Agamennone ritorna vittorioso dalla guerra di Troia, accolto dal popolo festante. Clitemestra osserva il suo arrivo dalle alte mura di Micene. Entrato in città attraverso la Porta dei Leoni, il condottiero si ferma per salutare i figli, Oreste, a cui consegna la sua spada e il suo scudo, ed Elettra, che abbraccia teneramente; lentamente, poi, quasi esitando, tende la mano verso la sua sposa. Subito dopo, mentre si appresta a prendere un bagno per ritemprarsi dalla fatica del viaggio, il sovrano acheo viene aggredito da Clitemestra e da Egisto. I due amanti, dopo aver gettato su di lui una rete per impedirgli ogni resistenza, lo trucidano a colpi d’ascia. Elettra assiste impotente all’uccisione del padre, annunciatale per altro da un presagio: il volteggiare sinistro di un enorme rapace sulla reggia di Micene.
Queste immagini crude, girate con uno stile quasi espressionista, aprono il film Elettra, tratto dall’omonimo dramma di Euripide, che il regista cipriota Michael Cacoyannis (Μιχάλης Κακογιάννης, 1922-2011) realizzò nel 1962, ricevendo la nomination all’Oscar per il miglior film straniero. La suggestiva fotografia in bianco e nero è del tedesco Walter Lassally, le musiche di Mikis Theodorakis.
Nella lunga sequenza iniziale non viene pronunciata alcuna parola, tranne una: “Uccidilo!”, ossia il comando che Clitemestra rivolge ad Egisto che esita a colpire Agamennone.
Elettra costituì il primo capitolo di una trilogia dedicata al tragediografo ateniese, che proseguì poi con Le Troiane (1971) ed Ifigenia (1977), ripercorrendo pertanto “a ritroso” gli avvenimenti del mito.
Protagonista di questo “ciclo” fu la grande attrice greca Irene Papas (1926-2022), che con Elettra iniziò un proficuo sodalizio professionale con Cacoyannis; nei tre film, l’attrice recitò rispettivamente nel ruolo di Elettra, Elena e Clitemestra. Secondo Mereghetti l’interpretazione della Papas in Elettra fu “intensissima” e “capace di far rivivere l’essenza più vera della tragedia greca”.
Ognuna delle tre opere traspone in maniera abbastanza fedele, a volte con qualche eccesso declamatorio, le tre omonime tragedie di Euripide. Nelle versioni cinematografiche, però, l’antico tragediografo non sopravvive solo a livello di semplice curiosità “archeologico-letteraria”. E, sebbene qualche critico mal disposto abbia reputato le trasposizioni di Cacoyannis fin troppo ossequiose nei confronti dei lavori originali (Mereghetti parla di pedanteria nella volontà didascalica), esse attestano invece il coraggio del regista nell’affrontare risolutamente i fondamenti della cultura letteraria europea, un tentativo ardimentoso raramente attuato da altri autori.
Le riletture di Cacoyannis, nell’analizzare l’eterno perpetuarsi della prevaricazione del potere e la catena di eventi tragici da essa generata, si prestano persino a gettare qualche squarcio di luce su alcune oscure vicende della recente storia della Grecia, di cui il regista è stato testimone. I riferimenti alla storia greca del secondo dopoguerra sono infatti facilmente individuabili: si colgono in Elettra riferimenti alla sanguinosa guerra civile successiva alla seconda guerra mondiale (1947-49); nelle Troiane, realizzato durante la dittatura dei colonnelli negli anni 1967-1974, si mostra come i capi militari di ogni tempo tendano ad abusare della loro autorità fino a renderla crudele vessazione; la condizione di Ifigenia, infine, non può non collegarsi a quella di Cipro (isola natale del regista) invasa dai Turchi nel 1974 e abbandonata a sé stessa per ragioni di opportunismo politico e interesse economico da leader irresoluti o corrotti.
Cacoyannis però, pur facendo riferimento alla realtà contingente, non perde la sua visione di “universalità” che, traendo linfa dal mito e dalle sue ancestrali rappresentazioni, fornisce una prospettiva paradigmatica delle vicende umane. Questo intento didascalico, ad esempio, mostra in Elettra come l’abuso politico non rimanga mai impunito, come all’usurpazione del potere segua sempre una rivolta sanguinosa.
Nelle Troiane, il regista rappresenta le prevaricazioni dei vincitori sui vinti, privati di ogni dignità, ridotti a semplici vittime, dando forza al messaggio contenuto nella tragedia di Euripide definita, all’inizio del film, “un atto di accusa senza tempo dell’orrore e della futilità di tutte le guerre”.
Nell’Ifigenia, infine, Cacoyannis mostra come sia alto il prezzo da pagare per tutti coloro che scelgono il potere attraverso la guerra: la vita dei propri figli. Viene abolito pertanto il finale consolatorio dell’opera originale in cui, al momento del sacrificio, la ragazza scompare e al suo posto la dea Artemide invia una cerva, evento miracoloso che fa intendere che la ragazza è stata salvata dagli dèi. Nel film, dopo un’inutile tentativo di fuga, Ifigenia viene sacrificata assolvendo al suo ineluttabile destino e infondendo in Clitemestra un rancore inestinguibile nei riguardi di Agamennone; quell’odio che la porterà, dopo molti anni, a consumare la sua sanguinosa vendetta.
Rivisitando l’opera di Euripide, Cacoyannis rappresenta e denuncia la brutalità degli uomini, la persistente barbarie di un’umanità che inopinatamente si reputa “civilizzata”. Esalta inoltre il ruolo dei deboli: l’aura dell’eroe non avvolge i potenti, i guerrieri, ma i derelitti, soprattutto le donne, i bambini e gli schiavi. Il loro eroismo deriva dal modo in cui essi soffrono, dalla dignità che esprimono pur non riuscendo a sollevarsi dal loro stato di vittime impotenti, mettendo però a nudo i limiti e l’ottusità della violenza, smascherando i crudeli meccanismi del potere.
Pur con qualche cedimento melodrammatico il regista riesce a colpire il pubblico, a volte anche a frastornarlo. Egli non cerca però il brechtiano Verfremdungseffekt, l’effetto di straniamento, ma persegue l’impatto emotivo, vuole arrivare al cuore dello spettatore, scuoterlo e commuoverlo, per farlo pervenire, come dichiarò lo stesso Cacoyannis, “a una sorta di esperienza catartica”.
Bravissimo!