Càlia e simenza

Lo “scaccio” (dal verbo “scacciari”, cioè “schiacciare”) è un tipico “street food” siciliano, composto da un mix di frutta secca, che comprende anzitutto ceci abbrustoliti (la “càlia”) e semi di zucca secchi (la “simenza”); vi possono essere inoltre mandorle, arachidi, noci, pistacchi, nocciole, ecc.

Viene preparato e consumato tutto l’anno, in tutta l’isola, soprattutto durante le feste patronali, ma anche in varie altre occasioni, come feste rionali, processioni religiose e soprattutto pasti particolarmente sostanziosi (ad es. a Natale o, a Palermo, per il “festino” di Santa Rosalia); in queste circostanze, al termine delle pantagrueliche mangiate, verso le quattro del pomeriggio viene portato a tavola un grande vassoio ricolmo di “scaccio” per intrattenere ulteriormente gli inesauribili convitati.

Come annota ironicamente un sito locale, lo “scacciu” «viene utilizzato per tenere sempre in movimento la mandibola evitando così crisi di astinenza da cibo, poiché il siculo necessita di nutrirsi ogni circa due ore» (http://www.siculopedia.it).

In particolare, la “càlia” deriva il suo nome dalla tostatura dei ceci (in siciliano “tostare” si dice “caliàri”), che vengono poi salati; la “simenza” invece consiste in semi di zucca rossa, secchi, ancora chiusi e ben salati, preparati allo stesso modo. Il mio carissimo amico Toti, palermitano doc, mi ricorda che la “simenza” viene preparata anche in versione senza sale.

In genere, la “càlia” e la “simenza” sono vendute da ambulanti chiamati “siminzari”; si possono consumare strada facendo, nell’apposito “coppo” (o “coppino”) di carta ruvida a forma di cono, in cui sono impacchettate dal venditore; un tempo, soprattutto nei giorni festivi, si consumava lo “scaccio” anche nel balcone di casa, stando a guardare il “passìo” (oggi si direbbe “la movida”) della gente. Allora lo “scaccio” si limitava a “calia e simenza”; solo in tempi più recenti vi si aggiunsero le noccioline italiane e i pistacchi.

Il chicco di cece tostato si mangia senza difficoltà, mentre la “semenza” richiede un’arte particolare: indice e pollice tengono fermo il guscio, i denti incidono lateralmente la breve sporgenza che caratterizza i semi, continuando fino a metà seme e degustando il gustoso seme verde e croccante.

Le bancarelle di “calia e simenza”, in tutta la Sicilia, sono spesso grandiose e appariscenti e lussuosamente decorate con pitture a tema cavalleresco, come quelle che decorano i carretti siciliani; ne allego tre bellissime foto, che provengono dal prezioso archivio di Mimmo Sciortino, mio parente e memoria storica di Bagheria.

Nelle stesse bancarelle si trovavano anche altri prodotti, come le castagne secche (chiamate in alcune zone dell’isola “cruzziteddi” perché simili a piccoli teschi e perché durissime da mangiare).

Ho chiesto a Mimmo Sciortino di riferirmi qualche notizia sui “siminzara” (i venditori di “càlia e simenza”) che operavano a Bagheria; lui gentilmente mi scrive così: «Sui “siminzara” baariuoti posso dirti che esistevano delle famiglie che svolgevano questa attività e che si tramandavano di padre in figlio. La più famosa famiglia di “siminzara” a Bagheria era quella degli Accomando, che avevano come soprannome “i Mecci” (che significa “stoppino”). Non so perché avessero questo soprannome, ma così erano “intesi” e quasi nessuno li chiamava con il loro cognome Accomando. Il più famoso era “Turiddu u Mecciu” la cui mamma, pure essa Accomando, era donna Tanuzza (Gaetana). Entrambi erano sempre presenti con la loro monumentale “putìa di càlia e simenza” nelle feste del Santo Patrono e di Bagheria e di tutti i paesi limitrofi (Porticello, Santa Flavia, Altavilla, Casteldaccia, Aspra, Baucina) ed anche a Palermo. Altri “caliari” bagheresi erano i Di Piazza e i Provenzano, tutti imparentati fra di loro».

Io ricordo un aneddoto che mi è stato raccontato e che riguarda la realizzazione del film “Baarìa” di Peppuccio Tornatore (2009).

Il set del film era a Tunisi, dove il regista aveva fatto ricostruire, con precisione maniacale, l’antica Bagheria. Dovendo inserire una scena relativa alla Festa del patrono S. Giuseppe, Tornatore invitò un “siminzaru” bagherese a venire con lui a Tunisi per tre giorni per montarvi la sua splendida bancarella di “càlia e simenza” (pagando ovviamente tutte le spese).

Arrivati a Tunisi, il “siminzaru” montò diligentemente la sua bancarella, impiegando diverse ore; ma quando Tornatore la vide restò contrariato, perché non voleva che fosse montata da quel lato della strada, bensì su quello opposto; con santa pazienza il brav’uomo smontò e rimontò la bancarella e finalmente il regista ne fu soddisfatto.

Nel film, poi, la meravigliosa visione della “putìa” ricca di semi, noccioline e frutta secca non dura più di cinque secondi; ma c’è da pensare che sia Tornatore sia, soprattutto, il “siminzaru”, fossero lieti dell’esperienza (tanto pagava la produzione, Medusa Film in collaborazione con Mediaset Premium…).

Anche Andrea Camilleri ha reso il dovuto omaggio alla “càlia” e alla “simenza”, facendone il passatempo preferito del commissario Montalbano nelle sue passeggiate al molo al termine delle sue proverbiali scorpacciate in trattoria. Cito dal racconto “L’uomo che andava appresso ai funerali”: «Montalbano usava, quando voleva pinsàre meglio a un problema o più semplicemente pigliare tanticchia d’aria bona, accattarsi un cartoccio di càlia e simenza, vale a dire ceci abbrustoliti e semi di zucca, e andarsene a fare una lunga passiata fino a sotto il faro che stava in cima al molo di levante. Passiata ruminante sia di bocca che di cervello» (da “Un mese con Montalbano”, Sellerio 2017, p. 339).

Lo “scacciu” viene chiamato anche “passatempo”, dato che si consuma come uno stuzzichino in cui per ogni boccone vale la regola “uno tira l’altro”; non a caso, un analogo “street food” esiste anche in Grecia e si chiama proprio “pasatempos” (πασατέμπος) con prestito dall’italiano; anche lì indica della frutta secca (ξηρός καρπός) con semi di zucca tostati.

La “càlia” è persino entrata nel lessico locale; per fare qualche esempio, “gnuranti comu a càlia” si dice di qualcuno molto limitato dal punto di vita intellettivo; “si’ un coccio ri càlia” è frase indirizzata a “picciriddi” e “picciutteddi” particolarmente discoli; infine il detto “quannu avi la carni, voli la càlia” si usa per coloro che non apprezzano ciò che hanno.

Va detto infine, per invogliare al consumo di questo delizioso “passatempo”, che anche se la frutta secca è molto “calorica” in quanto ricca di grassi, tuttavia ceci, semi di zucca, noccioline & C. sono “grassi buoni”, omega 3, utili per la prevenzione di malattie cardiache, ictus e diabete; hanno inoltre un alto valore nutrizionale.

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

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