A Palermo non è facile vivere, per nessuno; ma per i segnali stradali la vita è praticamente impossibile.
La condanna se la portano già nel loro nome e nella loro definizione: “segnale” è infatti, come recita il dizionario Treccani, una “indicazione di tipo ottico o acustico, per lo più stabilita d’intesa o convenzionale, con cui si dà una comunicazione, un avvertimento, un ordine a una o più persone”. Ora, a Palermo, le “comunicazioni” sono problematiche e disseminate di significati nascosti, gli “avvertimenti” sono fin troppo diffusi ma circoscritti a una precisa categoria, gli “ordini” sono ritenuti sempre e comunque un’imposizione inaccettabile (o accettabile solo da chi ha la forza di farli rispettare).
I segnali stradali, per di più, a Palermo devono fare i conti con gli automobilisti locali, tra i quali vige solamente la legge del più forte; qui le regole nazionali del codice stradale sono solo carta straccia, grazie anche alla sfacciata immunità di cui godono sempre i trasgressori.
Mi limiterò a tre esempi (ma se ne potrebbero fare centinaia) documentandoli con alcune foto scattate poco fa.
1) In via Messina, all’angolo di via XX Settembre, a cinque minuti dalla centralissima piazza Politeama, da diverso tempo è possibile vedere un segnale di zona rimozione divelto, capovolto e conficcato violentemente in uno spazio una volta riservato a un albero e ora trasformato in una piccola discarica costellata di erbacce e rifiuti.
Ovviamente, anche se di là passano molte persone, nessuno vede, nessuno si meraviglia, nessuno fa una piega (nemmeno gli ausiliari del traffico che battono spesso la zona a caccia di multe); è dunque normale che uno dei tanti Hulk in giro per Palermo abbia potuto scardinare il segnale, capovolgerlo e piantarlo per terra nell’indifferenza generale, senza che nessuno muova un dito per fare qualcosa.
Certo, si può ipotizzare che ad abbattere il segnale sia stato il vento (in una delle pochissime giornate di maltempo di questo anno fin troppo ricco di sole): ma il vento abbatte, non capovolge e conficca…
2) In via Salinas, poco prima dell’ingresso di villa Trabia, un fratello del precedente segnale (anche lui di zona rimozione), più fortunato del suo parente, giace disteso sul marciapiede, in dolce compagnia di cumuletti discreti di “munnizza”. I bambini che vanno a giocare nella villa o che vengono condotti a spasso dalle mamme nei passeggini possono così imparare fin da piccoli quanto vale un segnale stradale e qual è l’arredo urbano della loro città natale.
3) Questo è un caso limite, che avevo già segnalato in un post del 21 settembre 2021 (tre anni fa!), ovviamente con risultato pari a zero.
In pieno centro di Palermo, all’angolo fra via Giacomo Cusmano e via Marconi, troneggia da anni un cartello che parla di “lavori in corso” e indica (con ben tre frecce!) la direzione verso via Dante; sulla destra invece, in direzione di Piazza Lolli, il segnale indica lavori in corso e strada senza uscita.
Peccato che questi lavori siano finiti da quattro anni e che il transito verso Lolli sia tornato regolare da tempo.
Ma il segnale rimane, eterno, inamovibile, immutabile.
Del resto, chi dovrebbe preoccuparsi di “aggiornare” un segnale stradale? Già è assai che, a suo tempo, sia stato collocato. Dopo di che, ovviamente, nessun assessore alla Mobilità, Giusto o ingiusto che fosse, si è più ricordato di questo reperto archeologico; e figuriamoci se le attuali autorità cittadine, in tutt’altre faccende affaccendate, possono pensare a simili quisquilie.
L’ultimo cittadino ad attenzionare il cartello è stato un acrobata che, arrampicatosi su di esso, vi ha scarabocchiato una sua sigla illeggibile. Per il resto, la sua pervicace esistenza non interessa a nessuno.
Perché dovrebbe, poi? Tutto ciò che è pubblico esula totalmente, finché possibile, dall’attenzione dei palermitani.
Il cartello, come si vede dalla foto, è solidamente piantato per terra; l’unica speranza è, dunque, che lo “sradicatore” del primo segnale passi anche da via Marconi e provveda con la sua forza erculea a sradicare il fossile di segnale, a capovolgerlo e a catafotterlo nei dintorni, magari al posto di un albero altrettanto sradicabile e immancabilmente corredato di munnizza.