Il procuratore capo di Treviso Marco Martani, in riferimento al femminicidio di Vanessa Ballan, la ventiseienne uccisa martedì scorso nella sua abitazione di Spineda di Riese Pio X, in provincia di Treviso, ha ammesso che “il pericolo è stato sottovalutato”. Ad essere (fin troppo evidentemente) pericoloso era Bujar Fandaj, il quarantunenne kosovaro in stato di fermo per l’omicidio di Vanessa, che era incinta quando è stata uccisa e lascia un figlio di 4 anni e il compagno Nicola Scapinello.
Il procuratore Martani ha dichiarato testualmente: «Dopo la denuncia della 26enne per stalking contro il 41enne Fandaj Bujar, la valutazione fatta era di non urgenza, cosa purtroppo che si è rivelata infondata. A posteriori, sì, c’è stata una sottovalutazione. Cercheremo di capire cosa non ha funzionato».
Non è questo il primo caso, in questo Paese, di “sottovalutazione” di un pericolo.
Si potrebbero fare molti esempi.
Basti pensare, anzitutto, a quelle persone che, portate d’urgenza in ospedale per un malore, sono state frettolosamente dimesse perché il loro stato di salute non appariva grave; ma, tornate a casa, sono peggiorate rapidamente e sono morte. È accaduto, ad es., il 17 novembre scorso a una donna di 60 anni dimessa dall’ospedale Barone Lombardo di Canicattì, nell’Agrigentino, dove si era presentata accusando forti dolori alla schiena, dimessa con un blando antidolorifico e poi deceduta nella sua abitazione).
Oppure si potrebbe pensare, nell’ambito scolastico, ai casi di disagio “sottovalutati”, con riferimento soprattutto ai casi di bullismo, con episodi di violenza sulle vittime o di “ribellione” violenta di queste ultime. Un episodio del genere è accaduto ad es. il 18 ottobre scorso a Vicenza, allorché un ragazzo di diciassette anni, stanco di essere vittima di continui episodi di scherno e di violenza da parte di un compagno, lo ha accoltellato.
Non mancherebbero altri esempi del genere in altri settori della società cosiddetta “civile” (penso ad es. a certi “allerta meteo” lanciati a vanvera o – peggio – non lanciati nei momenti critici).
La verità è che viviamo in un’epoca che “sottovaluta” anzitutto perché non sa “valutare”.
La pigrizia mentale indotta da un’educazione banalizzata e carente, l’indifferenza crescente verso i problemi degli altri (parallela al dominante narcisismo), la superficialità sul lavoro (non amato, ma tollerato solo perché consente di guadagnare qualcosa per vivere), l’incompetenza evidente (causata da formazioni professionali fatte all’acqua di rose o basate su raccomandazioni e “segnalazioni”) sono tutte possibili cause di questa situazione di degrado nel rapporto fra chi dovrebbe “valutare” i rischi e chi invece quei rischi li sta vivendo sulla sua pelle.
Dovremmo smetterla di “avere fretta” nel valutare gli altri.
Dovremmo accrescere le nostre cautele, diffidare delle soluzioni più facili, perdere (insomma) quei cinque minuti in più che permetterebbero, a volte, di salvare una vita.
Mille volte meglio “sopravvalutare” un pericolo che “sottovalutarlo” e piangerne poi le conseguenze.
Non dovremmo però rassegnarci a vivere in questo mondo che “sottovaluta”: presa consapevolezza che il problema esiste e che oggi non mancano di certo gli “strumenti” per valutare oggettivamente i rischi e per riconoscerne la pericolosità, chiunque ha delle responsabilità (magistrato, medico, insegnante, architetto, meteorologo, uomo politico, manager, ecc.) dovrebbe sentire il dovere di non “sottovalutare” mai più le persone che gli si affidano o gli sono affidate.
Non si eliminerebbero, certo, tutti i problemi; ma almeno si eviterebbero le lacrime, quelle vere e strazianti delle vittime e quelle di coccodrillo di chi, troppo tardi, ammette: “sì, c’è stata una sottovalutazione”.
Purtroppo è vero quanto hai scritto troppo spesso la cronaca non ci risparmia e siccome tutto finisce col divenire normale ci si assuefa come ai farmaci o meglio agli antibiotici che non hanno più alcun effetto.