L’arrivo dell’estate coincide per molti con le partenze per le ferie.
Al giorno d’oggi chi parte, in aereo, in treno, in nave, in pullman o in macchina, non ha più il problema di dover sollevare bagagli pesantissimi; ma quelli che noi oggi chiamiamo “trolley” (con uno pseudo-anglicismo) un tempo non esistevano: intere generazioni di viaggiatori si sono dovuti sobbarcare il peso delle loro valigie. Chi partiva si muoveva con bagagli ingombranti: e se negli aeroporti c’era almeno il conforto dei carrelli che consentivano di trasportare le valigie, per chi viaggiava in treno o in nave occorrevano muscoli solidi e sforzi spesso disumani.
E dire che non ci voleva certo un genio per inventare il “trolley”! Ma stranamente quest’invenzione richiese molto tempo per affermarsi: basti dire che il primo brevetto per una valigia con ruote era stato depositato nel marzo 1949 da un inventore francese, Maurice Partiot, che viveva negli Stati Uniti; tuttavia l’invenzione non ebbe successo, forse anche per un pregiudizio maschilista: infatti per molti uomini trascinare i bagagli su rotelle sembrava un’ammissione di debolezza, mentre le donne in genere ricorrevano ai facchini e non trasportavano da sole le loro valigie; fatto sta che lo stesso inventore lasciò decadere il suo brevetto.
Un certo Alfred Krupa, di origine polacca e vissuto in Croazia, nel 1954 riprese l’idea di aggiungere delle rotelle a una valigia, ma non riuscì a diffonderla adeguatamente.
Il progetto fu ripreso da un fabbricante di valigie del Massachusetts, Bernard Sadow, che brevettò nel 1972 una sua “rolling luggage” mettendo quattro ruote sotto una valigia tradizionale.
Ma il successo del “trolley” si deve a Robert Plath, un pilota della Northwest Airlines, che – dovendo viaggiare spesso per lavoro – brevettò una valigia con sole due ruote e una maniglia allungabile, che consentiva di trasportare il bagaglio inclinandolo di circa 45 gradi nella direzione di marcia: e fu una svolta epocale.
Con la progressiva affermazione dei trolley (che a mia memoria risale ai primi anni Novanta), le compagnie aeree dovettero cambiare la struttura dei propri aerei di linea, spendendo milioni di dollari; la United Airlines modificò 200 mezzi per adattare i vani portaoggetti ai nuovi trolley. Anche gli aeroporti dovettero cambiare le loro strutture per adattarsi al nuovo tipo di bagaglio, ad es. utilizzando dei “tapis roulant” adatti alle rotelle delle nuove valigie, mentre i produttori di “metal detector” dovettero adattarsi al nuovo standard di dimensioni.
Già che ci siamo, non sarà inutile ricordare che nel mondo anglosassone “trolley” è il “carrello” (ad es. quello che usiamo al supermercato, o la barella), mentre i termini che indicano la valigetta a rotelle sono altri (“rollaboard”, “wheeled (suit)case”, “wheeled bag”, “rollercase”, ecc.).
Io, come spesso ho avuto modo di raccontare anche qui, fin da bambino ho dovuto affrontare lunghi viaggi in treno da Genova a Palermo, in estate o durante le feste natalizie, per raggiungere i parenti che vivevano a Bagheria; dal 1954 al 1976 ho dunque preso innumerevoli volte il leggendario “Treno del Sole” (che andava da Torino a Palermo e cui ho dedicato un articolo su questo blog, https://pintacuda.it/2023/07/04/ricordo-del-treno-del-sole/).
Ovviamente, soprattutto in estate, dovevamo portarci molti bagagli in previsione di due mesi di soggiorno; a volte, dunque, spedivamo in anticipo due-tre valigie (o addirittura un baule) a destinazione: questi colli (pesantissimi) si spedivano con la ferrovia e si andavamo poi a ritirare, dopo diversi giorni, alla stazione di Bagheria, dove arrivavano dopo peripezie interminabili.
Nonostante queste spedizioni preventive, rimaneva con noi il grosso del bagaglio, che rendeva ogni nostra partenza simile a un esodo biblico: a me, quando ero ormai adolescente, toccavano due valigie di almeno 25 kg l’una (non c’erano grandi riguardi, allora, per i figli “màsculi”); altre due erano portate da mio padre, mentre cavallerescamente lasciavamo a mia madre una valigia più leggera e un borsone.
Dagli anni Sessanta nel Treno del Sole cominciarono a esserci le carrozze a cuccette: ricordo quindi le corse affannose che ogni volta ci toccava fare alla stazione di Genova Brignole (ove la sosta del Treno del Sole era di soli 3’), per trovare la nostra carrozza. Non c’era nessuna indicazione preventiva: dovevamo dunque cercare il vagone giusto, correndo letteralmente lungo il convoglio, con le pesanti valigie.
Saliti finalmente sulla vettura, si doveva attraversare lo stretto corridoio per raggiungere lo scompartimento prenotato; qui le cuccette erano già montate (sei in II classe e quattro in I) e spesso c’erano già tre persone saporitamente dormienti, salite a Torino.
Si doveva allora accendere la luce (immagino fra le tacite imprecazioni dei compagni di viaggio) e iniziare l’acrobatica collocazione dei bagagli nella parte alta dello scompartimento, con sforzi che ricordo sovrumani. Finita la sistemazione, che prendeva diversi minuti (creando – in me soprattutto – grande disagio per il disturbo che si dava agli altri viaggiatori), ci si sistemava in quei “loculi” asfittici per passarvi la notte.
Fra tutte le valigie che ci portavamo appresso, ne ricordo una in particolare, che chiamavamo “la valigia del Mago”.
Mio padre aveva un cugino che si chiamava Giovanni Sciortino; per tutti, però, questo Giovanni era “il Mago d’Italia”: con questo roboante pseudonimo, fin da giovane (era nato nel 1910) aveva esercitato il mestiere di illusionista, iniziando al Cinema Nazionale di Bagheria con brevi spettacoli che teneva negli intervalli dei film in programma; poi si era messo sempre più in grande: girava l’Italia (ebbe anche una casa a Roma) e guadagnava anche bene, sempre facendo il mago; a Palermo riceveva vicino al Giardino Inglese, all’Hotel Excelsior.
Il Mago d’Italia, non so perché e non so quando, regalò a mio padre una valigia: era color cuoio, in pelle, con due grosse cinghie: purtroppo non ne ho foto originali, ma ne ho trovato su internet una pressoché identica e ne allego l’immagine.
Quella valigia comodissima andò su e giù per l’Italia, da Genova a Bagheria, sul Treno del Sole, non so quante volte; e ogni volta che dovevamo partire, ricordo che mio padre raccomandava sempre di non dimenticare la “valigia del Mago”.
Quando ci trasferimmo a Bagheria nel 1976, lasciando la mia città natale, la vecchia valigia fu conservata in soffitta, sempre più sepolta da scartoffie e “negghie” di tutti i tipi; quando purtroppo fu ridotta a un ammasso informe e devastato dagli anni, concluse ingloriosamente la sua esistenza in un cassonetto di rifiuti.
Lo stesso destino toccò, via via, alle antiche valigie che si erano avvicendate nei nostri ventennali viaggi sul Treno del Sole: non erano di cartone e non arrivammo mai a legarle con lo spago (come avveniva invece a tanti emigranti meridionali meno fortunati di noi), ma erano ugualmente “monumentali”, in formato variabile, di colore quasi sempre squallidamente marrone, con maniglie spesso precarie e cinghie che si chiudevano a fatica quando il carico era notevole.
Decisamente sarebbe assurdo rimpiangere questi antichi bagagli, obsoleti, scomodi, poco funzionali; eppure ancora oggi, quando in aereo sistemo il mio modernissimo e comodissimo trolley nella “cappelliera”, ricordo gli sforzi immani con cui collocavo le valigione pesantissime nello scompartimento del “Treno del Sole”; e, a distanza di tanti anni, mi scappa un sorriso di nostalgia.
P.S.: Aggiungo tre foto di vecchie valigie, inviatemi da Mimmo Sciortino, che ringrazio.
Mario, come mai tante valigie?
A Bagheria c’è sempre stato il sole d’estate! Ma forse sono le cose che si portano per gli altri, i regali, un po’ di specialità genovesi…. Mia madre arrivava da noi carica di tantissime cose, ma il più era per noi ed i nipotini. E le valigie grandi e stracolme…. Ma allora c‘erano i facchini, purtroppo spariti!
Caro prof,la storia delle valige fa pensare alle difficoltà di viaggiare durante il passato e, allo stesso tempo, alle difficoltà dei nostri corregionali in cerca di una migliore qualità di vita.