Il numero unico de “Il Garibaldi” datato dicembre 1965 era un po’ più corposo rispetto al precedente fascicolo di maggio, arrivando alle 20 pagine di testo; il prezzo di vendita era sempre di 70 lire (in quell’anno un quotidiano nazionale costava 50 lire, ma evidentemente le spese per i volenterosi giornalisti non erano mancate…).
Il direttore era ora Aldo Lauritano, subentrato a Giacomo De Leo. La redazione era composta da venticinque fra ragazze e ragazzi, di cui riporto l’elenco completo: Chiara Agnello, Filippo Amoroso, Gilda Arcuri, Angelo Barbato, Rossella Botta, Filippo Bucalo, Maurizio Cerniglia, Franca De Mauro, Enrico Ferrera, Fabio Grasso, Giuseppe Liga, Marina Martellucci, Ignazio Majolino, Corradino Mineo, Barbara Notarbartolo, Giorgio Palumbo, Pietro Palumbo, Salvatore Pensabene, Giovanni Pepi, Anna Maria Pepi, Marcello Piazza, Paolo Salemi, Franco Tomasello, Alessandra Vassallo, Enrico Wolleb.
Nell’editoriale, intitolato “La Bomba” (pag. 3), il direttore auspicava che il giornalino potesse diventare “un elemento di coesione” per gli studenti del Garibaldi, invitando tutti alla collaborazione; venivano poi annunciate novità a livello d’istituto: una ventilata gita scolastica a Malta “col consenso del Provveditorato”, un aumento dei rappresentanti degli studenti nel Comitato d’Istituto (siamo quasi dieci anni prima rispetto all’istituzione ufficiale degli organi collegiali della scuola, creati poi con decreto nº 416 del 31 maggio 1974), la costituzione di tre gruppi di cui facevano parte i rappresentanti di classe (un gruppo culturale presieduto da Giovanni Pepi, un gruppo sportivo diretto da Paolo Salemi e un gruppo “ricreativo” organizzato da Enrico Ferrera).
A p. 4 Ignazio Majolino in un articolo intitolato “Avanguardia” informava sulle nuove tendenze in campo artistico, musicale, letterario e cinematografico; lo spunto derivava da una settimana di arte contemporanea tenutasi poco prima a Palermo. Nell’articolo l’avanguardia è definita come “qualcosa di nuovo da dire, visto che i vecchi schemi si sono ormai esauriti irrimediabilmente”, ma saggiamente Majolino riteneva che la transizione fosse difficile, sia per l’impreparazione dei destinatari delle nuove forme d’arte sia per alcune tendenze estremistiche (il “voler fare dell’avanguardia per l’avanguardia”) che snaturano lo sperimentalismo in atto.
A p. 5 Mario Menozzi presentava delle interessanti considerazioni sui ragazzi “impegnati”, smascherando la falsità che si nascondeva dietro certe pose intellettualoidi: «Li senti parlare e ci resti secco: non li diresti ragazzi di sedici o diciassette anni, tanta è la competenza e l’acutezza con cui discutono di religione, di politica, di filosofia, ma li diresti piuttosto uomini fatti e sapienti, che lunga esperienza di vita e approfondite letture hanno portato a questo altissimo grado di saggezza. […] Il loro è un linguaggio da iniziati, di fronte al quale tu, piccolo e povero ignorante, ti senti piccino piccino e ti vergogni della tua volgare lingua di tutti i giorni. Pensi che la più grande fortuna sia quella di poter avere simili amici, e quindi fai di tutto per poter entrare nella loro confidenza. Ci riesci, e per un po’ di tempo ti prii tutto degli amici tochi che hai. Ma poi un giorno, cominci a notare delle cose che ti sembrano un po’ strane: ti accorgi che il tuo amico, malgrado il suo totale e ostentato amore per i poveri e i proletari, guarda come cani quei poveracci delle baracche, spettacolo che deturpa la estetica della città; o, altro caso, ti accorgi che i suoi profondi studi teologici e le sue meditazioni religiose non gli impediscono di divertirsi a sfottere, senza naturalmente dargli niente, il vecchietto che chiede l’elemosina davanti alla chiesa, dove il tuo amico aspetta la ragazza; tutte cose che tu non ti sogneresti mai di fare. Ma il colpo definitivo lo ricevi quando, mentre il tuo amico è lanciato in una profonda analisi dell’attuale situazione politica, ti accorgi che le sue frasi sono simili, sono le stesse, sono identiche, a quelle che hai lette sul giornale di quella mattina; che l’abbia imparate a memoria?». Anche se lo scrivente concludeva ritenendo preferibile «essere più veri e più modesti» e soprattutto auspicando «idee più chiare» e coerenza, l’articolo testimonia una tendenza che, di lì a pochi anni, si sarebbe accentuata, creando il paradossale iato fra lo sbandieramento teorico di posizioni progressiste e la larvata realtà di un conservatorismo duro a morire.
A p. 6 Eduardo De Stefani nel suo esilarante articolo “Sbirri e vespini” raccontava le “epiche” lotte fra le forze dell’ordine e i ragazzi in motorino; questi ultimi, pur di sfuggire ai temibili controlli (particolarmente intensi nella zona di Mondello), rielaboravano tecnologicamente i loro scooter: «Cambia oggi e cambia domani, si ebbe il più fulgido prodotto dell’ingegno italico: il vespino-cinquanta-con-i-pezzi-della-novanta-portati-a-centoventicinque-col-pistone-speciale-alleggerito»; ne derivavano soddisfazioni indimenticabili: «Chi può dimenticare l’enorme emozione di una partenza a razzo, tale da lasciare indietro anche le pantere della polizia, o la grande soddisfazione morale e materiale (per il portafogli) di “seminare gli sbirri”?». Nonostante questo, però, le multe fioccavano…
Non mancava qualche esperimento poetico: a p. 7 Angelo Barbato presentava due brevi liriche, in una delle quali (“Invito ad una ragazza amica”) si intuisce una sottile vendetta nei confronti di una fanciulla poco condiscendente: «Dormi, cara, / dormi e sogna, / e speriamo / che velenosi serpenti / o draghi cornuti / ti facciano piangere. / E se ti sveglierai / sentendo il respiro / di un mostro squamoso / allora, spero, cara, / che ti ricorderai di me / e di questi auguri». Un vero poeta… maledetto!
Nella stessa pagina Guido Giannici parlava (con osservazioni non scontate) della “Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters; a p. 8 invece un’intera pagina presentava un articolo (non firmato) sul jazz.
A p. 9 Giuseppe Liga (specializzato già nel precedente numero in dissertazioni filosofiche) in un articolo intitolato “Noi” presentava una serie di considerazioni esistenziali; c’è, è vero, un apostrofo di troppo (“qual’ è”), ma emergono ugualmente la maturità e la sensibilità dell’articolista (ad es. qui: «Quando viviamo senza volere verificare la validità degli obiettivi ai quali tendiamo, ci esponiamo evidentemente a un grave rischio: quello che la nostra meta sia falsa, che, una volta raggiuntala, essa non ci dia quella felicità che noi ci aspettavamo»).
Seguono a p. 10 un bel racconto di Giorgio Palumbo (“Per ritrovarmi più uomo”) e a p. 11 un’accurata analisi della poesia “Ed è subito sera” da parte di Filippo Bucalo.
Particolarmente interessante è poi un articolo di Aldo Lauritano a p. 11 intitolato “Non vogliamo più la versione italiano-latino”.
Forse i giovani di oggi non sanno che al liceo classico, a quei tempi, oltre alle versioni dal greco e dal latino in italiano, esisteva la prova scritta di traduzione dall’italiano al latino; questo tipo di versione era odiatissimo dagli studenti, come risulta evidente dallo sfogo appassionato del povero Lauritano: «Qual è lo scopo della versione italiano-latino? A quanto pare nessuno. Più che altro essa è una contraddizione, un non senso. qualcosa che va contro lo stesso significato di umanesimo. Se per umanesimo intendiamo quel particolare modo di accostarsi al mondo classico per ascoltare la voce ancora viva, se i nostri studi tendono davvero a farci rivivere i sentimenti di uomini vissuti molto prima di noi, se la lingua è un organismo vivente in continua evoluzione, che significato ha in questo caso tradurre in quella lingua che ormai è morta brani di un’altra lingua che nella sua strutturazione riflette una problematica ed una sensibilità completamente diversa? Una simile imposizione è ingiustificata sotto ogni profilo. I sostenitori della indispensabilità della traduzione italiano-latino difendono il loro punto di vista con un oscurantistico appello alla Dea tradizione: “Si è sempre fatto così e per forza d’inerzia continueremo così; la tradizione non si tocca”. Altri dicono che le nostre velleità riformatrici sono dettate da lavativismo. La migliore risposta a queste accuse mi sembra il fatto che noi non abbiamo nulla da ridire contro la versione latino-italiano la quale veramente è una prova di senso critico, di gusto e di sensibilità. Al contrario la traduzione italiano-latino è una mera prova di erudizione. […] Della assurdità di questa traduzione hanno preso coscienza molti di noi e anche molti professori. Ma niente accenna a cambiare». Purtroppo per Lauritano, la versione dall’italiano rimase sino agli esami di stato del 1968, quindi la dovette sopportare fino alla fine dei suoi studi liceali…
Il giornalino proseguiva a p. 12 con un “raccontino edificante ad uso dei frequentatori di Piano Battaglia”, intitolato “Sulla neve” e scritto da Angelo Barbato; forse non a caso nella stessa pagina si trova una delle inserzioni pubblicitarie del fascicolo, in cui gli “sciatori” (categoria evidentemente esistente anche nella torrida Palermo) erano invitati ad iscriversi alla “Sci C.A.I. Conca d’Oro”, con sede in via Mazzini 48.
Di alto profilo erano poi gli articoli di Maurizio Cerniglia a p. 13 (“Alla ricerca della felicità”) e Guido Giannici a p. 14 (“Un discorso idealista”). Occorreva dunque, subito dopo, qualcosa di più leggero: ed ecco che a p. 15 Ignazio Majolino presentava alcuni “Consigli dell’estetista”, tratti da “I Secreti” del reverendo Alessio Piemontese, “illustre stregone” (l’articolista colloca l’autore “intorno al 1700”, ma in realtà era vissuto nel ‘500 e i suoi “Secreti” furono pubblicati nel 1555…).
Dopo la parentesi estetica, segue a p. 16 “L’uomo e l’eroe” di Guido Giannici e Giorgio Palumbo, con un’interessante riflessione sulla celebre frase di Brecht, tratta dalla “Vita di Galileo”: “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” (frase diventata tristemente celebre nella nostra insanguinata Palermo degli anni ’90). Non meno valido era l’articolo “L’essenziale” di Pietro Palumbo a p. 17, con un invito ai suoi coetanei a riscoprire nella vita di ogni giorno le cose davvero importanti ed “essenziali”.
A p. 18 Enrico Wolleb riferiva ampiamente su un’attività teatrale che si stava organizzando nell’istituto, cioè la rappresentazione di “I cadaveri si spediscono” di Dario Fo: «Non sto a precisare la trama di questa farsa in quanto essa, con tutti i suoi imprevisti e i suoi colpi di scena è uno dei motivi più validi della sua comicità; mi sembra più indicativo invece presentare brevemente i componenti di questa compagnia in erba, che sono quasi tutti alla prima esperienza teatrale, pieni di entusiasmo e (speriamo) altrettanto pieni di talento. Cominciamo dalle attrici: la protagonista femminile è Anna Maria Pepi che benissimo si adatta con la sua spigliatezza ad un personaggio particolarmente energico ed intraprendente. Gli altri tre ruoli femminili sono di minore importanza ma di grande effetto scenico, sono impersonati da Barbara Notarbartolo, Daniela Orioli e Gilda Arcuri; il loro affiatamento sarà motivo di grande ilarità per la platea e la loro serietà professionale (!) dovrà essere d’esempio per le altre garibaldine che in futuro calcheranno le scene. Fra i protagonisti maschili quel gran gigione di Angelo Barbato impersona un agente del dazio travestito da guardia borbonica; Enrico Wolleb, l’Ezzy Sheridan della situazione, indagherà col consueto acume travestito da dama del settecento per mantenere l’incognito; Aldo Lauritano, lo “sposo”, sarà conteso lungamente dalle quattro protagoniste e, ovviamente, farà una brutta fine. Infine al dinoccolato Giorgio Palumbo è stato affidato il ruolo del becchino che benissimo si adatta al suo tono di voce ed al suo modo di fare; questa è una caratterizzazione che, se riuscita, sarà di grande effetto. La regia è curata dallo stesso Angelo Barbato che si avvale anche della collaborazione degli altri attori. Inoltre dalle parole del suggeritore Giovanni Pepi la commedia potrà avere degli sviluppi improvvisi quanto imprevedibili. Questi, in breve, i protagonisti della nostra commedia che dovrà essere giudicata con grande indulgenza; e con la speranza che tutti i garibaldini accolgano volentieri questa nostra iniziativa la compagnia li ringrazia anticipatamente per la loro partecipazione e lt invita quindi a non mancare all’appuntamento».
Le ultime due pagine del giornalino (pp. 18-19) presentano un interessante resoconto delle attività organizzate nell’istituto. Lo riporto per intero, per immortalare questa serie di iniziative che, come dice l’anonimo articolista, erano servite “per conoscerci meglio, per divenire sempre più amici”:
«Il gruppo culturale, diretto da Giovanni Pepi, che è il più numeroso, sta svolgendo un lavoro abbastanza intenso; la conferenza sui problemi razziali ha avuto il concorso di un pubblico numeroso di oltre 130 persone che vivamente si sono interessati del problema ed hanno partecipato al dibattito che ha seguito la presentazione storica e morale dell’argomento condotta con particolare calore e chiarezza d’idee da Marisa Petix e Francesca Maniscalco. Ignazio Majolino e Maurizio Cerniglia si sono improvvisati eredi di Giacomo De Leo e si stanno impegnando per la 3a edizione del concorso di fotografia, disegno e pittura. La mostra sarà allestita nella nostra “Galleria” (il divisorio del pianterreno). Alessandra Vassallo e Maurizio Cerniglia raccolgono le adesioni dei poeti “garibaldini” per la gara di composizione, e dulcis in fundo, Angelo Barbato e Giorgio Palumbo sono impegnatissimi, con un cast eccezionale di valorosi nostri attori, alla “Commedia”, una vecchia aspirazione di tutti i Garibaldini che sembra finalmente avviata alla attuazione.
L’attività ricreativa, considerate le insormontabili difficoltà per l’organizzazione di gite, si è limitata, per il momento, a dar vita ad un agguerrito torneo di ping-pong ed al torneo di scacchi. Nella villa messa a disposizione da Gioacchino Scaduto che è presto divenuta meta fissa di un folto gruppo di Garibaldini, l’organizzatore del torneo di ping-pong Bruno della II A, ha avuto un gran da fare con una cinquantina di agguerriti partecipanti, che hanno dato vita ad incontri vivacissimi, avvincenti e colmi di spirito agonistico. Il singolo maschile è stato vinto da Buffa della III H, il quale ha giocato con grande ardore ed ha fatto risaltare il suo stato psicologico oscillante tra il gaudio e l’imprecazione, pur conservando sempre un’aria fanciullesca che lo ha reso subito “personaggio” simpatico al pubblico ed agli stessi avversari. La sua vittoria è stata gradita a tutti e molto applaudita tanto da soffocare le polemiche sorte per l’aggiudicazione delle piazze d’onore fra Costanza e Caponetto i quali hanno poi vinto brillantemente il doppio. I primi incontri del gigantesco torneo di scacchi hanno messo in evidenza l’ottimo gioco di Cappellani (classificatosi terzo lo scorso anno) che tuttavia è atteso sulla breccia da Amoroso e Bonafede pronti a contrastarlo per la scalata alle prime posizioni. Le manifestazioni sportive (calcio, pallacanestro) hanno avuto un maggiore successo di pubblico per “lo spirito di classe” che hanno [sic!] portato ciascun Garibaldino a tifare per la propria squadra partecipando numerosi ed entusiasti alle competizioni. Tra i calciatori si sono posti in tutta evidenza il Piccoletto La Mendola del primo e il vecchio Colli della seconda A. Il torneo di tennis è molto atteso. Si prevedono incontri molto interessanti specialmente per quanto riguarda la rivincita tra Costanza e Wolleb; il torneo di pallacanestro ha evidenziato un buon livello tecnico raggiunto da più squadre ed in particolare la I B con i bravi Carrara, ed Allegra. La sezione di pallavolo purtroppo ha conosciuto la sconfitta perdendo con la rappresentativa del liceo Umberto. Si è infine svolta una partita di calcio tra ex Garibaldini e Garibaldini che ha visto la vittoria per 3 a 2 di quest’ultimi tra i quali è emerso Grasso per il suo gioco intelligente e vivace. Questo quanto è stato sin ora fatto e quanto è in corso di svolgimento mentre altri programmi sono in corso di elaborazione ritenendo utile questa nostra attività extra scolastica tra compagni di scuola, per conoscerci meglio, per divenire sempre più amici. Attendiamo con ansia il 18 dicembre data ormai consueta per la nostra festa: Garibaldine e Garibaldini festeggieranno [sic!] insieme ed in letizia l’inizio delle vacanze e si scambieranno gli auguri per il Natale e per il nuovo Anno».
Infine, la quarta pagina di copertina era tutta consacrata alla pubblicità del quotidiano della sera “L’Ora”.
Grazie Mario, mi sono divertita moltissimo a leggere e mi sono divertita moltissimo a quei tempi.