L’8 novembre di ogni anno, per me, è inevitabile il ricordo di mio cugino Pietro Maggiore, poeta dialettale e grande bagherese.
Pietro, nato per l’appunto l’8 novembre del 1930, frequentò il liceo classico di Bagheria, cominciando precocemente a verseggiare; iniziò imitando i grandi poeti nella forma del sonetto. Poi si iscrisse in Legge, ma non ebbe fretta di laurearsi. E anche quando, dopo molti anni “fuori corso”, conseguì il “pezzo di carta”, non se ne vantò né volle mai essere chiamato “dottore” o (come pure lo chiamavano) “avvocato”; preferiva occuparsi della campagna, come suo padre.
Del resto, sulla sua identità reale (poeta? avvocato? agricoltore?) si interrogava anche lui:
«Mi sèntinu “u poeta“»“; / ma poeta non ci sugnu, / anchi si fazzu versi / e parru ‘n puisia. / Mi chiamanu avvocatu; / ma ‘un sacciu com’è fattu un tribunali, / però haiu ‘na làuria in dirittu / ‘ncristallata. / Siminu, zappu, putu, netu e spagghiu, / ma nuddu, dicu nuddu, / mi cridi campagnolu…»
(“Mi definiscono poeta; / ma poeta non lo sono, / anche si faccio versi / e parlo in poesia. / Mi chiamano avvocato; / ma non so com’è fatto un tribunale, / però ho una laurea in giurisprudenza / incorniciata. / Semino, zappo, poto, pulisco e tolgo la paglia, / ma nessuno, dico nessuno, / mi crede campagnolo”; da “Cu sugnu”, poesia inedita).
La sua cultura specifica riguardava la Sicilia, di cui conosceva ogni angolo, ogni paese, ogni contrada, ogni sfumatura dialettale, ogni frammento storico ed antropologico. Aveva letto, ovviamente, molti libri che parlavano della storia e della cultura della sua isola, ma – soprattutto – l’aveva girata palmo a palmo, tutta. E quando andava nei più “arroccati” paesi siciliani, sapeva muoversi con un suo “navigatore satellitare” mentale, indicando chiese, strade, monumenti, meglio di una guida del Touring.
Conosceva il dialetto siciliano nelle sue sfumature più segrete, arcaiche; non solo il “baarioto” stretto, ma tutte le varianti che un termine assume nell’intera isola, compresi termini ormai arcaici, obsoleti, quasi filologicamente riscoperti. E parlava il suo dialetto, fiero di un bilinguismo che per lui era sacrosanto, in nome della memoria storica della sua terra.
Nei suoi versi ci si imbatte dunque, a ogni passo, in termini ostici, che spesso richiedono una spiegazione o una nota (che lui forniva prontamente con puntigliosa e logorroica precisione). Ecco dunque, per fare qualche esempio: l’alba che “sbracchiannu s’arricampa” (cioè che “arriva sbadigliando”), le onde del mare che si inseguono “comu putri chi vannu ‘a campìa” (“come puledri che vanno al pascolo”), la canicola “quagghiata” (stagnante) che “acchianca l’aria” (“inchioda l’aria”), l’emigrante che vaga “tampasiànnu a la stranìa” (“girovagando in terra straniera”), la poesia “cumpanaggiu d’a vita” (“companatico della vita), il nipotino “cacanìdu d’a famigghia” (“il più piccolo della famiglia”), il sudore del lavoratore che “sbùmmica ‘nt’a carni appiccicusu” (“che esala dalla pelle appiccicoso”), la gente terrorizzata dalla violenza mafiosa che la induce a strisciare come “trasèntuli di fàngura” (“lombrichi nella melma”); e via dicendo…
Sarebbero innumerevoli gli episodi che potrei raccontare per ricordare Pietro; oggi mi limito a ricordare il suo sodalizio con il maggior poeta bagherese, Ignazio Buttitta, che Pietro chiamava affettuosamente “zù Gnaziu”.
La loro amicizia era nata verso la fine degli anni Settanta: Buttitta apprezzava molto le qualità poetiche di Pietro, aveva per lui stima ed affetto, pur essendo consapevole delle differenze che li distinguevano: era più anziano di Pietro, non aveva “succhiato il latte della cultura”, aveva partecipato in modo tumultuoso e polemico alle vicende politiche. Ma in Pietro riscontrava le caratteristiche di un vero “poeta”, come ricorda in “Io e Petru”, la lirica che apre l’unica raccolta pubblicata da Pietro, “Azzurru” (1986) e che costituisce anche un interessante bilancio dell’attività poetica dello stesso Buttitta:
«Petru stamatina è ccà / nna me’ casa / a liggìrimi i puisii / c’havi a pubblicari. / Io, ca sugnu unu di chiddi / chi non manciò e sucò / u latti d’a cultura, / capisciu e non capisciu, / cadu e mi susu, / moru e arrivisciu, / acchianu ‘n celu / e mi sdirrubbu ‘n terra. /[…] / Comu putissi aviri / ‘na vuci ‘n capitulu / si mi ‘nfilu i manu nne’ sacchetti / pi circari l’oru d’a cultura / e i nesciu vacanti? / […] / Petru u sapi / zoccu penzu io d’i pueti, / arsira m’u ‘ntisi ripètiri, / mentri mi ‘ntervistava ‘na giornalista, / e mi ‘ntisi diri ca i pueti / chi restanu nno’ tempu sunnu picca, / unu ogni seculu; / e agghiuncivu, / parrannu di mia comu poeta, / ca – forsi – nun ci sarrà nuddu criticu / fra cinquant’anni / chi scrivirrà d’a me’ puisia / e d’u me’ missaggiu d’amuri e di giustizia. / E di iddu? / Cu Petru amu fattu ‘na trintina di rèciti / e, tutti i voti, / ha ricivutu applausi d’a genti. / Chistu è significativu e dici troppu; / ma l’avviniri è un libbru chiusu / e a puisia, comu tutti i cosi, havi limmiti e mura d’azzaru. / Mi resta d’augurari o’ libru di Petru / a furtuna d’i poviri / ca tràsinu ‘n Paraddisu. / La Puisia è paraddisu ‘n terra / e Petru l’havi chistu paraddisu» (Ignazio Buttitta, Aspra, 14 novembre 1984).
Traduzione: «Pietro stamattina è qua / nella mia casa / a leggermi le poesie / che deve pubblicare. / Io, che sono uno di quelli / che non mangiò e succhiò / il latte della cultura, / capisco e non capisco, / cado e mi alzo, / muoio e rinasco, / salgo in cielo / e precipito in terra. / […] Come potrei avere una voce in capitolo / se infilo le mie mani nelle tasche / per cercare l’oro della cultura / e le tiro fuori vuote? / […] Pietro lo sa / che cosa penso io dei poeti, / ieri sera me l’ha sentito ripetere, / mentre ero intervistato da una giornalista, / e m’ha sentito dire che i poeti / che restano nel tempo sono pochi, / uno ogni secolo; / ed ho aggiunto, / parlando di me come poeta, / che – forse – non ci sarà nessun critico / fra cinquant’anni / che scriverà della mia poesia / e del mio messaggio d’amore e di giustizia. / E lui? / Con Pietro abbiamo fatto / una trentina di recite / e, ogni volta, / ha riscosso applausi dalla gente. / Questo è significativo e dice troppo; / ma l’avvenire è un libro chiuso / e la poesia, come tutte le cose, / ha limiti e mura d’acciaio. / Mi resta d’augurare al libro di Pietro / la fortuna dei poveri / cui si apre il Paradiso. / La Poesia è paradiso in terra / e Pietro lo ha questo paradiso» (da P. Maggiore, “Azzurru”, pp. 11-15).
Ignazio Buttitta in quel periodo andava in giro per le piazze a recitare i suoi versi, novello rapsodo che riportava la poesia in mezzo alla gente, dopo troppi anni in cui essa era divenuta retaggio elitario di pochi intimi. Spesso volle che Pietro venisse con lui: allora girarono insieme la Sicilia, la Calabria, la Puglia, la Campania, perfino la Lombardia. Le piazze si riempivano di gente, che andava ad ascoltare ed applaudire i loro versi, composti in dialetto siciliano, ma comprensibili ai cuori e alle menti di tutti. Con Buttitta, Pietro collaborò anche alla stesura di un atto unico, “I satiri alla caccia”.
Come si vede dalle foto che qui ho inserito, Pietro ebbe dunque la fortuna di conoscere e frequentare personalità molto illustri della nostra Sicilia. E se, forse, il suo nome è meno noto in campo nazionale, ciò dipende solo dalla sua (eccessiva) modestia, dal suo costante “understatement” ironico, dalla sua ritrosia a ogni forma di ostentazione e (diciamolo pure) dalla sua lontananza da ogni tipo di compromesso opportunistico.
Sicuramente però oggi, che avrebbe compiuto 93 anni, dalla sua nuvoletta si compiacerà ancora di questi ricordi e, soprattutto, continuerà a guardare con l’affetto di sempre sua moglie Giovanna, i suoi figli Maria e Pierantonio, la nipotina Selene, il genero Sergio e tutti quelli che gli hanno voluto bene e non possono dimenticarlo.
Sempre particolarmente attento nell descrizione, in questo caso, dell vita artistica del nostro carissimo Pietro e ” ru zu Gnaziu ” Buttitta.
Ricordo che ogni tanto incontravo Pietro o dal fruttivendolo o dal meccanico e non c’era una sola volta che aveva due versi pronti da recitarmi. A parte in questo giorno del suo compleanno, lo ricordo sempre con affetto.
Complimenti Mario.