Quando da bambino andavo al cinema, fra uno spettacolo e l’altro veniva proiettata immancabilmente la “Settimana Incom”; era un cinegiornale, che fu realizzato dal 15 febbraio 1946 al 1965 in 2554 numeri.
La INCOM (Industria Corti Metraggi Milano) era una casa di produzione cinematografica, che era stata fondata nel 1938 da Sandro Pallavicini; nell’immediato dopoguerra, in collaborazione con il giornalista Luigi Freddi, Pallavicini ideò questo cinegiornale per opporsi al monopolio dell’Istituto Luce (che, tra l’altro, aveva perso ogni credibilità per i suoi strettissimi legami col deposto regime fascista); ne fu poi il direttore sino al 1956.
Dapprima il cinegiornale fu finanziato dagli imprenditori italo-svizzeri Cedraschi, ma nel 1948 il 51% delle azioni fu acquisito da un finanziere piemontese, Teresio Guglielmone, che era un senatore democristiano; da qui derivò l’impostazione filogovernativa del cinegiornale, destinata ad accentuarsi negli anni successivi.
Nei primi anni il redattore unico dei testi fu Giacomo Debenedetti; tra i suoi redattori vi furono nomi insigni del giornalismo italiano del tempo (Domenico Paolella, Riccardo Paladini, Tullio Kezich, Lamberto Sechi, Antonio Secchi, Giuseppe Maria Scotese, Massimo Rendina, Luigi Barzini e Stefano Canzio).
Ogni puntata durava circa 10 minuti ciascuna ed era proiettata prima dell’inizio dei film. Nei primi anni, i servizi testimoniavano la difficile ricostruzione del Paese dopo le devastazioni della guerra, sottolineandone le iniziative più interessanti e importanti. La linea-guida generale era un senso di ottimismo e di positività, che finì però per minimizzare e/o nascondere le differenze socioeconomiche che si andavano consolidando nel Paese. Ne derivò quello che è stato bollato come “antirealismo” (in contrasto, ad es., con le scelte opposte del neorealismo cinematografico del primo dopoguerra), per il quale venivano sminuite (o presentate in chiave paternalistica) le enormi difficoltà iniziali della ricostruzione. Indubbiamente, però, il valore documentale e storico dei cinegiornali della Incom resta enorme, dato che essi ricostruiscono (sia pure con i limiti evidenziati) un periodo importante e ricco di sviluppi.
Tra i temi proposti dai cinegiornali prevalevano lo sport (calcio e ciclismo soprattutto), la moda, le curiosità spicciole, il cinema, le famiglie reali (soprattutto quella inglese), il mito americano; la politica non mancava, ma era pressoché monopolizzata dalle notizie relative ai democristiani, come De Gasperi, Gronchi, Andreotti, Fanfani, Segni e Pella.
Basterà qualche esempio:
1) la “Settimana Incom” del 02/01/1948 fu totalmente dedicata al calcio del 1947 (https://www.youtube.com/watch?v=MUVSQjWNWN0&list=PLVmnV16w7-iK4RkJG2tT20ZCzg0-vqfm4);
2) nel numero del 07/01/1948 si vede l’inaugurazione della nuova linea ferroviaria Castellamare – Sorrento (ospiti d’eccezione sul treno De Gasperi e la moglie) fra una folla festante e la benedizione del vescovo di Sorrento (https://www.youtube.com/watch?v=ZvIdcj3ekd4&list=PLVmnV16w7-iK4RkJG2tT20ZCzg0-vqfm4&index=2);
3) nel numero del 09/01/1948 si parla del fondo di solidarietà nazionale per i disoccupati, si citano i discorsi di Saragat e Fanfani, si vedono le file di disoccupati e di persone indigenti, i bambini affamati e le famiglie in difficoltà economiche (https://www.youtube.com/watch?v=L-Y1SYZdLVo&list=PLVmnV16w7-iK4RkJG2tT20ZCzg0-vqfm4&index=9);
4) nella “Settimana Incom” del 16/02/1955 si parla dell’inaugurazione della nuova metropolitana di Roma; a bordo del convoglio, nel viaggio inaugurale, il Presidente della Repubblica Einaudi e la moglie, il cardinale Micara e il ministro dei trasporti Bernardo Mattarella (https://www.youtube.com/watch?v=TQlOy9-4y70);
5) nella puntata del 09/06/1960 si vede l’inaugurazione a Roma del Villaggio Olimpico, con arrivo di varie autorità, fra cui il presidente del consiglio Fernando Tambroni (che poche settimane dopo si sarebbe tristemente segnalato per i tragici fatti di Genova) e il ministro Andreotti ( https://www.youtube.com/watch?v=2nn9i9uufWY);
6) nel numero del 26/11/1964, si vede l’inaugurazione del quarto centro siderurgico a Taranto da parte del presidente del consiglio Aldo Moro (https://www.youtube.com/watch?v=DPdlhWCj6i4).
Da notare, in tutti questi filmati, il tono roboante e retorico dello speaker che, per questo aspetto, ricorda (fin troppo) i suoi colleghi dell’Istituto Luce del ventennio.
L’avvento della televisione penalizzò sempre più il cinegiornale, che nel 1965 cessò di esistere. Dopo la cessazione delle attività, nel 1967 l’archivio ed il marchio della INCOM furono ceduti all’Istituto Luce, che alla fine degli anni Novanta realizzò l’archiviazione e la digitalizzazione di tutte le puntate, ora disponibili nel suo sito web.
Esisteva anche un settimanale cartaceo, fondato da Sandro Pallavicini, che intendeva riproporre lo stile e il target del cinegiornale, di cui riprendeva il simbolo (la silhouette del David di Michelangelo).
Il primo numero uscì il 4 dicembre 1948 con l’intestazione «La Settimana Incom – Tutto il mondo in sette giorni»; in seguito, nel 1950, il nome della rivista divenne “La Settimana Incom illustrata” (costava 80 lire, 4 centesimi attuali!).
Alla rivista collaborarono, tra gli altri, Luigi Barzini junior (1908-1984) e Indro Montanelli (1909-2001). Barzini, che aveva una sua rubrica fissa (“Almanacco dei sette giorni”), in cui parlava degli avvenimenti della settimana, assunse per breve tempo la direzione della rivista.
Dal 1946 al 1952 la società Incom ebbe sede a Roma in via Vincenzo Bellini; nel 1953 la casa produttrice si avvalse di una modernissima sede-campus, con teatri di posa e centri di produzione: il suo imponente ingresso era all’incrocio fra via Nomentana e via Ettore Romagnoli. In seguito l’edificio fu acquisito dalla RAI, che nel 2010 vi ha insediato i propri studi del “CPTV Nomentano” (Studi Dear); dal 2018, in seguito alla scomparsa di Fabrizio Frizzi, gli studi del centro di produzione TV Rai della Dear/Nomentano sono diventati, in suo onore, gli “Studi Televisivi Fabrizio Frizzi”.
Ed ora, qualche mio ricordo personale.
Nei cinematografi di fine anni ’50 e inizio anni ’60 del secolo scorso, c’era la consuetudine che si potesse entrare in sala anche a spettacolo iniziato; ricordo benissimo quanto desse fastidio l’arrivo di altri spettatori nel bel mezzo della proiezione e ricordo anche quanto mi sentissi a disagio quando capitava che anche io, con i miei, prendessi posto al buio (magari con il soccorso caritatevole di una “maschera” che faceva luce con una pila tascabile). Il bello è che, in queste circostanze, non era facile capire gran che della vicenda del film, sicché al successivo spettacolo, quando arrivava il momento in cui si era entrati, spesso si prolungava la permanenza in sala per comprendere meglio qualche dettaglio.
A fine spettacolo, poi, la Settimana Incom era una parentesi piacevole e interessante: vedere qualche goal segnato in serie A (cosa allora impossibile in qualunque altro contesto), sentire le notizie sulle imprese dei campioni di ciclismo (in quegli anni, tramontati ormai Bartali e Coppi, era l’epoca di Nencini, Baldini, Anquetil, Bahamontes, Gaul, Van Looy, ecc.), vedere attrici e attori famosi (soprattutto americani che in quel periodo venivano spesso a girare film a Cinecittà), era bello e divertente.
Ai 10 minuti della Settimana Incom, poi, se ne aggiungevano 5 di “trailers” (ma allora si chiamavano “presentazioni”) dei film di prossima programmazione, che spesso riuscivano a creare aspettativa e desiderio di tornare presto al cinema per assistere alla loro proiezione.
In quei cinema antichi, alla faccia di ogni norma sanitaria e igienica, si poteva (purtroppo) fumare, per cui non era raro che le immagini del film fossero offuscate da nuvole di fumo, mentre l’aria (priva di ogni ricircolo e di ogni climatizzazione) diventava quasi irrespirabile; in alcuni locali più “accessoriati” esisteva la possibilità, alla fine di ogni film, di aprire il soffitto-tetto in due tronconi per arieggiare per qualche minuto la sala. Del resto i cinema erano suddivisi in tre categorie (un po’ come i treni di allora): prima visione, prosecuzione di prima visione e seconda visione; diverse erano le poltrone, diversi gli schermi, diverse le comodità per gli spettatori (che nell’ultima categoria erano decisamente scarse). C’erano anche i cinema parrocchiali, spesso vicini alle rispettive chiese, con una programmazione riservata a bambini e ragazzi, ovviamente selettiva nei contenuti ma comunque meritevole nel garantire una forma di intrattenimento ai giovanissimi. I cineclub vennero dopo il 1968, ma questa è un’altra storia…
Nel complesso, andare al cinema era allora uno svago e un divertimento reale, che raramente lasciava delusi; anche se spesso i film (specialmente quelli italiani) erano ancora in bianco e nero, anche se la qualità delle immagini non era neanche lontanamente paragonabile a quelle attuali, anche se i sedili (specie in galleria) erano spesso scomodi e non si sapeva cosa fosse un posto numerato, era bello ritrovarsi con altre persone a vedere un film, entrare e uscire dalla sala guardando gli altri e osservandone e condividendone le emozioni, sgranocchiare le noccioline e le patatine vendute negli intervalli (a me i popcorn non sono piaciuti mai), tornare a casa discutendo sul film appena visto, magari rivivendone nella memoria le immagini e le musiche (che, sia detto per le giovani generazioni, non c’era alcun modo di rivedere e risentire se non tornando al cinema a rivedere il film).
Emozioni di altri tempi, ormai svanite nella memoria e nella realtà dei fatti; ma non so se oggi, assistendo comodamente seduti nel divano di casa ai film proiettati sui nostri televisori a 60 pollici in altissima qualità, si possano mai riprodurre le stesse sensazioni che dava un fumoso cinematografo di quel tempo lontano.