All’inizio del 2020 l’astrologo Paolo Fox, dopo un’accurata consultazione delle congiunzioni astrali, presentando le sue previsioni sul nuovo anno, lo aveva definito “ottimo e decisamente favorevole” per la maggior parte dei segni: «Sarà un anno di crescita, ideale per viaggi e per gli spostamenti». E infatti finimmo tutti in lockdown dopo due mesi.
L’abitudine di fare previsioni azzardate però non è un’esclusiva degli astrologi.
Giovedì 20 gennaio scorso, su “Repubblica”, a quattro giorni dal primo scrutinio delle elezioni presidenziali, Stefano Cappellini si è sbilanciato in un pericolosissimo “Toto-Quirinale”, che, riletto oggi, strappa più di un sorriso.
Cappellini presentava le “quotazioni” di nove candidati alla presidenza, aggiungendo su ognuno alcune note di commento.
Ecco che cosa diceva su Sergio Mattarella, assegnandogli poche chances di rielezione: «Sergio Mattarella: il bis (quasi) impossibile. Incredibile che, dopo tutto quello che il presidente ha detto per escludere il suo bis, siano ancora così tanti a credere che la soluzione resti convincere Sergio Mattarella ad accettare un nuovo mandato. Ma ciò dà il grado generale di disillusione sulla possibilità di trovare un’intesa trasversale su un nome che non sia il suo o quello di Draghi. Sono molti gli strumenti ipotizzati per riportarlo in campo: l’appello dei parlamentari, dei leader, dei partiti, della società civile. Però Mattarella ha parlato chiaro e, a detta di chiunque lo conosca bene, non tornerà indietro. Per giunta, manca il clima necessario: Salvini e Meloni non gradiscono l’idea del bis».
Come si vede, una decina di giorni fa la soluzione della rielezione di Mattarella appariva “(quasi) impossibile”: veniva ricordato “tutto quello che il presidente ha detto per escludere il suo bis” e si profetizzava (a vanvera) che “a detta di chiunque lo conosca bene, non tornerà indietro”. In realtà però, a conoscere bene Mattarella era forse solo Gianfranco Miccichè, che andava ripetendo che in realtà il presidente uscente (e rientrante) “aspettava solo una chiamata”: «Il mio è un ragionamento antropologico sulla natura stessa dei palermitani».
E pur ammettendo senza ombra di dubbio che il Presidente abbia accettato di sacrificare i suoi nuovi progetti personali e familiari al bene del Paese caduto in un tunnel senza uscita, nella dichiarazione di Miccichè non si può scorgere un fondo di verità: è vero, infatti, che molti palermitani “vogliono essere pregati”, proclamano la loro indisponibilità a fare qualcosa, si schermiscono, fanno difficoltà, salvo poi a cambiare idea se pregati in modo corretto, cedendo alla pressione insistente degli altri in nome dell’amicizia e del bene comune.
Sempre nella stessa pagina del “Toto-Quirinale”, Cappellini non perdeva occasione per sparare altre considerazioni poi miseramente naufragate alla prova dei fatti.
Ad esempio, era molto ottimista sulle possibilità di Draghi: «Resta, a rigore di logica, l’unico nome che può essere eletto con una maggioranza ampia. A giudizio di molti, forse dello stesso Draghi, il tempo lavora per lui: gli basta aspettare che si brucino una dopo l’altra le soluzioni vagheggiate dai partiti, e aspettare che tutti o quasi si rivolgano a lui, per disperazione se non per convinzione. Ma ha due grandi nemici, Conte e Salvini, decisi a lasciarlo dov’è, problema non da poco. E deve trovare un sostituto per Palazzo Chigi». Ma, come poi si è visto, Draghi, dopo aver visto passare dalla riva del fiume i cadaveri dei nemici trascinati dalla corrente, è stato anche lui travolto dagli eventi.
Qualcosa però Cappellini l’ha anche azzeccata: era ragionevolmente scettico su Berlusconi (“il Cavaliere senza voti”), su Pera (“intellettuale bipartisan”) e sulla Moratti (“può farcela solo sul filo – e con i voti di Renzi – al prezzo di spaccare maggioranza e governo”). Non riusciva invece a prevedere né il grande flop della Casellati (“può sperare che il volto istituzionale prevalga su quello partigiano della sua militanza forzista”) né il mancato decollo della candidatura-Casini (“da non sottovalutare”).
Fra le previsioni non avveratesi c’era anche l’ipotesi della “possibile carta coperta”, cioè Gianni Letta (che invece, nel tourbillon di più o meno improbabili proposte salviniane di questi giorni, non è mai stato preso in considerazione, forse per un’altra larvata faida verso Berlusconi).
Probabilmente il povero Cappellini ha dovuto fare il suo compitino disastroso su richiesta del suo Direttore; e sicuramente confidava sulla memoria labile della maggior parte dei suoi lettori. Del resto, quante persone vanno, oggi, a rileggere gli articoli di dieci giorni fa? Comunque sia, è ingiusto infierire (col senno di poi) sul solo giornalista di “Repubblica”, perché sarebbe possibile citare altri esempi analoghi di previsioni rivelatesi, “all’apparir del vero”, assolutamente inconsistenti.
Se ne dovrebbe ricavare, però, almeno, un ammonimento a non dare nulla per scontato in campo politico, tanto più in un Paese come il nostro, dove ogni “ratio” politica e ideologica si è dissolta di fronte al fuoco incrociato dei veti, delle ripicche, dei calcoli opportunistici, dei “do ut des”, delle imboscate, dei tradimenti. Un Paese in cui, come titola giustamente oggi il “Giornale di Sicilia”, “I partiti raccolgono i cocci” dopo l’indecoroso spettacolo offerto in questi giorni.
In definitiva, poi, resta un dubbio, banale quanto ovvio: in tutti questi mesi di preparazione alle elezioni presidenziali, una classe politica degna di questo nome, intelligente, previdente, realista, non poteva e doveva arrivare già il 24 gennaio, al 1° scrutinio, alla plebiscitaria rielezione di Mattarella, unica soluzione alla paralisi provocata dall’esito delle elezioni del 2018? Le telefonate e le visite dirette al Capo dello Stato per supplicarlo di restare non si sarebbero potute e dovute fare prima, magari per Natale? Ci voleva tanto a prevedere quello che sarebbe successo?
In questi giorni non si è persa solo una grande occasione di offrire uno spettacolo dignitoso a milioni di cittadini; si è persa l’occasione di riagganciare il consenso della gente, di captarne e interpretarne gli umori, di coglierne le indicazioni. E anche se tutti (o quasi) plaudono oggi al provvidenziale mantenimento dello “status quo” (“hic manebimus optime”), resta il sospetto che i problemi reali siano stati solo congelati e rinviati di un anno.
Fra un anno, però, sarà meglio non azzardare previsioni alla cieca. Le smentite potrebbero essere ancora più clamorose.