Sessant’anni fa, venerdì 13 novembre 1964, i programmi televisivi sul programma Nazionale (attuale Rai Uno) di mattina comprendevano esclusivamente 5 ore di “Telescuola”, dalle 9,20 alle 14,15.
“Telescuola” era un programma televisivo sperimentale della RAI, realizzato con il sostegno del Ministero della Pubblica Istruzione; mirava a consentire il completamento del ciclo di istruzione obbligatoria ai ragazzi che vivevano in località prive di scuole secondarie (il corso era quindi detto “sostitutivo”).
Le trasmissioni erano iniziate del 25 novembre 1958 su iniziativa della prof. Maria Grazia Puglisi (1911-1983), insegnante di Storia e Filosofia presso il Liceo Scientifico “Augusto Righi di Roma”, che dal 1940 era stata annunciatrice radiofonica presso l’EIAR e poi aveva lavorato presso il subentrato ente RAI. La prof. Puglisi nel 1952 ottenne una borsa Fulbright per gli U.S.A, ove poté studiare le tecniche di programmazione delle televisioni statunitensi: al suo ritorno, ideò vari programmi televisivi, da “Teleclub” alla “Tv degli agricoltori”.
La mattina del 13 novembre 1964 l’orario delle lezioni, che leggo nel n° 46 del “Radiocorriere TV” (settimana 8-14 novembre), era il seguente:
I MEDIA – ore 9,20-9,45 Italiano (prof. Giuseppe Frola); ore 10,10-10,35 e ore 11-11,25 Educazione Artistica (prof. Franco Bagni);
II MEDIA – ore 11,25-11,50 e 11,50-12,15 Italiano (prof. Lamberto Valli); ore 12,40-13,05 Matematica (prof. Liliana Artusi Chini); ore 13,30-13,55 Applicazioni Tecniche (prof. Gaetano De Gregorio); ore 13,55-14,15 Educazione Fisica femminile e maschile (prof.ssa M. Trombetta Franzini e prof. A. Mezzetti);
III MEDIA – ore 8,30-8,55 Francese (prof. Enrico Arcaini); ore 8,55-9,20 Inglese (prof. Antonio Amato); ore 9,45-10,10 Geografia (prof. Maria Bonzano Strona); ore 10,35-11 Educazione Tecnica (prof. Gaetano De Gregorio); ore 12,15-12,40 e ore 13,05-13,30 Educazione artistica (prof. Franco Bagni).
Come si vede, le lezioni si svolgevano “a incastro” fra le tre classi di scuola media, consentendo degli “stacchi” agli studenti-telespettatori fra una materia e l’altra; una lezione durava 25’.
Per curiosità, durante la settimana venivano garantite le lezioni delle altre materie: ad es. il lunedì c’erano le “Osservazioni ed elementi di scienze naturali” in I (ore 9,45-10,10, prof. Donvina Magagnoli), la Religione in II (ore 11,50-12,05 con Frate Anselmo dei Fratelli delle Scuole Cristiane) e, sempre in I, “Due parole tra noi” (ore 9,10-9,20) a cura della già ricordata coordinatrice prof. Puglisi; quello stesso giorno, in III dalle 12,05 alle 12,40, veniva trasmessa la cerimonia d’apertura dell’anno scolastico 1964-1965: il corso infatti era iniziato il 9 novembre e sarebbe poi terminato il 13 giugno 1965. Si faceva lezione, come allora era normale, anche di sabato.
Il contributo di “Telescuola” all’alfabetizzazione del Paese fu altissimo; la trasmissione inoltre presentava un’esperienza umana e didattica importante, costituendo un modello educativo innovativo. In particolare, ebbe notevole importanza il ciclo di oltre 300 trasmissioni in diretta realizzate dal pittore e teorico dell’arte Enrico Accatino, da cui prese forma la disciplina “Educazione artistica”, che fu inserita appunto nel 1964/1965 nella Riforma della Scuola Media inferiore, sostituendosi al precedente corso di “Disegno e Ornato”. Molto successo ebbero anche le lezioni di Francese del prof. Torello Borriello che univa competenza, simpatia e creatività, conquistandosi l’attenzione non solo dei ragazzi, ma anche degli adulti che lo seguivano fedelmente. Tra i conduttori di “Telescuola” c’era anche un giovanissimo Luciano Rispoli.
Fu anche per effetto del consenso popolare a “Telescuola” che nel 1960 nacque l’altra celebre trasmissione televisiva “Non è mai troppo tardi”, curata dal maestro e pedagogo Alberto Manzi (di cui lo scorso 3 novembre si è celebrato il centenario della nascita).
Gli studi di “Telescuola” si trovavano a Roma, nella palazzina Rai in via Umberto Novaro, nei pressi di via Teulada, dove oggi si trovano gli studi di LA7.
Chi fosse interessato, può trovare un’interessante sintesi dell’attività di “Telescuola” su Raiplay (https://www.raiplay.it/video/2023/08/I-ragazzi-di-Telescuola-Quando-la-scuola-era-in-diretta-sulla-Rai-239227fd-2811-4182-849d-187050c0a0b0.html); in questo video alcuni ex alunni, che frequentavano le lezioni in diretta (c’era infatti, a parte il pubblico televisivo, una vera e propria “classe” per ogni anno di scuola media), ricordano la loro esperienza, precisando come fossero “frastornati” dalla presenza dei tecnici e dei cameramen, con un microfono “a giraffa” che pendeva sulle loro teste, con l’annunciatrice Nicoletta Orsomando che li veniva a trovare spesso e con attori famosi che passavano di là (Nando Gazzolo, Renzo Palmer, Corrado Pani) e a volte recitavano dei brani per loro; un’alunna ricorda addirittura una visita di Giuseppe Ungaretti, che declamò per loro la sua poesia “I fiumi”.
C’erano dunque tre classi “regolari”, “in presenza”, con allievi (in numero abbastanza elevato, circa 20-30 per classe) e docenti “regolari”; contemporaneamente, però, si faceva il primo grande esempio di “educazione a distanza”, una sorta di “smart working” o DAD (“didattica a distanza”) anticipata agli anni ’60. Gli insegnanti, pur essendo abituati al lavoro nelle loro classi abituali, dovevano impadronirsi di tecniche didattiche diverse, dovevano passare dalla sala-trucco, si sottoponevano a “provini”. Quanto agli allievi, provenivano in genere dalle classi elementari del circondario di via Teulada e venivano selezionati in base alle loro attitudini e/o necessità, ma anche in base alla disponibilità a vivere un’esperienza decisamente insolita.
Nel suddetto video di Raiplay, una docente di Matematica chiarisce come quel tipo di insegnamento riuscisse a “bypassare” (oggi si direbbe così) i problemi disciplinari: i ragazzi presenti in studio, nei rari casi in cui avessero commesso qualche mancanza, erano “puniti” con una mancata inquadratura, mentre quelli che seguivano in Tv da casa lo facevano volontariamente e quindi ogni “trasgressione” perdeva lo scopo di esistere.
Come spiega poi il conduttore e saggista Umberto Broccoli, la televisione italiana, in quegli anni del “dopo-dopoguerra”, a cavallo fra gli anni ’50 e ’60, in un Paese ancora essenzialmente agricolo, poco alfabetizzato e con un boom economico ai suoi primi passi, grazie a “Telescuola” offriva tre servizi fondamentali: intrattenere, informare ed educare.
Per quanto riguarda il pubblico televisivo, Broccoli chiarisce che, in alcune zone d’Italia non servite dalle istituzioni scolastiche e in cui le televisioni erano ancora rare nelle case private, i ragazzi si recavano al mattino in luoghi d’ascolto individuati dalla RAI, che non si trovavano in una scuola (di cui per l’appunto dovevano fare le veci), ma in un albergo, in un cinema, in una casa comunale, in una parrocchia, in una camera del lavoro, addirittura in una stalla o comunque in una qualsiasi struttura messa a disposizione; qui gli alunni frequentavano le lezioni di “Telescuola”, alla presenza però non di un professore ma di un televisore!
Tali “posti d’ascolto” (PAT) già nel 1959-60 erano quasi duemila; di essi, 1587 (di cui 941 al Sud e nelle isole) erano organizzati dal Ministero del lavoro, mentre gli altri erano gestiti da enti, associazioni, sindacati, privati e parrocchie; per curiosità, i PAT in Sicilia erano 198, in Liguria 21, in Lombardia 126, nel Lazio 134. Nel primo anno di trasmissioni gli allievi in tutta Italia furono circa 57.000.
Silvio Marcello Citroni, sindaco di Ceva (Brescia), ove era stata organizzata una di queste postazioni, sottolinea nel video di Raiplay la profonda differenza con la realtà odierna: se allora i ragazzi erano numerosissimi (anche 40 per classe) ma mancava una scuola in paese, oggi la scuola e le strutture ci sarebbero ma il paese è invecchiato e si è spopolato (come purtroppo avviene in tutta Italia), mentre le nascite “si contano sulle dita di una mano”.
In definitiva, la Rai con “Telescuola” realizzò un’opera culturale importante, soprattutto a livello linguistico, ma anche a livello strettamente tecnico e operativo; furono pubblicati anche dei fascicoli didattici che costituivano i “libri di testo” del corso, erano riconosciuti e autorizzati dal Ministero ed erano distribuiti nelle sedi d’ascolto. La trasmissione fu diffusa anche nella Svizzera italiana e nello stato Vaticano (papa Giovanni XXIII ammise di seguire in diretta le videolezioni).
Come racconta un ex alunno di “Telescuola”, alle lezioni interveniva anche una mitica “signorina Boncompagni”, insegnante di dizione, che mirava a stroncare i difetti di pronuncia e le sciatterie lessicali degli allievi romani: «Con lei ricordo interminabili sedute in cui ci ammaestrava a pronunciare correttamente “pasta e ceci” e “dodici”, “tredici” e così via mentre il nostro istinto capitolino ci trascinava a pronunciare “pasta e cesci”, “dodisci”, “tredisci” e via così. Alla fine la signorina Boncompagni vinse la battaglia della pasta e ceci, ma lasciati senza briglie saremmo tutti tornati in seguito alla “pasta e cesci”, perché come diceva Kant non si può raddrizzare il legno storto dell’umanità. […] Di lì a qualche decennio l’analfabetismo di ritorno avrebbe fatto passi da gigante e in televisione tutti avrebbero parlato un italiano sgangherato» (Pierluigi Battista, su “Il Foglio”, 08.01.2024).
“Telescuola” costò circa 300 milioni di lire; come si legge su “La Stampa” di Torino del 3 dicembre 1961, «la televisione per ogni ragazzo che ha conseguito alla fine dei tre anni il diploma ha speso almeno un milione», ma in ogni caso i corsi «sono stati molto utili alla nazione se hanno dato modo a tanti giovani di apprendere nuove nozioni, di imparare a scrivere con correttezza e leggere con intelligenza». Alla fine di ogni anno scolastico gli alunni di “Telescuola” dovevano affrontare gli esami di idoneità per mettersi in pari con la scuola pubblica: era così garantito un percorso didattico ed educativo assolutamente completo e regolare.
“Telescuola” fu estesa pure agli istituti di pena con concreti risultati formativi, tanto da ottenere nel 1966 il premio “San Michele” per la redenzione civile; ma proprio con il 1966 le sue trasmissioni cessarono.
Io, che in quegli anni lontani la mattina andavo a scuola, vidi qualche puntata di “Telescuola” nelle (fortunatamente rare) occasioni in cui non ero potuto uscire di casa per un malanno. Ciò avvenne, ad esempio, a causa di una brutta influenza, nella settimana fra l’8 e il 13 marzo 1965, al tempo in cui andavo in I media alla “Parini” di Genova. Ebbene, in quelle mattine, mio padre prima di uscire spostava il carrello con il televisore dal soggiorno alla mia camera, poneva sopra la Tv un’antennina sussidiaria (all’epoca bastava cambiare di poco la collocazione dell’elettrodomestico e le immagini svanivano) e mi consentiva così di seguire “Telescuola”.
Potrà sembrare strano che, nei pochi giorni di assenza da scuola, quel ragazzino undicenne potesse passare delle ore a seguire le lezioni alla TV, anziché leggersi i suoi amati fumetti o ascoltare fra le lenzuola la radiolina a transistor; eppure era così: io amavo la scuola, ci andavo volentieri, sognavo già di fare l’insegnante (per me il mio lavoro non è mai stato un ripiego, ma la “vocazione” di una vita) e giocavo spesso a gestire una classe immaginaria, assegnando compiti e facendo lezioni ad alunni fantasmagorici; quindi per me seguire “Telescuola” era divertente e intrigante, perché in un certo senso “mi insegnava il mio futuro lavoro”; e mi piaceva anche seguire i corsi delle classi superiori alla mia, per imparare qualcosa in anticipo.
E poi, a rilassarmi, era anche il fatto che non c’era il rischio, almeno lì, di essere interrogati a sorpresa!