Alla fine di giugno ha chiuso una storica edicola-libreria che si trovava qui a Palermo in via Sammartino, a pochi passi da casa mia.
La titolare, la sig. Giovanna, persona simpaticissima, intelligente e brillante, ha deciso di ritirarsi per prendersi un po’ di meritato riposo dopo una vita dedicata al lavoro. L’attività verrà proseguita dal figlio, in un’altra edicola più piccola, a poca distanza; i locali dell’ex edicola invece saranno annessi dal pub gestito dal marito della signora, frequentatissimo e apprezzato da moltissimi clienti.
Niente da eccepire, ovviamente, sulla giusta decisione della signora, che però mancherà tantissimo a me come a tanti altri clienti. Lei stessa confessava il suo rammarico per l’abbandono di un’attività svolta sin da ragazza, quando si recava a Bagheria per lavorare in un’edicola di famiglia.
La tappa mattutina nell’edicola della signora Giovanna era per me un’abitudine consolidata e piacevole: era corredata dallo scambio di opinioni, da battute scherzose, da commenti sui fatti del giorno. A volte, scherzando, dicevo alla signora che il giorno prima ero andato “dalla concorrenza” (riferendomi all’edicola di suo figlio, che aveva il merito di trovarsi nella strada che percorrevo recandomi a scuola).
Insomma io, che di pub vinicoli non sono affatto un abituale frequentatore, pur augurando ogni fortuna a questo esercizio, non posso non immalinconirmi al ricordo di quell’edicola da cui passavo quasi ogni giorno.
Ma questi sono i tempi: le edicole spariscono perché sempre meno persone ritengono di dover acquistare un giornale o una rivista; le letture, sempre più rare e fugaci, si fanno su quel necessario prolungamento del nostro corpo che è lo smartphone, mentre è ormai rarissima e quasi surreale l’immagine di qualcuno che sfoglia un giornale appena acquistato.
La progressiva triste sparizione delle edicole è un dato di fatto: in molte località (turistiche e non) le edicole sono ormai del tutto assenti, in alcuni paesi non ne esiste nessuna; le poche edicole rimaste resistono eroicamente cercando di allargare le loro competenze alle nuove richieste della clientela, che esprimono le altissime istanze culturali della nostra epoca (ricariche telefoniche, gratta e vinci, gadget da quattro soldi da regalare, ecc.).
Se può consolarci, il fenomeno è ormai europeo: a Strasburgo e ad Heidelberg nel centro non ho visto nessuna edicola, né se ne trova alcuna al piccolo aeroporto Entzheim di Strasburgo.
La scomparsa progressiva di tutto ciò che è cartaceo (di cui ho parlato nelle mie recenti “note di viaggio”), l’abitudine a fare abbonamenti online per leggere le notizie o il gossip (ahimè) nel triste schermo dello smartphone o del pc, l’idiosincrasia crescente e dilagante per la lettura, sono tutti fenomeni che contribuiscono all’affossamento definitivo delle edicole.
Se questo è il presente, non resta che rifugiarsi nei ricordi.
La foto che allego, risalente all’inverno 1961, mostra un’edicola genovese che si trovava vicino casa nostra; l’edicola passò poi a un signor Alfredo che offriva anche un inappuntabile servizio a domicilio, di cui mio padre però si serviva solo in casi di necessità, dato che era invece suo piacere recarsi fisicamente all’edicola per acquistare giornalmente “Il Secolo XIX” (il quotidiano di Genova) e il “Corriere della Sera”. Non solo: all’edicola comprava “Oggi”, “La Domenica del Corriere”, “L’espresso”, i fumetti per me (“Topolino”, “Tex”, “Il Corriere dei Piccoli”, “Blek Macigno”, “Nembo Kid”, “I Classici dell’Audacia”), riviste varie, “La settimana enigmistica”, supplementi (ad es. la splendida enciclopedia a fascicoli “Conoscere”, per ragazzi), libri, ecc.
A Bagheria, invece, dove fin da bambino andavo in vacanza tutte le estati, esisteva un caratteristico personaggio che negli anni ’60 ogni pomeriggio attraversava il corso Umberto: era uno strillone, di età indefinibile ma probabilmente neanche quarantenne, che deambulava molto male per la poliomielite e a gran voce invitava a comprare il giornale del pomeriggio, “L’ora”.
Questo strillone aveva un’astutissima strategia: anzitutto gridava “L’ora il giornal!”, poi aggiungeva (come in un moderno TG) i titoli principali, in un “grammelot” confusissimo e pressoché incomprensibile, inframmezzato da qualche parola più chiara; infine aggiungeva l’immancabile finale “a Baarìa” (cioè “a Bagheria”). Il riferimento nazionalista al proprio paese scattava come ineludibile invito, per i passanti, ad acquistare il giornale (“’nsa chi successi a Baarìa”, “chissà che è successo a Bagheria”). Il venditore, soddisfatto, vendeva le copie e (mentre gli acquirenti iniziavano a sfogliarle cercando invano i riferimenti al proprio paese) riprendeva a caracollare urlando ringalluzzito: “L’ora il giornal!”.
Se fosse esistito ora, quel furbo strillone avrebbe invano “abbanniato” il suo giornale ricco di fatti mai successi; alla gente di oggi non sarebbe potuto importare di meno, abituata com’è alle fake news che sono il suo pane quotidiano.