La vestizione di Patroclo (Iliade XVI 130-144)

All’inizio del XVI libro dell’Iliade, Patroclo ha chiesto ad Achille (che si è ritirato dalla battaglia in seguito al suo dissidio con Agamennone) di poter scendere in campo al posto suo, indossando le sue armi, per provocare la fuga dei Troiani. Achille ha acconsentito alla richiesta dell’amico, invitandolo però alla prudenza. Nel frattempo i Troiani sono riusciti ad incendiare la prima nave greca.

Patroclo si appresta dunque al combattimento e indossa le armi di Achille: prima gli schinieri, poi la corazza, quindi la spada, lo scudo, l’elmo e due lance; non riesce però a brandire la grande asta del Pelìde.

Garrett Hedlund (Patroclo) e Brad Pitt (Achille) nel film “Troy” di Wolfgang Petersen (2004)

Ecco il passo, nella traduzione di Rosa Calzecchi Onesti:

Disse così, e Patroclo s’armò di bronzo accecante.

Prima intorno alle gambe si mise gli schinieri

belli, muniti d’argentei copricaviglia;

poi intorno al petto vestì la corazza

a vivi colori, stellata, dell’Eacide piede rapido.

S’appese alle spalle la spada a borchie d’argento,

bronzea, e lo scudo grande e pesante;

sulla testa gagliarda pose l’elmo robusto,

 con coda equina; tremendo sopra ondeggiava il pennacchio.

 Prese due forti lance che s’adattavano alla sua mano;

ma non prese l’asta dell’Eacide perfetto

 grande, pesante, solida: nessuno dei Danai poteva

 brandirla, solo Achille a brandirla valeva,

faggio del Pelio, che Chirone aveva donato al suo padre,

dalla cima del Pelio, per dar morte ai guerrieri.

La vestizione delle armi costituisce una delle “scene tipiche” ricorrenti nei poemi omerici: nell’Iliade si erano già avute le vestizioni di Paride (III 330-338) e di Agamennone (XI 17-44); seguirà poi quella di Achille (XIX 369-391). Questa tipologia di scena rientra a sua volta in un modulo narrativo più ampio, quello dell’aristéia (ἀριστεία), cioè la celebrazione delle gesta di un eroe; in questo caso, prelude alle gesta di Patroclo, che caratterizzeranno gran parte del XVI libro.

Nei primi tre versi, sempre identici, gli eroi indossano le gambiere e la corazza; successivamente prendono la spada, lo scudo e l’elmo; la lancia è l’ultima arma ad essere brandita. Le armi descritte da Omero rispecchiano la “stratificazione” cronologica dei poemi, giacché sono accostate armi di epoca micenea ad altre di epoca oplitica.

In ogni caso, però, resta fondamentale il valore ideologico dell’armatura: “nel cerimoniale della guerra l’armatura è maschera rituale. Ha in sé una sacralità che può conoscere contaminazioni materiali (la polvere, il sangue), ma non tollera deviazioni da quella che è la sua funzione primaria: brillare alla luce del sole nell’agone dei principi” (E. Avezzù).

La “scena tipica” della vestizione può essere variata in più modi:

a) con digressioni (ad es. quando Agamennone indossa la sua corazza, si ha una digressione di nove versi relativa alla “storia” della corazza e alle immagini in essa raffigurate: cfr. XI 20-28);

b) con similitudini (lo scudo di Achille è paragonato al fuoco che arde sui monti, in una stalla solitaria; cfr. XIX 375-380);

c) con imprevisti, come avviene qui, allorché Patroclo non riesce a impugnare la pesante lancia di Achille.

Insomma, lo schema compositivo di base può essere modificato “a fisarmonica”, secondo le esigenze narrative e il livello dell’eroe descritto.

Ricorrenti sono anche gli epiteti che caratterizzano ogni oggetto: “grande, pesante, rotondo, convesso è, di volta in volta, lo scudo. Variopinta e intarsiata, la corazza. Forte, pesante, aguzza, lunga o ‘dalla lunga ombra’ (dolichoskios) la lancia, dalla punta ‘dolorosa’. Ma tutte le parti dell’armatura sono scintillanti e luminose. E tutte, considerate nel loro insieme, sono sempre splendenti, gloriose, belle” (M. G. Ciani).

La vestizione di Patroclo risulta però incompleta, giacché egli non riesce a impugnare la lancia di Achille.

Patroclo risulta dunque, come lo definisce Oliver Taplin, “un surrogato vulnerabile” di Achille; il fatto che egli non riesca a brandire la lancia dell’amico è una spia della sua inadeguatezza al ruolo assunto, nonché un presagio inequivocabile della sorte nefasta che lo attende, allorché sarà ucciso inesorabilmente da Ettore, che si impadronirà dunque delle armi del Pelìde (cfr. Il. XVI 783-863).

Ma anche per Ettore varrà la legge del “travestimento fatale”: chiunque indossa le armi di Achille è destinato a essere ucciso, sicché anche l’eroe troiano perirà nel duello finale contro il Pelìde (cfr. XXII 317-363).

Il duello fra Achille (Brad Pitt) ed Ettore (Eric Bana), sempre dal film “Troy”

Di Mario Pintacuda

Nato a Genova il 2 marzo 1954. Ha frequentato il Liceo classico "Andrea D'Oria" e si è laureato in Lettere classiche con 110/110 e lode all'Università di Genova. Ha insegnato nei Licei dal 1979 al 2019. Ha pubblicato numerosi testi scolastici, adottati in tutto il territorio nazionale; svolge attività critica e saggistica. E' sposato con Silvana Ponte e ha un figlio, Andrea, nato a Palermo nel 2005.

1 commento

  1. Buongiorno, mi piacerebbe sapere da dove ha citato la frase relativa alla alle come “maschere rituali” di E. Avezzù. Sarebbe possibile avere cortesemente il riferimento al testo e alla pagina?
    Grazie

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