Lo scorso 20 ottobre sul sito di “Repubblica-Palermo” si leggeva il seguente comunicato: «Il Comune cambia strategia per il rilascio della carta d’identità elettronica. Non sarà più su prenotazione, ma si potrà fare a vista presentandosi tutti i giorni direttamente agli sportelli delle postazioni decentrate. Il nuovo corso parte dal 9 gennaio».
Cambiano i sindaci a Palermo, ma non cambia il loro inguaribile ottimismo, totalmente ingiustificato dalla realizzazione pratica dei loro proclami. Infatti il rassicurante auspicio “si potrà fare a vista” viene smentito in modo clamoroso dai fatti.
Una premessa. Il giorno 2 gennaio mi ero diretto speranzoso all’ufficio del municipio più vicino a casa mia (via Bevignani 74, vicino piazza Tosti): era il giorno dopo Capodanno e confidavo che i palermitani fossero ancora intenti a smaltire i bagordi alimentari dei recenti cenoni e che ci fosse quindi poca folla.
Devo premettere (come testimonia la foto che allego) che la sede di via Bevignani è quanto di più indecoroso si possa offrire ai cittadini: una saracinesca chiude una specie di garage, senza nessuna scritta che dica “Comune di Palermo”, nessuna tabella con orari e servizi erogati, nessun modo di “prendere il turno” se non creando fogli a mano autogestiti o chiedendo “chi è l’ultimo”; il tutto, stando in un marciapiede colmo di “munnizza”.
Alle 8,15 quel giorno c’erano appena due persone in attesa e credevo che la mia suddetta strategia stesse risultando vincente. Mi illudevo. Alle 8,30 un impiegato, aprendo la saracinesca, mi diceva che senza appuntamento non potevo rinnovare la carta d’identità; invano ho fatto presente che c’erano solo due persone (una delle quali, un ragazzo, aveva preso appuntamento il 14 dicembre, ultimo giorno “lecito”): niente da fare, le eccezioni a Palermo si fanno solo ai conoscenti, agli amici e agli amici degli amici.
Per scrupolo, sono andato all’angolo, ove c’è un usciere: questi, con espressioni irriferibili relative al nuovo sindaco (“Lei ci ave a dire a ddu ******************* di Galla….”), avallava la tesi che senza prenotazioni non si poteva fare niente sino al 9. Dopo di che, in modo surreale (ma surreale è Palermo e surreali sono i palermitani) mi ha detto: “E si ‘un ‘nni viriemu cchiù [“se non ci vediamo più”], buon anno a lei e famiglia”; inutile precisare che questo signore era per me un perfetto sconosciuto (non a caso armeggiava molto col suo telefonino).
Stamattina sono tornato alle 7,30 in via Bevignani: c’erano alcune persone, ma sulla saracinesca era stato appeso un “turno” e si erano già messe in lista 22 persone. Coloro che erano a turno nei giorni scorsi riferivano di essere dei “veterani”: erano venuti nei giorni scorsi a perdere le loro mattinate senza combinare nulla, dato che in un’ora l’unico impiegato (!!) riesce a fare sì e no 4 carte d’identità, per cui quando si arriva a 16 sono le 12,30 ed è l’ora di chiudere (anche se la ressa arriva a quasi cento persone).
Il bello è che questa cosa viene dichiarata espressamente da un altro foglio scritto al computer nel quale (come si vede dalla foto) si legge: «Comunicazione di servizio [ma non è un disservizio?]. Per motivi interni, questa postazione oggi effettuerà un numero massimo di 16 carte di identità». La parola “oggi” è sottolineata, ma i “veterani” dicevano che lo stesso foglio è esposto ogni giorno (un po’ come si usava in quei negozi in cui si leggeva: “Oggi non si fa credito, domani sì”).
Nell’attesa che si compisse la beata speranza e che venisse il nostro salvatore “Impiegato efficiente”, ho parlato con alcune persone, godendo di quello strepitoso teatro popolare che i palermitani sanno sempre assicurare: c’era un ragazzo che doveva sbrigare altre pratiche e si trovava coinvolto in questo marasma senza sapere se e chi avrebbe assicurato questi altri servizi; c’era un tizio dotato della “patibularis facies Panormitana” (così definisco in genere certi volti poco rassicuranti), che diceva: “Chisti vuonnu ‘a vecchia carta; io ‘un l’haju, ma ci dicu ca l’aju persa”; c’erano degli extracomunitari che avevano scritto nel “turno” un solo nome ma si presentavano in cinque, fra gli improperi della gente in coda.
Quando alle 9 il numero di carte “effettuate” (per usare il lessico tecnico dell’ufficio) era di appena 2, ho alzato bandiera bianca.
Ma una “vox populi” (fra quelle che citavo prima) mi aveva ridato speranza: un signore infatti, che passava di là non si sa perché, aveva detto: “Ieri ho fatto la carta d’identità in via Monte San Calogero, vicino via Belgio: c’erano sei postazioni, mi sono sbrigato in un’ora; ho perso più tempo a cercare parcheggio”.
Fiducioso, ho preso la macchina e sono andato in quest’altra sede municipale. Ebbene, forse perché il giovedì 12 è parente stretto del successivo venerdì 13, ho ricevuto alle 9,30 il numero 32 ed erano appena al numero 6, visto che c’era oggi un solo impiegato, mentre gli altri erano assenti per malattia (si vociferava per covid). Fuori, in attesa, al freddo, sostava una folla di persone rassegnate (diverse dalle precedenti per il contesto sociale più “altolocato” ma non meno bistrattato).
Dopo un’altra attesa di Godot, mi sono arreso per oggi definitivamente e me ne sono tornato scornato anche da lì. E la carta d’identità? Per ora posso solo citare i versi del poeta mio concittadino: “L’attesa è lunga, / il mio sogno di te non è finito”.
P.S.: come scrivevo in un mio post di pochi mesi fa, qui tornerebbe opportuna la frase che un mio vicino di casa rivolgeva al nuovo amministratore di condominio, a lui poco gradito, appena ne aveva constatato l’inefficienza: “E chistu è ‘u novu amministratore!”. Il prof. “Galla” ne prenda atto…