Pochi giorni fa avevo segnalato la situazione indecorosa delle strade di Palermo, che sistematicamente vengono lasciate dall’amministrazione comunale in condizioni di sporcizia e di abbandono.
Stamattina, scendendo a comprare il giornale, a piazza Amendola ho visto due spazzini: uno, con fare annoiato e stanco (come se stesse lavorando ininterrottamente da ore), spazzava in modo indolente il tappeto di foglie, cartacce e “munnizza” varia accumulatosi da giorni per terra; il suo collega, invece, stazionava nel contiguo giardinetto, seduto (anzi, stravaccato) su una panchina, con la ramazza abbandonata per terra e fumando in modo indolente una sigaretta.
Questa volta, per ragioni ben comprensibili, non posso allegare le foto di quanto ho visto; ma in realtà poco cambierebbe, perché l’atteggiamento dei due “lavoratori” è, probabilmente, simile a quello di tanti loro colleghi, ugualmente liberi di fare assolutamente quello che vogliono, senza controlli, senza nessuno che valuti la loro “fatica” (?), senza soprattutto che nessuno si curi dell’esito della loro “attività”.
Del resto, se in questa città senza regole ci fosse qualcuno che volesse ripristinarle, sarebbe preso come minimo per pazzo e – anziché essere apprezzato – rischierebbe di essere odiato da tutti. Questo, infatti, è il paese di Bengodi, dove ognuno può fare tutto quello che vuole, quando e dove vuole, impunemente.
Lo conferma una notizia che leggo oggi sul “Giornale di Sicilia”: da diversi giorni, al reparto di Chirurgia plastica del Policlinico di Palermo, medici, infermieri e altri pazienti sono letteralmente ostaggio e vittima di un ricoverato violento.
Trascrivo la notizia: «Un paziente di 32 anni, ricoverato nel reparto di Chirurgia plastica del Policlinico di Palermo, ha aggredito e picchiato un medico di turno, provocandogli una ferita guaribile in 15 giorni. Il paziente, ricoverato dopo un incidente stradale, ha più volte aggredito i medici, non solo verbalmente, ma anche la moglie, e per tre volte sono stati chiamati gli agenti della polizia. Dimesso dopo un primo ricovero, ieri, il paziente si è ripresentato in ospedale. “Abbiamo chiamato la polizia ogni volta che c’è stata un’aggressione – dice Adriana Cordova, la direttrice dell’unità complessa di Chirurgia Plastica del Policlinico – Ma i poliziotti sono arrivati, hanno scritto la relazione sui vari episodi e non hanno preso alcun provvedimento. Questo giovane mi ha minacciato in modo pesante. Nel corso dei controlli è stato trovato e sequestrato un tirapugni”. Tra l’altro il paziente oltre ad essere rissoso e difficile da gestire non ha alcun deficit mentale, come hanno messo nero su bianco gli psichiatri dell’ospedale Policlinico che l’hanno visitato. Non ha problemi mentali, è solo un violento. “Non può essere dimesso perché deve subire altri due interventi – aggiunge la dottoressa – avevamo provato con un’assistenza domiciliare ma il giovane non è rimasto in casa, è andato in giro per Palermo e poi la sera si è presentato al pronto soccorso di Villa Sofia e poi è tornato al Policlinico. Ha aggredito in questi giorni un caposala e un medico. Non è possibile che si debba aspettare qualcosa di più grave per bloccarlo anche perché già le aggressioni di questi giorni sono state davvero fatti inqualificabili. Siamo vittime di questo paziente violento. L’azienda sanitaria ha fatto tutto quello che si poteva fare e ci è stata vicina, ma dal punto di vista sanitario si può fare ben poco”».
Ecco: la conclusione di tutto, qui, è sempre “si può fare ben poco”.
Il mondo, qui (e purtroppo, temo, non solo qui) è ormai capovolto: vince, ha ragione e prevale chi è furbo, indolente, violento. Chi è onesto, laborioso e attivo è un’offesa per tutti gli altri e stona con un contesto generale che gli dà sempre e irrimediabilmente torto.
A quanto pare, ci si deve adattare e rassegnare a questa situazione; tanto, si può fare ben poco. E questa conclusione è degna dell’immobilismo e del fatalismo millenario di questa isola.
Dunque, ormai, non vale nemmeno la pena di indignarsi; meglio farsene una ragione e chiudere gli occhi: non a caso, qui, “Cu è surdu, orbu e taci, campa cent’anni in paci”.