Quando ero piccolo, a Genova, per i Morti ci arrivava una cassetta inviata dalla Sicilia dai parenti lontani. Ricordo che io l’aspettavo con ansia e, quando mio padre metteva sul tavolo della cucina lo scatolone appena arrivato e ne tirava fuori il prezioso canestro che aveva percorso 1500 chilometri risalendo lo Stivale, io guardavo con meraviglia il ben di Dio che ne veniva fuori, estratto gradualmente come i conigli dal cilindro di un prestigiatore: i mustaccioli, i tetù (“uno io e l’altro tu”), i biscotti regina, i frutti di martorana, i buccellati, i biscotti di pasta di miele e in particolare la “suss’i miele” di Bagheria.
Quest’ultima (nome intero “sussa di miele”) è un lungo e croccante rettangolo coloratissimo (in genere a tre colori), lungo fino a 20 cm, formato da farina, mandorle tostate, zucchero, miele, uova e cannella e ricoperto di glassa colorata.
Una tradizione “baariota” assegna l’invenzione di questo dolce ai maestri pasticcieri dello storico bar Aurora di corso Umberto: Domenico Cuffaro e soprattutto il signor D’Amico.
Forse però il dolce deve avere origini più antiche e meno esclusivamente locali; basti pensare che il dizionario di Vincenzo Mortillaro lo conosce, lo chiama “sussamèla” e lo definisce così: “pastume composto di farina, zucchero, mandorle tritate ed aromi, cotto in tegghia [sic!] nel forno e divenuto tosto col raffreddarsi”. Molto simile è la definizione di “sussamela” nel vocabolario del Traina.
Ma che vuol dire il termine “sussa”? Forse deriva dall’abitudine di farlo sciogliere in bocca? Mistero. Nessuna parola simile nel vocabolario siciliano; nessuna notizia in rete (anche perché la rete è un immenso copia-incolla in cui tutti scopiazzano dagli altri senza porsi mai il problema dell’attendibilità e della completezza delle notizie che stanno – spesso malamente – fotocopiando).
Il termine “sussa” esiste nella lingua sarda, ove a quanto pare ha il duplice significato di “un grande gruppo di persone e oggetti” (es. “una sussa di gente”) o di “atto di colpire qualcuno” (es. “ha rispostu male ei sa mama l’ha dadu una bella sussa”, “ha risposto male e la mamma gli ha dato una bella dose di legnate”»). Ammessa (e per niente concessa) una parentela con questo termine sardo, che c’entrerebbe col dolce baarioto? Nel primo caso, potrebbe indicare i vari componenti della ricetta; nel secondo alluderebbe all’aspetto di bastoncino del delizioso dolce. Ma credo abbia ragione Mimmo Sciortino (da me consultato anche questa volta) quando presume “che il vocabolo ‘sussa’ sia di origine araba; gli Arabi erano maestri nel fare dolci con mandorle”.
Nell’attesa che qualche glottologo di professione ci aiuti a risolvere il dilemma, non resta che assaporare – senza ulteriori tormenti filologici – la “suss’i miele” bagherese, lodandone ancora una volta il sapore delizioso.
P.S. 1: Tornando al flash-back iniziale, ricordo che fra i dolci che tanti anni fa i parenti ci inviavano da Bagheria c’era anche, immancabile, il pupo di zucchero antropomorfo, a forma di “pupo” siciliano, di cavaliere, di damina, di contadinella, ecc. Ricordo però che, altrettanto immancabilmente, il “pupo”, con mia grande delusione, arrivava frantumato in mille pezzi e solo con chirurgica pazienza mio padre provava a “rimontarlo” per farmelo vedere; evidentemente gli sballottamenti ferroviari erano risultati micidiali, peggio di una battaglia di Roncisvalle, per quel “pupo” che era partito dalla Sicilia così battagliero…
P.S. 2: Alcuni anni fa il 1° novembre ero a Milano. Entrato in una pasticceria non lontana dal Duomo, vidi il bancone desolatamente sguarnito: c’erano solo anonime pastarelle rituali, qualche torta e… “il pan dei morti”, cioè dolcetti tradizionali lombardi dalla caratteristica forma ovale, ricchi di frutta secca, spezie e cacao. Buonissimi, a dire il vero: ma in quel momento pensavo alla barocca, pantagruelica, smisurata quantità di dolci che invade le pasticcerie siciliane in questi giorni e mi è scappato un irriverente sorrisetto di garbato compatimento…