Siracusa, 75 avanti Cristo.
Un piccolo gruppo di uomini si aggira in un sepolcreto; ci sono alcuni notabili della città (si riconoscono dai loro abiti eleganti), ma anche alcuni operai con le falci.
Davanti a tutti cammina un giovane questore romano, intento ad osservare con attenzione ogni angolo della zona.
Chi è quel giovane? E che cosa sta cercando?
Quel magistrato romano, appena trentunenne, era Marco Tullio Cicerone, destinato a diventare uno dei più straordinari personaggi della storia e della cultura di quel secolo e dei secoli a venire; si trovava in Sicilia durante il suo anno di questura a Lilibeo.
Il giovane Arpinate era già un uomo di profonda cultura, di straordinario intuito ed intelligenza; e aveva deciso di fare quello che i Siracusani non avevano mai fatto: intendeva infatti ritrovare il sepolcro di Archimede.
Il grande matematico siracusano era morto nel 212 a.C., durante il saccheggio di Siracusa da parte dei Romani: secondo la tradizione un soldato romano, non avendolo riconosciuto, non avrebbe eseguito l’ordine di catturarlo vivo.
La sepoltura di Archimede era però rimasta sconosciuta ai Siracusani, che anzi negavano addirittura la sua esistenza.
Cicerone, però, come racconta nel V libro delle sue “Tusculanae disputationes”, ricordava a memoria alcuni versi dell’epitafio del grande scienziato, secondo i quali sulla sommità del suo sepolcro era posta una sfera con un cilindro: “Tenebam enim quosdam senariolos, quos in eius monumento esse inscriptos acceperam, qui declarabant in summo sepulcro sphaeram esse positam cum cylindro” (V 23, 64).
La sfera e il cilindro del sepolcro di Archimede erano strettamente collegati a una sua opera “Sulla sfera e il cilindro” (Περὶ σφαίρας καὶ κυλίνδρου), nella quale era trattato il modo per trovare la superficie e il volume di una sfera e di un cilindro.
La notizia è confermata da Plutarco: “Per quanto molte e mirabili siano state le invenzioni di Archimede, si dice abbia chiesto agli amici e parenti di mettergli sulla sua tomba, dopo la morte, una sfera inserita in un cilindro con la scritta della proporzione tra il solido contenente e quello contenuto” (“Vite parallele – Marcello”, 17, 12, trad. Magnino).
Inoltre l’erudito bizantino Giovanni Tzetzes (XII sec.), citando Cassio Dione e Diodoro Siculo, conferma che Archimede era stato seppellito per ordine del conquistatore romano Marcello, che si era irritato per la nefasta uccisione dello scienziato e lo aveva fatto seppellire “con tutti gli onori nella tomba dei suoi antenati, assistito dai notabili [di Siracusa] e da tutti i Romani” (“Chiliades”, 145-147).
Cicerone dunque esplora scrupolosamente la zona delle porte “Agrigentine” (se così va inteso il termine “Agragantinas”), ove si trova “una grande abbondanza di sepolcri” (“est enim ad portas Agragantinas magna frequentia sepulcrorum”).
Osservando attentamente tutto, improvvisamente nota “una colonnetta che emergeva di poco dai cespugli, sulla quale erano rappresentato una sfera e un cilindro” (“animum adverti columellam non multum e dumis eminentem, in qua inerat sphaerae figura er cylindri”, V 23 65, trad. Demolli).
Con il giovane questore ci sono, come si è detto, alcuni notabili siracusani(“erant autem principes mecum”); Cicerone, emozionato e orgoglioso, rivela allora ai suoi accompagnatori di essere convinto di aver trovato ciò che cercava: “dixi me illud ipsum arbitrari esse, quod quaererem”.
Vengono subito chiamati degli operai, che con le falci ripuliscono il luogo rendendolo accessibile: apertosi un passaggio, Cicerone si avvicina alla parte anteriore della base: “era riconoscibile l’iscrizione, quasi dimezzata perché le parti finali dei versi risultavano corrose” (“apparebat epigramma exesis posterioribus partibus versiculorum dimidiatum”, V 23, 66).
Dopo il ritrovamento, l’archeologo improvvisato non riesce a trattenere la sua soddisfazione e, con una punta di narcisismo, proclama: “Così una delle più illustri città della Grecia, e un tempo uno dei centri di cultura più attivi, avrebbe ignorato la tomba del suo cittadino più geniale, se non gliel’avesse rivelata un uomo di Arpino” (“Ita nobilissima Graeciae civitas, quondam vero etiam doctissima, sui civis unius acutissimi monumentum ignorasset, nisi ab homine Arpinate didicisset”, ibid.).
La tomba così ritrovata da Cicerone fu però, incredibilmente, di nuovo persa.
In un libro del 1573, “Le due deche della Historia di Sicilia”, Tommaso Fazello scrive: «Di questa sepultura hoggi non pure non ce n’è vestigio alcuno, ma neanche si sa il luogo ove ella fusse».
Si poteva, allora, tornare a cercare presso le fantomatiche “porte Agrigentine” citate da Cicerone: senonché il termine “Agragantinus” = “Acragantinus” non è da tutti ritenuto un toponimo attendibile; e dove fossero ormai queste fantomatiche “porte” non è più dato sapere. Diversi studiosi ritengono che le “porte Agrigentine” fossero ubicate nella zona dell’attuale stazione ferroviaria, mentre altri tendono a interpretare con «fuori della porta sacra del Ciane», (riferendosi a un luogo a sud di Siracusa, presso il noto fiume);
Io, controllando il testo critico dell’edizione di Pohlenz, ho trovato che la lezione “Agragantinas” è tormentatissima nella tradizione manoscritta, presentando varianti (“agragianas, gaianas, gafanas, agragentinas”) che andrebbero studiate dai filologi (cosa che però non mi pare sia stata fatta ancora con rigore scientifico).
Oggi una presunta “tomba di Archimede” si trova all’interno della necropoli Grotticelle, nella parte più settentrionale del parco archeologico della Neapolis, a est della latomia di Santa Venera; si tratta di una grotta artificiale scavata su pietra calcarea.
Tuttavia, è alquanto improbabile che questo sepolcro corrisponda alla vera sepoltura dello scienziato:
1) anzitutto, l’identificazione della località descritta da Cicerone è, come accennavo, quanto mai problematica, ma tutto induce a credere che fosse ben diversa;
2) inoltre questa sepoltura risale con certezza al periodo compreso fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C., dunque a un’epoca ben più recente rispetto ad Archimede.
In realtà allora si tratterebbe di un colombario romano, ovvero di una camera sepolcrale dotata di nicchie atte ad ospitare le urne cinerarie; l’identificazione errata era forse nata dall’imponente timpano decorato nella parte superiore della tomba, che sembrava coincidere con gli antichi riferimenti.
In alcuni siti web siracusani (nel web si trova di tutto…) ho trovato anche qualche maligna insinuazione polemica: infatti c’è chi afferma che la vera tomba di Archimede fosse stata di nuovo ritrovata negli anni ‘60 nella zona di Corso Gelone (all’angolo con viale Paolo Orsi), ma che fosse stata subito ricoperta per evitare che si fermassero i lavori di costruzione del palazzo limitrofo. In realtà la necropoli di Viale Paolo Orsi e della zona di piazza Adda è di epoca più recente, mentre al tempo della morte di Archimede quella zona era paludosa e acquitrinosa (fu bonificata probabilmente dopo la conquista romana); in altre parole, vatti a fidare dei gossip (soprattutto quando ci sono di mezzo polemicucce locali di corto respiro).
Non sono mancate altre ipotesi: nel 1965 Salvatore Ciancio, nel suo libro “La tomba di Archimede”, cita il ritrovamento di un’altra possibile sepoltura alle porte di Acradina (mancano però prove sufficienti per identificarla con la tomba di Archimede); un’altra ipotesi argomenta che la porta “agraria” (e non “agrigentina”) fosse presso la necropoli del Fusco; un’ulteriore ipotesi conduce a un cortile attiguo al bar dell’Hotel Panorama in Via Necropoli Grotticelle, dove un basamento potrebbe appartenere alla tomba di Archimede (ma anche a quella di Agatocle).
In definitiva, però, come ha dichiarato l’archeologa Rosalba Panvini, la situazione è di stallo: «In mancanza di un elemento che porti a un preciso personaggio, una attribuzione vale l’altra. Io non ho scavato e chi ha scavato non ha pubblicato, quindi le ricerche sono ferme al punto in cui sono arrivate».
Insomma, il vero sepolcro di Archimede, quello così genialmente ritrovato da Cicerone, è andato di nuovo perduto.
Oggi a Siracusa sono intestate ad Archimede due scuole, una piazza (dal 1878) con una fontana (in onore della dea Diana!?) e una statua in bronzo (posta nel 2016 sul ponte che unisce la città all’isola di Ortigia, che raffigura Archimede che guarda verso il mare e tiene in mano un piccolo specchio ustore).
Tutto qui: un po’ poco, in effetti, per uno dei più grandi siracusani della storia: e in particolare la perdita del suo antico sepolcro resta come una lacuna grave per Siracusa, per la Sicilia e per il mondo.
P.S.: Nel 2020 Annalisa Stancanelli ha pubblicato per Mursia “Mistero Siciliano. Per la tomba di Archimede si può uccidere”; si tratta di un “giallo” centrato proprio sulla misteriosa sepoltura dello scienziato siracusano. Come si legge nella presentazione del libro, “In una Siracusa bellissima e oscura, preda di una banda criminale che domina il traffico di donne e di reperti archeologici, si apre una voragine in un cantiere a svelare l’ingresso di una sepoltura millenaria. La possibilità che si tratti della tomba mai rinvenuta di Archimede innesca una scia di sangue. Al vicequestore Gabriele Regazzoni, impegnato a fare luce su una serie di omicidi di escort giovani e bellissime, viene dato anche l’incarico di investigare sul caso di un poliziotto aggredito da un fantasma all’ingresso della presunta tomba di Archimede. Con l’amico di una vita, l’archeologo Marco Graziano, Regazzoni condurrà un’indagine parallela non sapendo di avere lo stesso pericoloso nemico. Sullo sfondo dell’inchiesta criminale si staglia potente l’immagine di Siracusa, una città bellissima e dalla storia antica e affascinante, ricca di leggende e misteri da risolvere”.
Insomma, questo romanzo dimostra che, se si ha un po’ di fantasia e di inventiva, anche da una tomba “farlocca” può venir fuori una storia avvincente. Certo, però, Cicerone si farebbe due risate…