“Fìcimu” e “fìciru”: la politica alla prima e alla terza persona plurale

Nell’edizione palermitana di “Repubblica” si leggeva ieri, 12 giugno 2024, un’intervista a Filippo Tripoli, il sindaco di Bagheria appena rieletto con l’appoggio di sette liste civiche e il 72% delle preferenze.

Il sindaco si dichiara renziano, ma ha alle spalle un passato nell’UDC e un transito momentaneo nella Lega; dentro la sua coalizione, come si legge nell’articolo, “c’è di tutto: dal PD ad Azione con Maria Saeli” (non viene ricordato l’appoggio dello scatenato Cateno De Luca con il suo “Sud chiama Nord” e non viene detto che il PD ha corso senza il suo simbolo); inoltre “negli ambienti politici raccontano che sulla sua vittoria c’è lo zampino di Totò Cuffaro”. In effetti Tripoli ammette il “rapporto molto stretto” con Cuffaro, ma afferma che attualmente si trova su un fronte diverso, giacché l’ex presidente della regione avrebbe preferito un candidato di centrodestra e non la coalizione “bipartisan” del sindaco uscente e rientrante.

La parte più interessante dell’intervista viene dopo; alla domanda “Cosa vi ha premiato?”, Tripoli risponde: «Abbiamo realizzato 1.700 loculi al cimitero comunale, più l’ampliamento del cimitero che non si faceva dal 1989. Siamo intervenuti sui rifiuti: i 5Stelle avevano avviato la differenziata con una società, Amb: ho azzerato il management. La differenziata è passata dal 32 al 67%. Abbiamo trasferito il servizio idrico ad Amap: prima si gestiva in house creando un buco economico e disagi. Abbiamo realizzato due parchi giochi per bambini».

In tutta questa dichiarazione ho notato l’uso costante della prima persona (quasi sempre plurale), che mi ha ricordato un ex sindaco di Bagheria dei primi anni ’80. Era suo costume infatti, quando deplorava la cattiva amministrazione dominante nella cittadina, usare (in dialetto) la terza plurale: “ma chi fìciru?” (“che hanno fatto?”), “nun fìciru nenti” (“non hanno fatto niente”). Viceversa, quando qualcosa andava bene e poteva rivendicarne la realizzazione, passava alla prima plurale: “fìcimu la manutenzione delle strade”, “fìcimu il riordino delle pratiche edilizie”, “fìcimu la pulizia dei giardini”, “fìcimu ‘a segnaletica nova”, ecc.

Insomma: il mondo del “fìciru” era quello degli “altri”, che non “facevano” o, se facevano, facevano male; invece il mondo del “fìcimu” era quello dei “nostri”, sempre pronti a “fare” e a fare bene. 

A distanza di quarant’anni, mutatis mutandis, la situazione mi pare sostanzialmente invariata: in politica, e non solo a Bagheria, “abbiamo realizzato, abbiamo fatto” è la frase più ricorrente per rivendicare il successo delle proprie iniziative politiche, mentre l’uso della terza plurale è riservata alla controparte, che “non fa” o, se fa, sbaglia.

Ora, non si vuole qui dubitare della realtà oggettiva delle attività svolte: ma la memoria tenace del passato dovrebbe indurre alla cautela, perché dal trionfalismo del “fìcimu” è facile scivolare sul disfattismo del “fìciru”: insomma, se qualcuna delle cose rivendicate non dovesse riuscire perfettamente, non è improbabile che si debba utilizzare una terza plurale alternativa che possa riversare su “altri” le colpe delle cose eventualmente non riuscite.

Così va il mondo, nella prassi politica; e non si è buoni politici se non si impara subito a misconoscere, sempre, le cose buone fatte dagli avversari e a negare immancabilmente i propri errori.

Detto questo, si spera solo che l’uso massiccio delle prime plurali possa corrispondere realmente a un’amministrazione onesta, trasparente ed efficiente, tanto a Bagheria quanto in tutto il nostro Paese (e magari in tutta Europa); e in tal senso facciamo un sincero “in bocca al lupo” ai neoeletti.

P.S. 1: Mimmo Sciortino mi fa notare quanto segue: «L’uso della prima persona plurale per le cose positive fatte e della terza per le cose non fatte o fatte male mi ricorda la barzelletta dell’avvocato ed il suo cliente. L’avvocato nel suo studio, con all’altro lato della scrivania il suo cliente che dovrà difendere in tribunale, scorre il testo dell’arringa preparata: “Eee… e ccà vinciemu, e ccà vinciemu… e ccà ti fùttinu… e ccà vinciemu… e ccà ti fùttinu… e ccà ti futtinu…”; allora il cliente replica all’avvocato: “Avvocato, ma perché quannu vinciemu vinciamo assieme e quando mi fùttinu fùttinu sulu a mia?”»

P.S. 2: Quanto alla percentuale “bulgara” del sindaco rieletto, va detto che esaminare i suoi dati elettorali vuol dire studiare la storia d’Italia del dopoguerra: prima maggioranza assoluta della DC per quasi 40 anni, poi maggioranza assoluta del PSI, quindi della Rete. poi di Forza Italia, poi dei Cinque Stelle, ora la coalizione a campo larghissimo. Le considerazioni collaterali lasciamole perdere, ma secondo me ci sarebbe da riflettere sul motivo latente di tutto questo…

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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