L’altro ieri, sabato 22 luglio 2023, era il 180° anniversario della nascita della mia bisnonna paterna Giuseppa Manzella. Era nata infatti a Bagheria il 22 luglio 1843; i suoi genitori erano Michele Manzella (nato nel 1819) e Giuseppa Raspante (del 1823).
La bisnonna Giuseppa (Pinedda? Pippina? Pippuzza?) si sposò molto giovane, come si usava allora, con Tommaso Sciortino. Di lui possiedo una foto (che allego): era più anziano di quattro anni rispetto alla moglie.
I coniugi Sciortino ebbero il loro primo figlio, Pasquale, all’indomani dell’Unità d’Italia, nel 1862; seguirono altri sette figli (a quei tempi le famiglie erano molto prolifiche): Giuseppe, Michele, Salvatore, Giovanna (nata nel 1873, la mia nonna paterna), Angelo, Tommaso e Giuseppa.
Mimmo Sciortino (mio lontano cugino e fonte inesauribile e preziosa di notizie “baariote”) mi comunica che il bisnonno Tommaso era proprietario di diverse case tra le vie Leonforte, Alessandria e Ricezione (oggi via Goethe); lasciò poi queste case ai figli e, in particolare, mia nonna Giovanna e Giuseppa ebbero le case in via Leonforte. Io ricordo benissimo questa casa, ove mia nonna visse coi figli per tutta la vita e ove io andavo in estate da bambino.
Sicuramente, in base a queste notizie, il bisnonno Tommaso, qualunque fosse la sua attività (forse commerciante), era abbastanza benestante, essendo proprietario di tante case.
Certo, erano tempi difficili per tutti.
Un’antica stampa del 1860 (che allego) mostra Villa Butera a Bagheria, presidiata dai soldati borbonici. Chissà se la diciassettenne Giuseppa (Pinedda? Pippina? Pippuzza?) vide l’arrivo dei garibaldini, se ebbe notizia di qualche scontro a fuoco, se “si scantò” di quel trambusto. Chissà se suo marito Tommaso (Masino? Masuzzo?) sarà stato fedele al vecchio regime o infervorato dalle camicie rosse…
Come scrive Nicola Previteri (“Verso l’unità. Gli ultimi sindaci borbonici di Bagheria”, Assessorato ai Beni Culturali del Comune di Bagheria, Bagheria 2001, p. 270), nel 1860 il paese visse già ai primi di aprile “la peggiore Pasqua della sua storia”: il 4 aprile, in seguito al fallimento della rivolta antiborbonica al convento della Gancia di Palermo, i paesi circostanti erano in fermento e Bagheria non fu da meno. Vi furono delle scaramucce fra alcuni bagheresi e le truppe borboniche acquartierate nella casina Inguaggiato: ci scapparono tre morti in un solo giorno (ma forse vi furono anche delle vendette personali verso i “rondieri” e gli “sbirri” dell’epoca…). Insomma, erano tempi “tinti”…
I novelli sposi Sciortino iniziarono la loro vita coniugale in quella difficile epoca di passaggio.
Per il resto, della bisnonna Giuseppa so solo che morì il 12 agosto 1904, otto anni prima rispetto a suo marito Tommaso.
Perché sto rievocando queste notizie?
Ho l’abitudine, trasmessami da mio padre, di appuntare su un calendarietto da tavolo le ricorrenze principali della vita mia e dei miei familiari: nascite, morti, matrimoni, lauree, eventi importanti, ecc.
Sabato scorso il mio sguardo, sorvolando una montagna di bozze del mio ultimo libro, è cascato sul calendarietto e ha trovato il breve appunto su Giuseppa Manzella.
Beh, che dire? Mi sono fermato a riflettere (è il mio difetto congenito).
Di questa bisnonna non ho una foto e la sua esistenza si riduce per me alle suddette scarne notizie relative al suo matrimonio, ai suoi figli, alla sua morte a soli 61 anni (ma allora la vita media era molto più corta).
Nient’altro. Il resto è silenzio.
Com’era, la mia bisnonna? I lontani ricordi di famiglia (come testimonia ancora Mimmo Sciortino) dicono che era bassina di statura. Ma di che colore erano i suoi occhi?
I capelli erano scuri, come lo stereotipo del tempo prevede, o più chiari? (Sua nipote Giuseppa La Tona, che ricordo bene, aveva dei bellissimi occhi azzurri…).
E poi, com’era il suo carattere? Era remissiva, ubbidiente, da brava “fìmmina” d’altri tempi, o aveva un suo estro e un temperamento vivace?
Insomma, che cosa fu mia bisnonna, nella sua vita, oltre che figlia, moglie, madre, nonna e (inconsapevolmente) bisnonna?
Qual era l’orizzonte della sua esistenza quotidiana? Verosimilmente le “stratuzze” di Bagheria, le chiese principali (la Madrice, il Sepolcro, le “Aimme sante” o “Anime sante”), lo “stratuneddu” (poi corso Umberto I) e lo “stratuni” (corso Butera) dove forse faceva la “passiata” la domenica a braccetto col marito e seguita dal codazzo dei figli…
Chissà se prese qualche volta la carrozzella in piazza e arrivò a vedere il mare di Aspra; certo ne sentì il profumo inebriante, che a Bagheria si percepiva fortissimo già dalla “Puntavugghia”, vicino alla stazione e all’inizio del “rettifilo” di 4 chilometri che porta alla frazione marittima del paese.
Non so immaginare se si fosse mai spinta oltre: il santuario della Milicia, ad esempio, è a 8 km da Baarìa; certo, “la strada c’è” e allora non c’erano “màchine”, si camminava a piedi o (chi lo aveva) si spostava sul carretto.
Forse avrà passato del tempo stando seduta nel vicolo, chiacchierando con le vicine (come avviene in una scena del bellissimo film “Baarìa” di Giuseppe Tornatore, di cui allego la foto).
Qui non so proprio cosa aggiungere.
Mi fa molta impressione che la vita di un essere umano, i suoi sentimenti, le sue esperienze, le sue parole, i suoi ricordi si riducano dopo tanti anni a pochi cenni malamente tratteggiati (come in questo caso), forzatamente incompleti e spesso quasi ipotetici.
Più fortunati sono i giovani di oggi, che possono spesso vedere i loro bisnonni in video (come può fare mio figlio grazie ai filmini di famiglia, che conservo e che risalgono agli anni dal 1952 in poi).
Comunque sia, anche se oggi sono riuscito solo a ricostruire queste poche righe maldestre, credo sia bello e importante che qui e ora, nell’anno venti-ventitrè di questo strambo nuovo millennio, Giuseppa Manzella sia tornata, per qualche momento, a vivere.
L’avessi io, fra 140 anni, la stessa fortuna.
“Esiste il moto del viso, la figura dell’affetto / di coloro che vennero meno / sì stranamente nella nostra vita / e degli altri, rimasti ombre di flutti, / pensieri nell’infinità del mare? / O forse no, forse non resta, se non il peso, nulla, / la nostalgia del peso d’un’esistenza viva, / qui dove stiamo senza consistenza, chini / come i rami del salice agghiacciante, / traboccati in un tempo costante e disperato?” (Yorgos Seferis, “Il re di Asìne”).
Bellissimo ricordo! Sempre affascinanti i tuoi racconti. Un abbraccio.