Genova, Liceo classico “Andrea D’Oria”, anno scolastico 1967/68.
Foto di classe della IV H ginnasiale, scattata nel cortile dell’istituto.
Le ragazze sono bardate da castigatissimi (ma non troppo…) grembiuli neri, mentre noi ragazzi (come spesso avviene a questa età) sembriamo decisamente più gnoccoloni.
Io sono nella prima fila in piedi, al centro, con la cravatta, dietro la professoressa Dea Bertelloni, docente di Lettere.
A quei tempi l’insegnante di Lettere al ginnasio aveva 18 ore settimanali: 5 di Italiano, 5 di Latino, 4 di Greco, 2 di Storia e 2 di Geografia (queste ultime non ancora mostruosamente ibridate come ora). Se capitava un/una docente intollerabile, erano guai: diciotto ore settimanali con un persecutore seriale potevano essere assai penose. Se invece, come nel nostro caso, si aveva una professoressa così brava e umanamente splendida, le giornate a scuola risultavano sopportabilissime e spesso gradevoli. Con quella sua presenza massiccia in classe, l’insegnante di Lettere, in certi casi, vedeva e conosceva i ragazzi più di alcuni dei loro genitori; e, se era sensibile e capace, poteva incidere positivamente sulla loro formazione.
Anche a me capitò in seguito di essere il docente “prevalente” di Lettere in alcune classi ginnasiali, a Palermo, prima al Liceo “Meli” e poi al Liceo “Umberto I”; e posso dire che questa esperienza “full immersion” fu sicuramente positiva per me e (spero) non troppo deleteria per le mie alunne e i miei alunni di allora.
Tornando alla vecchia foto, il primo ragazzino in piedi sulla destra è Paolo Romei, che fu mio compagno di banco dalla I elementare all’ultimo anno del liceo. Ci conosciamo da 64 anni e siamo ancora amicissimi, nonostante i 1500 km di distanza che ci separano (lui vive ancora a Genova); ci sentiamo quasi settimanalmente, anche per condividere le gioie e i dolori che ci dà il nostro Genoa.
Fra le ragazze, su Facebook è mia “amica” Silvana Pallatroni, che nella foto è la seconda ragazza seduta da destra; oggi è sposata con Roberto Jamone, che qui è in alto in piedi (il secondo da sinistra).
Noi fummo una classe fortunata anche perché, quando arrivammo in V ginnasiale nel successivo anno scolastico 1968/69, il terremoto legislativo del 1968 provocò l’abolizione dell’esame intermedio che in passato si sosteneva alla fine del biennio ginnasiale; tutti quanti, dunque, fummo traghettati in modo indolore al triennio liceale.
Ovviamente ricordo bene nomi e cognomi degli altri compagni e compagne, di cui ormai ho perso le tracce; spero che stiano tutti bene e che abbiano vissuto un’esistenza serena.
Mi sembra quasi inutile rilevare come foto come questa rappresentino in modo evidente la differenza (stavo per dire “l’abisso”) che divide quell’antica generazione dall’attuale: gli sguardi, gli atteggiamenti, il modo di vestire, persino il modo di sorridere, risultano profondamente differenti da quelli di oggi.
Del resto nessuno di noi aveva in tasca quel metallico prolungamento del corpo e della mente umana che oggi è ineludibile e ineliminabile, vale a dire lo smartphone (se non l’iPhone).
Eppure eravamo adolescenti anche noi, con i nostri problemi e i nostri immancabili momenti di difficoltà, con le nostre delusioni e le nostre gioie; però non ricordo nessun esempio, in quei due anni, delle ansie e del panico che oggi costellano gli animi delle/degli adolescenti di oggi: non andavamo a scuola come se andassimo al patibolo, ma sopportavamo senza traumi le faticose ore di lezione.
Se si riuscisse a ritrovare, nel tormentatissimo mondo di oggi, un po’ di quella educazione, di quella mentalità, di quella disponibilità al dialogo e alla convivenza reciproca, forse si vivrebbe meglio.
O forse erra dal vero,
mirando all’altrui sorte, il mio pensiero:
forse in qual forma, in quale
stato che sia, dentro le flipped classes,
è funesta agli alunni oggi la scuola.
Tra la prima e la seconda foto sono evidenti i cambiamenti avvenuti nella scuola e nella società nel ’68: solo Mario ha la cravatta, le ragazze nn hanno più il grembiule nero ma indossano minigonne, sempre allora ci fu permesso di indossare i pantaloni, prima vietati.