“Maremosso” è il “magazine” de “La Feltrinelli”: contiene interviste, recensioni, bibliografie, classifiche, notizie, approfondimenti dal mondo della cultura.
Nel suo sito si trovano anche degli audio, dei brevi “podcast”, che hanno la funzione di “trailer” di presentazione per alcuni libri, di cui viene consigliata la lettura.
Un mio caro amico oggi mi ha segnalato un particolare curioso, che si può facilmente riscontrare sentendo al link https://maremosso.lafeltrinelli.it/podcast/tutta-colpa-di-venere-leonardo-piccione-libro il podcast di presentazione del libro “Tutta colpa di Venere” di Leonardo Piccione, pubblicato da Neri Pozza. Il libro narra la storia dell’eccentrico astronomo francese Guillaume Le Gentil de la Galaisière; costui nel 1761 decise di osservare il transito di Venere davanti al Sole, evento astronomico fondamentale per il calcolo delle dimensioni dell’universo, e si recò per questo a Pondicherry, una colonia francese in India.
Il podcast, che contiene un breve “specimen” tratto dal libro, viene letto (ahimè) da una giovane attrice (III anno 2022 dell’Accademia d’arte del dramma antico di Siracusa).
A un certo punto del testo, il protagonista (il cui nome viene – chissà perché – pronunciato dalla lettrice “Lejòntl”, ma questo è ancora niente…) viene descritto dall’autore nel seguente atteggiamento: «Le Gentil, in piedi sul castello di prua del vascello Sylphide, entrambe le mani poggiate sul grande telescopio, “redingote” al vento e sguardo rivolto verso un interlocutore sulla sua sinistra, appare altamente inquieto, preso anima e corpo da una delle sue osservazioni astronomiche della sua carriera che, per un motivo o per un altro, approdarono lontano dal lieto fine; diciamolo meglio, che fallirono miseramente».
Nel brano, come si vede, compare il termine francese “redingote” che, come sanno ormai poche persone, indica (cito dal vocabolario italiano del mio docente di Glottologia a Genova, prof. Emidio De Felice) un “abito elegante da passeggio e da equitazione con giacca lunga fino al ginocchio, usato in Europa dal Settecento fino al primo Nocevento”; nella moda femminile moderna, invece, il termine indica un cappotto “aderente, stretto alla vita e svasato nella parte inferiore”.
Questo vocabolo francese ha per noi italiani la doppia difficoltà di pronuncia della “r” arrotata iniziale e della nasale interna: la trascrizione tecnica della pronuncia corretta è “ʁə.dɛ̃.ɡɔt” e decisamente è osso duro per qualunque lettore italiano; tuttavia, se si vuole ottenere una lettura decente, si dovrebbe pronunciare grosso modo “redangòt” o “redengòt”, fermo restando comunque l’accento sull’ultima sillaba che, come si sa, è tipico della lingua transalpina.
Ma che ha fatto, di fronte a questo oscuro termine, la povera allieva attrice, incaricata da Feltrinelli & C. di leggere il podcast? Ha fatto quello che purtroppo fanno oggi un’infinità di giovani, abituati (e questo è colpa dei loro maestri) al pressappochismo, alla superficialità, all’approssimazione culturale: dunque la ragazza legge come è scritto: “redìngote”, con tanto di “e” finale ed accento sulla “i”.
Sciocchezze, diranno molti di voi; che importa se si dice “redìngote” o se si tenta di riprodurre l’astrusa pronuncia originale?
Ebbene, importa eccome.
Quando facevo il mio “lavoro sporco” di insegnante pignolo e sentivo parlare i ragazzi, che spesso avevano la tendenza a ripetere certe cose “a pappagallo” senza capirle, li fermavo quando dicevano qualche termine più “alto” e difficile; subito chiedevo loro di spiegarmi il senso della parola che avevano usato, ma spesso non ne sapevano il significato; allora cercavo di far capire loro che mai e poi mai, non solo a scuola ma ovunque, dovevano dire una parola di cui non capivano il senso. Ciò serviva per evitare “gaffes” e strafalcioni, ma soprattutto serviva perché l’uomo è una creatura dotata di ragione ed è obbligato quindi a usarla, sempre. Insomma, dicevo, se in un brano troviamo qualche parola “sconosciuta”, è nostro dovere (se nessun altro ce la spiega) di documentarci noi e di scoprire il significato del termine misterioso.
L’attrice che legge il podcast di Feltrinelli, purtroppo, non ha evidentemente avuto mai nessuno che le abbia spiegato queste cose; sarà, forse, l’ennesima vittima dell’attuale trasformazione della scuola in un arido “compitificio-interrogatorificio”.
Va notato poi che la redazione di “Maremosso” non ha ritenuto di dover controllare la correttezza della lettura; oppure, ipotesi purtroppo non meno plausibile, nessuno ha notato la “defaillance”.
E sapete perché?
Perché così va il mondo.
Perché precisione, correttezza e scrupolo professionale sono concetti scomodi ed estranei ormai alla stragrande maggioranza delle persone.
Perché gli errori (sempre più numerosi in tutti i campi) non sono percepiti e riconosciuti come tali. Perché nessuno (e questa è la cosa più grave) si fa un problema di ciò, accontentandosi di continuare a produrre svarioni e amenità senza che nessuno abbia niente a ridire e forse anzi senza che nessuno più se ne accorga.
Forse conviene adeguarsi a questo ineffabile venti-ventitrè, se vogliamo sopravvivere. E del resto, per tornare al nostro caso specifico, chi la mette più, oggi, la “redingote”? A chi può interessare come si debba pronunciare questo termine desueto? E allora trasformiamola in “redìngote” e chi si è visto si è visto.
Del resto l’Accademia d’arte del dramma antico a Siracusa, da cui proveniva la nostra volenterosa lettrice feltrinelliana, tutt’al più potrà avere a che fare con pepli e chitoni, non certo con una “redingote”.