Su “Repubblica” di oggi a pag. 27 viene riferita la polemica scoppiata a Padova in seguito alla pubblicazione su Facebook, da parte della prof. Nora Foggiato, di un compito d’Italiano copiato da un suo alunno e valutato con “1”.
Come si legge nell’articolo, l’insegnante, pur non avendo pubblicato il nome dell’alunno, è finita «sulla graticola dei provvedimenti disciplinari»; infatti «nella sovrapposizione dei due piani, la disonestà dello studente e la violazione della privacy da parte della prof, ad avere la peggio è la dipendente della scuola», dato che «la dirigente scolastica Caterina Rigato ha annunciato l’apertura di un’indagine interna, che si trasformerà molto probabilmente in una sanzione disciplinare per l’insegnante».
Il tema d’Italiano proposto dalla docente era semplice, dato che invitava i ragazzi a parlare del ruolo che i grandi campioni del calcio possono avere sui giovani; tuttavia, come si legge nell’articolo, «uno studente di classe quinta, più volte ripetente, quindi ormai sulla ventina, ha cercato la facile scorciatoia del copia-incolla. Ed è stato ovviamente scoperto, perché oggi quasi tutti i professori dispongono di programmi in grado di stabilire se uno scritto sia autoprodotto o se invece sia frutto del tasto destro del mouse».
[Fra parentesi, questa è una sciocchezza: anche prescindendo da questi fantomatici “programmi scova-scopiazzatori”, un insegnante esperto da 4-5 parole capisce immediatamente la diversa “mano” in un compito e gli basta digitare le parole incriminate su Google per trovare facilmente la fonte – mai troppo fantasiosa – consultata dai “colpevoli”].
Ora, su che cosa verte la polemica? Non si deve ridurre l’episodio alla questione del “garantismo” indiscriminato nei confronti dei ragazzi e al consueto linciaggio della classe docente.
Qui infatti non è in discussione la legittima punizione di un compito evidentemente (e malamente) copiato, bensì l’esposizione del “reo” sulla gogna mediatica fornita da Facebook; come giustamente ha commentato il provveditore Roberto Natale, «I documenti della scuola, così come quelli acquisiti in qualsiasi ambito lavorativo, non devono finire sui social».
In altre parole, Facebook non deve diventare la vetrina dove esporre ogni attimo della nostra vita, ogni parto della nostra fantasia, ogni pensiero della nostra mente; occorrono prudenza, saggezza e rispetto nell’uso di uno strumento che può arrivare a così tante persone e magari con esiti imprevedibili.
In proposito, il pedagogista Daniele Novara, intervistato nella stessa pagina di “Repubblica” da Ilaria Venturi, dichiara: «I docenti dovrebbero tenere la tastiera in tasca, non c’è bisogno di mettere in piazza la vita della scuola che è luogo intimo dell’apprendimento, non di esposizione. Siamo sempre nel capitolo dell’insegnante che conosce la sua materia, ma non ha un background pedagogico. […] Tra l’altro, scrivendo che lo studente ha 20 anni, di fatto lo ha reso riconoscibile: l’età rivela che è stato bocciato».
C’è però dell’altro. Novara arriva quasi a giustificare la “colpa” del ragazzo sanzionato: «Tutti abbiamo copiato, lo ha fatto Adenauer nel tema di italiano alla maturità: è un modo per riuscire a sottrarsi a una scuola attenta solo alle risposte esatte e che non guarda all’apprendimento. Il concetto del copiare non esiste, la scuola dovrebbe rendere accessibili tutte le fonti, dai libri a internet, e valutare su come vengono usate».
Qui però, a parte l’asserzione discutibile “tutti abbiamo copiato” (smentita da innumerevoli esempi di segno opposto), si rischia di dare un assoluto via libera alla liceità dei “copia-incolla” (“copy and paste” in inglese), ammessi e difesi in una società che ha eliminato ogni idea di copyright ed autorizza sistematicamente l’appropriazione indebita dei dati trovati in rete. In moltissime persone è del tutto assente (anche perché non gli è mai stata prospettata) la semplice idea di citare doverosamente la fonte delle proprie “ricerche” (chiamiamo così queste spudorate scopiazzature).
In realtà il “copincolla” viene severamente sanzionato: nel 2011 fece scalpore il caso del ministro della Difesa tedesco Karl-Theodor Zu Guttenberg, il quale, accusato da un giornalista del “Sueddeutsche Zeitung” di avere copiato ampie parti della sua tesi di dottorato, dovette dimettersi dalla sua carica. In quello stesso anno, ventisette anni di servizio presso il Washington Post non evitarono la sospensione di tre mesi dal lavoro alla giornalista Sari Horwitz, vincitrice tre volte del premio Pulitzer, accusata di plagio per aver copiato due diversi articoli pubblicati dall’Arizona Republic.
Nel 2017 Marine Le Pen, candidata della destra alle presidenziali francesi, per il suo discorso del 1° maggio a Villepinte (Parigi) si appropriò parola per parola di un intervento pronunciato il 15 aprile precedente dal candidato Francois Fillon dei Republicains.
Gli esempi, anche nel nostro Paese, sono innumerevoli e includono le magre figure di certi politici che hanno “riciclato” pedestremente discorsi di altri o hanno inserito a vanvera citazioni “copincollate” senza valutarne il contesto originario. Per fare solo un esempio, l’anno scorso il giornalista economico Carlo Clericetti fece notare come la parte sul fisco e il taglio delle tasse del discorso programmatico del neo-premier Mario Draghi alle Camere fosse di fatto quasi un copia-incolla di un articolo di Francesco Giavazzi (docente della Bocconi, collaboratore del Corriere della Sera e amico di Draghi), pubblicato alcuni mesi prima sullo stesso quotidiano e intitolato “I passaggi necessari sul fisco”.
Non a caso, di fronte a tanti e tali casi di plagio, si è arrivati alla creazione di “Turnitin”, un software in grado di confrontare un testo con tutti quelli contenuti nel suo database e di verificare, con un solo click, se questo è stato copiato; esso consente inoltre di evidenziare la percentuale di lavoro originale presente in un testo. Il prodotto è a disposizione dei relatori di tesi per il controllo antiplagio degli elaborati.
Insomma, tempi duri per i “copincollatori”, che sempre più spesso vengono “sgamati”.
E tuttavia fa più pena che rabbia quel ragazzo padovano che, per scrivere quattro fesserie su Ronaldo e Messi, ha pensato di dover ricorrere all’aiuto di Google, è stato valutato con “uno” (si suppone che l’unico punto che lo separa dallo “zero” gli sia stato dato per la fatica di avere copiato a mano il testo “rubato”) e, soprattutto, è diventato facile oggetto di odio mediatico.
Non meno pena, poi, fanno certi docenti, che alle quotidiane frustrazioni di una professione sempre più bistrattata e denigrata aggiungono la forzata convivenza con le “furbizie” dei loro alunni, finendo per avere reazioni scomposte (tipo il linciaggio sui “social”), ingiustificabili in chi dovrebbe “educare” prima che “sanzionare”. Come conclude Daniele Novara, «Il ragazzo ha sbagliato. Ma, come direbbe don Milani, per questo necessita di un impegno maggiore della scuola. Per non perderlo».