Qui a Palermo, nelle fermate dell’autobus della centralissima via Libertà, il percorso indicato nelle tabelle risale a molti mesi fa, cioè a prima dell’istituzione della zona pedonale a piazza Politeama e via Ruggero Settimo (con conseguente deviazione degli autobus su via Dante e rientro in via Roma da via Goethe, Porta Carini e via Cavour).
Di questa deviazione nelle tabelle (come si vede dalla foto che allego qui di seguito) non si dà alcuna informazione.
Ma del resto a chi si dovrebbe dare? I palermitani, quelli almeno che prendono il bus (che sono una minoranza sventurata), lo sanno (o lo scoprono di volta in volta); ai turisti già è tanto che si garantisca un autobus ogni mezzora.
Mezzora è infatti il tempo che ho atteso, dalle 14,30 alle 15, perché passasse dalla fermata di via Ugdulena il bus 101 (la cui frequenza, sempre secondo le surreali indicazioni della tabella, dovrebbe essere di 4’ e che dovrebbe essere il fiore all’occhiello del trasporto pubblico palermitano).
Quando è arrivato, ovviamente il mezzo era strapieno di gente; aggiungo per dovere di cronaca che sono stato l’unico a fare il biglietto (e certo tutti gli altri non erano abbonati).
Come corollario grottesco, il display all’interno del bus indicava la data “08.05.22” (!!) e, come orario, le 17,25 (erano le 15,10 circa).
Sicuramente il futuro sindaco di Palermo, chiunque sarà, cambierà il modo di fare dell’AMAT (che, contrariamente al suo significato latino, “non ama” i suoi passeggeri): rinnoverà le tabelle a tutte le fermate indicando i percorsi effettivi, garantirà che siano rispettati i tempi e le frequenze previste, aggiornerà (o oscurerà per decenza) i display all’interno del bus e disporrà severi controlli per impedire che i palermitani continuino il loro secolare gemellaggio coi portoghesi.
Non vediamo l’ora!
P.S.: mi astengo per carità di patria sicula dall’impietoso confronto con i mezzi pubblici che ho usato la settimana scorsa a Milano; non serve fare piovere sul bagnato (ma francamente ci si vergogna di dovere vedere una realtà così degradata, di cui – ed è questa la cosa più grave – qui non ci si rende nemmeno più conto).