svariare continuamente di opinione e di direzione, come fanno quei pezzi di lattone, tagliati a forma di bannèra o di gallo, che sui tetti ruotano in ogni senso ad ogni minima passata di vento. Il commissario Salvo Montalbano apparteneva da sempre a quest’infelice categoria umana e la cosa gli era stata trasmessa per parte di matre, che era cagionevole assai e spesso si serrava nella càmmara da letto, allo scuro, per il malo di testa e allora non bisognava fare rumorata casa casa, camminare a pedi lèggio. Suo patre invece, timpesta o bonazza, sempre la stessa salute manteneva, sempre del medesimo intìfico pinsèro se ne restava, pioggia o sole che fosse».

In conclusione, accettiamo – noi Siciliani – con pazienza e rassegnazione la nostra (dovuta e indispensabile) razione di freddo e gelo; passerà presto: e tornerà a regnare su di noi il nostro sovrano indiscusso, Sua Maestà il Sole.

Ne era convinto, senza ombra di dubbio, il tomasiano Principe di Salina (altro meteoropatico, alla rovescia), come emerge dalle parole che rivolgeva al cavaliere Aimone Chevalley di Monterzuolo: “Questo clima che c’infligge sei mesi di febbre a quaranta gradi; li conti, Chevalley, li conti: Maggio, Giugno, Luglio, Agosto, Settembre,Ottobre; sei volte trenta giorni di sole a strapiombo sulle teste; questa nostra estate lunga e tetra quanto l’inverno russo e contro la quale si lotta con minor successo».

Non perdiamo di vista, insomma, mentre ci copriamo bene e affrontiamo questo freddo episodico, il vero nemico di sempre; qui il rischio maggiore è quello di cantare, come faceva Bruno Martino, “Odio l’estate”: «Odio l’Estate / il sole che ogni giorno ci scaldava / che splendidi tramonti dipingeva / adesso brucia solo con furore. / Tornerà un altro inverno / cadranno mille petali di rose / la neve coprirà tutte le cose / e forse un po’ di pace tornerà».

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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